sabato 28 novembre 2009

UNO SNODO POLITICO DECISIVO

da Ragionpolitica.it del 28 novembre 2009

Ammettiamo - ma non concediamo - per un istante che sulla questione della magistratura italiana Silvio Berlusconi esageri, in quanto direttamente coinvolto nelle inchieste. Ammettiamo - e non concediamo - che anche il Popolo della Libertà esageri, in quanto arroccato nella difesa del suo leader. Che cosa dovremmo dire, allora, del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che venerdì ha dichiarato che «quanti appartengono all'istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione debbono attenersi rigorosamente allo svolgimento di tale funzione» e che «nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare»? Se usassimo lo stesso metro di giudizio utilizzato dalla sinistra forcaiola e giustizialista, dovremmo dedurne che anche il capo dello Stato è stato colto da allucinazioni ed è rimasto vittima della «sindrome di Berlusconi», cioè di quel pericoloso virus che porta a mettere in dubbio il dogma della sacralità e dell'infallibilità della magistratura...


La verità è un'altra, ed è che chiunque non abbia la mente offuscata dalla furia ideologica del giacobinismo può benissimo constatare senza troppi sforzi come oggi, nel nostro paese, alcuni giudici e pubblici ministeri tentino non di rado di trasformarsi in soggetti politicamente attivi e di decidere così le sorti delle istituzioni democraticamente elette dal popolo. Tale tentativo, in realtà, non nasce ora come un fungo: esso si protrae in maniera evidente dagli inizi degli anni Novanta, cioè da quando, nella crisi dei partiti democratici della Prima Repubblica, la magistratura pensò di poter assumere il ruolo di arbitro (non imparziale) della vita politica, mandando al macero un'intera classe dirigente e preparando il terreno per un nuovo assetto di potere nel quale l'ultima parola spettasse a quello che è stato chiamato «partito dei giudici»: un contenitore che raccogliesse i graziati dalle inchieste di Mani Pulite, il partito postcomunista, pezzi delle élites economiche e culturali che avevano sostenuto a spada tratta l'azione delle toghe milanesi, il «popolo dei fax», alcuni pubblici ministeri passati alla politica. Tale partito sarebbe stato l'unico legittimato a governare grazie al beneplacito delle Procure e sotto la loro protezione.


Se questo progetto non andò in porto fu soltanto grazie alla decisione di Berlusconi di entrare nell'agone politico e alla vittoria del centrodestra alle elezioni del marzo 1994. Nonostante ciò, quello che Lino Jannuzzi ha definito il «disegno di potere» di certa magistratura non fu accantonato. Tant'è vero che fu proprio Berlusconi, dopo la sua «discesa in campo», ad essere preso di mira dagli inquirenti, con una costanza e una regolarità che si protraggono ormai da quindici anni, a partire dal clamoroso avviso di garanzia a mezzo stampa del novembre del '94, mentre il Cavaliere presiedeva un importante summit internazionale sulla criminalità. Da allora per il leader del centrodestra è stato un susseguirsi di accuse di ogni genere, sospetti, perquisizioni, inchieste, processi, da cui egli è sempre uscito a testa alta, senza nemmeno una condanna una. Eppure il tentativo continua. Anzi, negli ultimi mesi esso si è intensificato, tanto più dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale.


Solo gli immarcescibili pasdaran dell'antiberlusconismo, i giustizialisti in servizio effettivo permanente, gli eterni nostalgici di Mani Pulite, i dipietristi d'assalto e i micromeghisti bigotti possono oggi negare che esista un accanimento giudiziario nei confronti del presidente del Consiglio. Chi non è accecato dall'odio viscerale per il Cavaliere sa come stanno le cose, e la stragrande maggioranza degli italiani ha ormai compreso - ed è qui la grande differenza tra i tempi attuali e gli anni di Tangentopoli, quando l'onda emotiva suscitata dai processi e il battage mediatico di glorificazione delle gesta del pool di Milano avevano creato attorno ai magistrati un consenso popolare molto diffuso - che parlare di persecuzione giudiziaria ai danni di Berlusconi non è dire una bestemmia, ma prendere atto di una realtà.


