da Ragionpolitica.it del 27 ottobre 2009
Dalla nascita della Repubblica alla caduta del Muro di Berlino il Partito Comunista italiano vide avvicendarsi alla sua guida cinque segretari (Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta, Occhetto). In media, nove anni per segretario. Dalla dissoluzione del PCI ad oggi i capi del partito postcomunista nelle sue varie denominazioni (Pds, Ds, Pd) sono stati - escluso l'ultimo arrivato Bersani - sei (Occhetto, D'Alema, Veltroni, Fassino, ancora Veltroni, Franceschini). In media, tre anni cadauno. Anche da questi numeri emerge lo stato confusionale nel quale si è trovata dopo il 1989 la sinistra erede del Partito Comunista, che ha consumato uno dopo l'altro, dopo averli osannati e incensati come i nuovi campioni delle «magnifiche sorti e progressive», i suoi leader. Scissioni, liti interne, inimicizie, rancori personali, duelli senza esclusione di colpi si sono moltiplicati stagione dopo stagione, anno dopo anno, lustro dopo lustro. Mentre tutt'attorno il mondo cambiava, come cambiava in tanti paesi la politica della sinistra orfana di Marx, i nipotini di Togliatti si contorcevano, tutti ripiegati su se stessi, in spietate lotte di potere, convinti che significasse ancora qualcosa tenere in mano il glorioso «corpaccione» del Partito, senza rendersi conto che l'anima era andata ormai perduta.
Non che nei decenni precedenti fossero mancate le guerre interne, anzi. Soltanto che esse venivano abilmente mascherate - e tacitate - sotto il velo del centralismo democratico, in nome dell'unità attorno all'ideale supremo, della rivoluzione da compiere, del mondo da rivoltare come un calzino per instaurare la dittatura del proletariato. Crollati i sogni, le utopie, le speranze, venuta meno la «spinta propulsiva», esauritesi la motivazione interiore, la tensione quasi religiosa per adempiere la missione, la fede nel verbo rosso, è dunque rimasta soltanto una snervante e massacrante lotta per il potere fine a se stesso. Il potere per il potere. Mentre un elettorato sempre più disilluso, spaesato e incerto abbandonava, elezione dopo elezione, l'antica casa madre, i dirigenti postcomunisti si concentravano unicamente in un'assurda battaglia autoreferenziale, pestandosi i piedi a vicenda, delegittimandosi l'un con l'altro, trasformando il loro impegno politico in una disperata caccia al Nemico interno.
Così le parole d'ordine di un tempo (la militanza, la vita di sezione, la tessera in tasca), svuotate del loro significato storico e carnale, sono diventate gli strumenti con cui tenere in vita il guscio del partito, senza però curarsi dello stato di salute interiore. Il quale è andato, giorno dopo giorno, peggiorando. E non sono servite le iniezioni «nuoviste» del cambio di nome, non è servito il maquillage per rendere affascinante un volto sfatto e rugoso, non è servita la chirurgia estetica su un corpo ormai flaccido e decadente. Quanto più si è voluto accelerare in questa direzione, senza avere a cuore l'anima politica del partito, tanto più i risultati sono stati disastrosi.
Basti pensare al Partito Democratico, che in due anni appena di vita si ritrova oggi ad avere il suo terzo segretario dopo la lunga guerra civile che ha portato prima all'affossamento di Veltroni e poi del suo epigono Franceschini da parte del sempiterno Massimo D'Alema. Il quale, pilotando Pierluigi Bersani alla guida del Pd, si ritrova oggi ad essere il vero simbolo della continuità col passato. Una continuità che, come abbiamo visto, non riguarda l'ideologia politica - ormai talmente vaga ed incerta da non essere neppure più definibile - ma unicamente la gestione interna del potere, la difesa degli apparati, il controllo delle sedi sul territorio, il mantenimento di una rete di «pacchetti elettorali» tale da garantire la sopravvivenza del partito. E' la solita illusione del postcomunismo italiano: pensare che il buon funzionamento della struttura possa supplire alla mancanza di idee, di progetti di governo, di radicamento nella mente e nel cuore del popolo - l'unica cosa che, in democrazia, conta veramente. Avanti il prossimo.
Gianteo Bordero
martedì 27 ottobre 2009
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