In questo contesto ben vengano le parole di Napolitano, che hanno il merito di porre la presidenza della Repubblica in una posizione ben diversa da quella che essa invece assunse, con Oscar Luigi Scalfaro, dapprima nel periodo di Tangentopoli e poi nei confronti di Berlusconi nei suoi primi anni di attività politica. Il messaggio che oggi proviene dal capo dello Stato è chiaro: se qualcuno cercasse al Quirinale una sponda per abbattere il governo e far fuori dalla scena politica il presidente del Consiglio ha sbagliato indirizzo. Ciò offre alla maggioranza uno spazio di manovra reale per poter portare avanti una riforma che miri alla «definizione di corretti equilibri tra politica e giustizia», per riprendere un'espressione usata dallo stesso Napolitano e contenuta anche nel comunicato diffuso al termine dell'Ufficio di presidenza del Popolo della Libertà, riunitosi giovedì a Roma: «La democrazia si fonda su un corretto e giusto equilibrio fra i diversi poteri e ordini dello Stato». E' dentro a questo snodo decisivo per la tenuta del nostro sistema istituzionale che va inquadrata la questione della difesa di Berlusconi da un'offensiva giudiziaria che mette sulla graticola non soltanto un premier, ma la stessa vita democratica della Repubblica.

Gianteo Bordero

INTERVENTO SULL'ASSESTAMENTO DEL BILANCIO 2009 DEL COMUNE DI SESTRI LEVANTE

Ci troviamo convocati in tutta fretta questo sabato mattina perché il 30 novembre scadono i termini per l’approvazione dell’assestamento generale di bilancio. Ricordo che l’ultima seduta di Consiglio Comunale si è svolta il 5 di novembre. Sono quindi venti i giorni in cui non abbiamo ricevuto alcuna convocazione, segno che, evidentemente, il percorso che ha portato all’assestamento di bilancio è stato piuttosto dissestato.

Infatti abbiamo ricevuto la convocazione per il Consiglio Comunale di stamane soltanto nella giornata di martedì, e quindi soltanto quattro giorni prima dell’odierna adunanza. E qui vorrei sottolineare un fatto curioso: ci è sempre stato ripetuto, da un anno e mezzo a questa parte, che le convocazioni debbono giungere ai consiglieri almeno 5 giorni prima della seduta. Perciò martedì, incuriositi dal repentino cambiamento dei termini, abbiamo chiesto spiegazioni alla Segretaria, la quale ci ha risposto che, trattandosi di convocazione straordinaria – e non ordinaria – i giorni che potevano intercorrere tra la convocazione ed il Consiglio erano soltanto 3, così come recita il Regolamento per lo svolgimento del Consiglio Comunale. Quindi dovremmo dedurne che – bontà vostra –, essendo in questo caso stati 4 i giorni a nostra disposizione, ci è stato generosamente elargito un giorno in più.

Ma la verità, signora Presidente e colleghi Consiglieri, è che ormai l’Amministrazione naviga a vista, e il fatto che si sia arrivati temporalmente con l’acqua alla gola per far pervenire ai Consiglieri il documento di assestamento è il sintomo che con l’acqua alla gola questa Giunta ci si trova anche politicamente. Io le chiedo, Assessore Ceselli, così come chiedo ai Consiglieri della maggioranza, se voi consideriate un atto di rispetto nei confronti del Consiglio, e in particolar modo nei confronti dei Consiglieri della minoranza, far pervenire un documento così importante per la vita amministrativa di un Comune, come l’assestamento di bilancio, soltanto quattro giorni prima della seduta. Noi, da parte nostra, lo riteniamo un atto di mancanza di rispetto nei confronti del Consiglio e dei Consiglieri. Così come riteniamo una mancanza di rispetto nei confronti della minoranza l’aver escluso dall’odierna discussione le mozioni ancora pendenti dalla precedente seduta di Consiglio e le nuove mozioni e interrogazioni da noi presentate nel mese di novembre.

Il fatto che ciò sia avvenuto è un ulteriore segnale di un modo di procedere che ci lascia perplessi. Vi siete ridotti ad approvare di fretta l’assestamento di bilancio e vi siete dimenticati che esistevano anche le mozioni dell’opposizione. Come si suol dire, la fretta è cattiva consigliera. E lo è stata anche in questa occasione.
Con soli quattro – ma in realtà tre e mezzo – giorni a disposizione abbiamo quindi dovuto nottetempo immergerci, nostro malgrado, nell’analisi della documentazione che ci è pervenuta. E dobbiamo sùbito dire che non è stato un bel vedere. In otto mesi, cioè dal momento dell’approvazione del Bilancio di Previsione, siamo arrivati alla variazione numero 1400. Complimenti, Assessore Ceselli, è davvero un bel traguardo. Ma in negativo. Perché è il segno che anche per ciò che riguarda la gestione del bilancio, così come per tanti altri capitoli dell’Amministrazione, questa Giunta procede a tentoni, naviga a vista, e soprattutto con un preoccupante deficit di programmazione.

1400 variazioni di bilancio non sono più semplici variazioni: sono un nuovo bilancio. E per studiare un nuovo bilancio sarebbero stati necessari venti giorni come previsto dal Regolamento, e non i tre e mezzo che – ripeto, bontà vostra – ci avete concesso. Ma ormai al vostro modo di procedere abbiamo fatto il callo, e per questo diremo ancora più convintamente “no” a questo assestamento di bilancio che ci avete presentato.


Forse pensando di compiere un numero d’alta scuola propagandistica, ieri l’Assessore Ceselli si è premurato di diffondere sulla stampa locale quello che ormai è il suo cavallo di battaglia: i minori trasferimenti statali per il mancato introito dell’ICI sulla prima casa. Mi dispiace per lei, Assessore Ceselli, ma è un cavallo di battaglia che ormai sta tirando le cuoia. E vedremo perché. Dicevamo che, nella convinzione di fornire ai giornalisti uno scoop, l’Assessore ha snocciolato le cifre di quello che egli continua a definire «un furto, uno scippo, una rapina» da parte del governo. Il vero scoop, invece, è che l’Assessore Ceselli non è d’accordo neanche con se stesso. Su un quotidiano, infatti, leggiamo la dichiarazione dell’assessore secondo cui “la cifra confermata dei trasferimenti è 1.124.000 euro”. Apriamo un altro quotidiano e scopriamo che “la cifra confermata dei trasferimenti è 1.271.210,47 euro”.

In attesa che l’Assessore si metta d’accordo con se stesso, prendiamo in esame la parte dell’assestamento relativa alle entrate. E con sorpresa possiamo sùbito osservare che l’introito dell’ICI che è ancora di spettanza comunale, rispetto alle previsioni di bilancio subisce un aumento di ben 116 mila e rotti euro. Così le entrate derivanti dall’Imposta Comunale sugli Immobili (e cioè, tolta la prima casa, sulle abitazioni affittate a residenti come prima casa, sui locali destinati ad uso commerciale e artigianale, sulle unità immobiliari destinate ad alberghi e pensioni) ammontano, per il 2009, a 5.316.753,46 euro. Non è poco.
Veniamo ai trasferimenti statali, e diciamo una volta per tutte come stanno le cose. Tali trasferimenti ammontano, ad oggi, a 1.271.210,47 euro. Dice l’Assessore ai giornali: mancano all’appello 371.427 euro per arrivare alla cifra di 1.642.737 euro. Una cifra che, leggendo il bilancio di previsione, semplicemente non esiste. Ma tutto fa brodo per fare propaganda. Esiste semmai la cifra tonda tonda di 1.500.000 euro, ed è quanto l’Assessore aveva messo a bilancio alla voce “Trasferimento statale per minore gettito ICI”.

Il problema è che quella cifra, a bilancio, non aveva motivo di esserci, come spiegherò. Sicché non siamo di fronte ad un furto da parte del governo, bensì, semplicemente, ad un esercizio di finanza creativa da parte dell’Assessore. Per spiegarmi mi rifarò alle dichiarazioni dello stesso Assessore Ceselli in occasione della discussione sul bilancio di previsione, il 30 marzo 2009. Disse: «In piena corsa di bilancio del 2008 (siamo a giugno inoltrato con bilanci già abbondantemente impegnati) appare sul sito delle spettanze del 2008 per trasferimento gettito ICI un acconto del 50% di quanto dovuto, acconto pari a 652.531,20 euro e si evince che il trasferimento quindi nell’anno sarà pari a 1.305.000 euro circa. Il Comune però incassava dall’ICI in questione circa 1,5 milioni di euro con un taglio secco di 200 mila Euro. Bene, questo è “furto” e non a caso utilizzo questo termine». Proseguì l’Assessore: «A bilancio 2008 chiuso, primi giorni di gennaio 2009, sul sito delle spettanze del Ministero dell’Interno come per incanto – la racconto come una favola ma non lo è - la seconda rata del 2008 che doveva ammontare a 652.531,20 viene materializzata in euro 584.065,08, quindi altri 68.466,12 euro in meno e qui passa il termine giuridico di “scippo” del governo Berlusconi ai danni del Comune di Sestri Levante». E concluse: «Il bilancio 2009, quindi, viene costruito con le premesse che a fronte di un gettito ICI storico di 1,5 milioni di Euro, il Comune di Sestri Levante riceverà solo 1.236.596,28 con uno scippo di 263.403,72 e così avviene. Lo schema di bilancio passa in Giunta il 12 febbraio, ebbene, indovinate un po’? Fine settimana scorsa, 27 marzo 2009, gli uffici verificano il sito del Ministero dell’Interno e al Comune di Sestri Levante nelle spettanze ICI si materializza una vera e propria rapina: altri 112.020,20 Euro in meno, per un totale di 375.423,92 euro in meno rispetto a quanto dovuto».

Ora, Assessore, la domanda sorge spontanea: se Lei sapeva già a fine 2008 che l’introito per il mancato gettito ICI sarebbe stato inferiore al previsto, perché ha comunque messo a bilancio, per il 2009, la cifra di 1.500.000 euro? Avevo già formulato tale obiezione nel corso della discussione del bilancio di previsione e poi in altra occasione, senza però ricevere risposta alcuna.

Ma non è tutto. Nell’archivio del sito internet della Finanza Locale sono raccolti tutti i comunicati relativi alla questione dei trasferimenti per il mancato gettito ICI. Bene. La decisione del Governo Berlusconi di abolire l’ICI sulla prima casa è del 27 maggio 2008. Il 19 giugno il ministro dell’Interno emana un decreto nel quale si stabilisce che «Ai comuni, a titolo di anticipazione della compensazione per i minori introiti correlati al pagamento ICI, da effettuare da parte dei contribuenti entro il 16 giugno 2008, sono erogati rimborsi in misura pari al 50% dell'importo attestato con la certificazione resa in base al DM 15 febbraio 2008 al Ministero dell'Interno, quale gettito riscosso a titolo di ICI per gli immobili adibiti a prima casa di abitazione per l'anno 2007». Sulla base di tale decreto, il 7 luglio 2008 il Governo paga al Comune, quale contributo compensativo per i minori introiti dell’ICI sulla prima casa, 652.531,20 euro. Segue un altro decreto del ministro dell’Interno del 23 agosto 2008, nel quale vengono stabiliti i criteri ai fini della determinazione e attribuzione delle risorse compensative ai Comuni per il minore gettito ICI. Il 18 dicembre 2008, poi, un comunicato del ministero informa che «In data 12 e 13 dicembre scorso sono state disposte le ulteriori erogazioni per trasferimenti compensativi, per l’anno 2008, in relazione alle minori entrate ICI da abitazione principale, tenendo conto:
  • di quanto complessivamente attestato dai comuni;
  • degli stanziamenti di fondi;
  • dei criteri per la determinazione del riparto fra i comuni;
  • dell’anticipo già erogato nello scorso mese di luglio.
Si precisa - proseguiva il comunicato - che l’importo degli stanziamenti messi a disposizione dalle leggi di spesa per l’anno 2008 è stato di euro 2.864 milioni, a fronte di circa euro 3.022 milioni attestati con la certificazione di cui al decreto ministeriale del 15 febbraio 2008, quale “gettito ICI riscosso per l’anno 2007 per le unità immobiliari adibite ad abitazione principale”. Pertanto, gli stanziamenti ammontano a circa il 94,75 per cento del gettito attestato dai Comuni». Bene, Assessore Ceselli, le comunico che sul sito ufficiale della Finanza Locale risulta, sotto la voce Spettanze 2008 al Comune di Sestri Levante come Trasferimenti compensativi per minori introiti ICI abitazione principale, la cifra di 1.398.136, 25 euro. Se, come Lei ha affermato, il Comune introitava circa 1 milione e mezzo di euro dall’ICI sulla prima casa, ebbene, qui il taglio è nell’ordine di quanto annunciato dal citato comunicato del ministero, e cioè del 7%. Siamo ben lontani dal furto, dallo scippo, dalla rapina.

Tutto questo per ribadire la domanda che ho ricordato prima all’Assessore: perché Lei ha messo a bilancio, per il 2009, 1.500.000 euro, se era già chiaro che un calo, seppur lieve, vi sarebbe stato? Forse per avere a bilancio più entrate e coprire così maggiori spese nel momento in cui le entrate tributarie ed extratributarie erano già “a tappo”, come si suol dire, in seguito alla maxi stangata da Lei fatta cadere sui sestresi quest’anno? Ricordiamolo: passaggio dalla TOSAP (Tassa occupazione suolo pubblico) al COSAP (Canone Occupazione suolo pubblico) con relativo salasso per i cittadini; e aumento della TARSU, la tassa sui rifiuti solidi urbani, solo per citare gli aumenti più rilevanti.

Di fronte a tutto ciò, viene spontaneo ringraziare il governo per aver sottratto al Comune di Sestri Levante non i soldi dell’ICI, bensì la possibilità di usare un’altra leva fiscale per mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Del resto, i precedenti dell’Assessore Ceselli in materia di ICI non erano granché confortanti: correva l’anno 2004 e al suo primo bilancio di previsione, tanto per mostrare di che pasta era fatto, l’Assessore pensò bene di: aumentare dal 4,5 al 4,75 per mille l’ICI sulla prima casa; di aumentare dal 4,5 al 6 per mille l’ICI sugli immobili affittati a residenti come prima casa; di aumentare dal 5,5 al 6,5 per mille l’ICI per i locali destinati ad uso commerciale e artigianale; infine, di aumentare dal 5,5 al 5,75 per mille l’ICI per le unità immobiliari destinate ad alberghi e pensioni. A causa di questi aumenti, nel primo mandato amministrativo della Giunta Lavarello, l’introito comunale per l’ICI è passato da 5.660.000 del 2003 a 6.650.000 euro del 2007, ultimo anno prima dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa.

Tornando all’assestamento, che cosa vediamo, alla fine? Vediamo che comunque le entrate sono ancora in aumento: +96.000 euro di avanzo, +121.000 euro di ICI, + 20.000 euro di contributo ordinario da parte dello Stato, +65.000 euro di sanzioni amministrative, cioè di multe, +50.360 euro per alienazioni patrimoniali, +70.000 euro di trasferimenti dalla Provincia. In totale, si passa dalla previsione di 30.355.826 euro all’assestamento di 30.588.543 euro: +232.000 euro in più di entrate. Come faccia l’Assessore a piangere miseria rimane un mistero. Forse il suo sogno nascosto è, come ha detto nello scorso Consiglio Comunale l’amico Marco Conti, avere una macchina stampa-soldi per poter meglio spendere e spandere a destra e a manca, soprattutto a manca. Ma così, almeno, battendo moneta, eviterebbe di continuare a tartassare i cittadini sestresi.


Gianteo Bordero

giovedì 26 novembre 2009

NO ALL'ABORTO FAI-DA-TE

da Ragionpolitica.it del 26 novembre 2009

Una cosa dev'essere chiara nel dibattito sulla pillola RU486: fino a che sarà vigente la legge 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza (IVG), ogni nuova tecnica abortiva che si vorrà introdurre nel nostro paese non dovrà aggirare in nessun caso il dettato di tale normativa. Il quale prevede - ricordiamolo - che l'aborto non può e non deve essere utilizzato come strumento contraccettivo ex post, né come mezzo di controllo e limitazione delle nascite (articolo 1); che l'interruzione volontaria della gravidanza è ammessa solo ed esclusivamente qualora sia in pericolo la salute della donna (articolo 6); che l'intervento abortivo può avvenire soltanto in strutture pubbliche e in strutture comunque convenzionate con lo Stato (articolo 8); che tutte le IVG che avvengono al di fuori delle regole stabilite dalla legge del 1978 sono da considerarsi a tutti gli effetti come un reato, punito con la reclusione, a seconda dei casi, da sei mesi a otto anni (articoli 17-19).


Ora, il problema che si è posto e che si pone con la RU486, come ha rilevato la Commissione Sanità del Senato (che al termine dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva ha chiesto il blocco della procedura di immissione in commercio in attesa di un parere vincolante da parte del ministero della Sanità), è dunque quello di stabilire in maniera certa se la sua somministrazione possa o no essere compatibile con la legge 194. Nel caso lo fosse, sarà compito degli enti a ciò preposti predisporre un rigido e rigoroso protocollo attuativo che faccia sì che la procedura di IVG mediante l'assunzione della RU486 si svolga per intero all'interno delle strutture ospedaliere pubbliche o nelle cliniche convenzionate, evitando in tutti i modi che negli ospedali abbia luogo soltanto la somministrazione della pillola e che la donna venga poi abbandonata al suo destino e abortisca in solitudine, con gravi rischi per la sua salute fisica e psichica. Nel caso invece di un parere negativo espresso dal ministero della Sanità, l'AIFA (Agenzia italiana del farmaco) non potrebbe fare altro che prenderne atto e bloccare in via definitiva la commercializzazione della RU486.


Come ha spiegato ieri il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, «la coerenza con la legge 194 si realizza solo se c'è il ricovero ospedaliero ordinario per tutto il ciclo fino all'interruzione verificata della gravidanza. Questo significa che bisognerà dar vita ad un monitoraggio rigoroso, perché nei fatti non si verifichi l'elusione sistematica della normativa vigente». Parole che riecheggiano quelle pronunciate dallo stesso Sacconi il 1° ottobre scorso, durante la sua audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva svolta dalla XII Commissione del Senato: allora il ministro, ricordando le sperimentazioni avviate in Italia sulla base di protocolli regionali, citò i due pareri espressi, rispettivamente nel 2004 e nel 2005, dal Consiglio Superiore di Sanità, nei quali si affermava chiaramente che «alla luce delle conoscenze disponibili, i rischi per l'interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti ai rischi dell'interruzione chirurgica solo se l'interruzione di gravidanza avviene totalmente in ambiente ospedaliero». Per questo l'aborto farmacologico deve avvenire - secondo il Consiglio Superiore di Sanità - «in un ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla legge, e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto».


La palla passa dunque al ministero della Sanità, che si esprimerà, come ha fatto sapere il sottosegretario Eugenia Roccella, in tempi brevi. L'orientamento, a quanto si apprende, è quello di dare via libera alla RU486, stabilendo però l'obbligo, «per chi decide di intraprendere l'aborto farmacologico e per le strutture stesse, di garantire il ricovero dall'assunzione della pillola all'espulsione del feto». Stando così le cose, non si capisce perché dalle file dell'opposizione si siano levate e si levino ancora in queste ore grida e accuse contro la maggioranza e contro il governo (la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro ha parlato di una «cinica battaglia che strumentalizza un bene primario come la salute delle donne», mentre per l'ex ministro Livia Turco quella del centrodestra è una «furia oscurantista che blocca la commercializzazione di un medicinale già utilizzato da milioni di donne, da molti anni»). Forse la sinistra si augurava che l'immissione in commercio della RU486 significasse una deregulation dell'interruzione volontaria di gravidanza e che l'introduzione della pillola aprisse la strada all'aborto fai-da-te, solitario e indolore. Purtroppo per la guache nostrana, non è questa la strada scelta dal centrodestra e dal governo Berlusconi, che rimangono fedeli - a differenza della sinistra più o meno libertaria - alle disposizioni della legge 194.


Gianteo Bordero

FONDAZIONE MEDIATERRANEO. 7 ANNI DI AFFITTI NON PAGATI AL COMUNE DI SESTRI LEVANTE

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE “IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


COMUNICATO STAMPA DEL 26 NOVEMBRE 2009


Chissà se il sindaco Lavarello e il direttore generale della Fondazione Mediaterraneo, il dottor Barreca, avranno informato i partecipanti al Forum sull’infanzia, svoltosi venerdì scorso presso l’ex Convento dell’Annunziata, del fatto che tale struttura non possiede, ad oggi, il certificato di agibilità. Visti i precedenti, dubitiamo che l’abbiano fatto: per sette anni, infatti, sulla mancanza dell’agibilità dell’Annunziata sia l’Amministrazione sestrese che la dirigenza della Fondazione hanno fatto calare una spessa coltre di silenzio, come del resto hanno taciuto sul fatto che tale assenza di agibilità è stata utilizzata come cavillo per evitare il versamento al Comune, da parte di Mediaterraneo, dei dovuti canoni di locazione, per un totale di oltre 730.000 euro (tutto questo - ricordiamo - mentre la Fondazione incassava gli affitti dalle società private che operano all’interno dell’ex Convento dell’Annunziata). Su questa incresciosa vicenda è in corso un’indagine della Corte dei Conti, a testimonianza della gravità dell’accaduto e a conferma del fatto che la gestione di Mediaterraneo, in tutti questi anni, ha lasciato quanto meno a desiderare.


Tale indagine dovrebbe spingere i protagonisti della vicenda alla cautela e alla moderazione, e invece ci tocca leggere sui quotidiani locali i fervorini del dottor Barreca contro le forze politiche che non erano presenti al convegno di venerdì. Ricordiamo al direttore generale di Mediaterraneo che in Consiglio Comunale, il 9 giugno, non abbiamo fatto mancare il nostro voto favorevole alla mozione finalizzata all’istituzione, a Sestri Levante, di un Centro per la tutela dei diritti dell’infanzia nei paesi dell’area del Mediterraneo: si trattava di una proposta che abbiamo ritenuto seria e che invece si è conclusa, come al solito, soltanto nell’ennesimo convegno presso i locali della Fondazione – un’iniziativa a cui la mozione non faceva alcun cenno.


A chi ci critica in maniera demagogica vogliamo ribadire che, quando riteniamo una proposta utile per la città, non abbiamo difficoltà ad approvarla. Ma quello che non possiamo fare è mettere la testa sotto la sabbia e fare finta che la conduzione della Fondazione sia all’altezza della situazione. Anzi: dobbiamo qui ripetere con chiarezza che una revisione radicale della gestione di Mediaterraneo sarà tra i primi punti all’ordine del giorno nella nostra agenda amministrativa. Oltre a sanare la questione degli affitti non pagati, vogliamo che la Fondazione e l’ex Convento dell’Annunziata diventino veramente - e non soltanto a chiacchiere - il fiore all’occhiello della città, il motore della promozione di un modello di turismo ambientale alternativo all’attuale modello di turismo caotico e da seconda casa che nulla di buono ha portato a Sestri Levante negli ultimi dieci anni.


Gianteo Bordero (capogruppo)

Marco Conti

Giancarlo Stagnaro

martedì 24 novembre 2009

IL DISPREZZO

da Ragionpolitica.it del 24 novembre 2009

Passano gli anni, passano i governi, passano le legislature. Ma la sinistra italiana è ancora ferma lì, a quel 23 novembre del 1993, giorno nel quale - come ha ricordato Paolo Del Debbio dalle colonne de Il Giornale - Silvio Berlusconi, durante l'inaugurazione di un nuovo supermercato a Casalecchio di Reno, creò con un geniale colpo di magia il centrodestra in Italia sol dichiarando che, se egli avesse dovuto votare al ballottaggio per l'elezione del sindaco di Roma, avrebbe senz'altro sostenuto Gianfranco Fini, e non Francesco Rutelli. Apriti cielo! Nel giro di ventiquattr'ore la sdegnata intellighenzia gauchista, custode e detentrice della sacra ed inviolabile legittimità politica nel nostro paese, segnò col marchio dell'infamia l'uomo di Arcore. Che da quel giorno cessò di essere l'imprenditore Berlusconi e divenne il Cavaliere nero, il distruttore dell'arco costituzionale, il pericoloso parvenu della politica che rischiava di mettere a repentaglio gli equilibri istituzionali della Repubblica.


Una raffigurazione di Berlusconi che si consolidò nei mesi immediatamente successivi, prima con la nascita di Forza Italia e poi con la clamorosa vittoria dell'alleanza di centrodestra alle elezioni del 27 marzo 1994. Una rappresentazione che da allora, nella sostanza, non è mai mutata nella mente della sinistra italiana e dei suoi guru politico-culturali. I quali, incapaci di comprendere i veri motivi per cui Berlusconi andava riscuotendo tanto successo presso l'elettorato e, contestualmente, di analizzare le ragioni del progressivo crollo di consensi degli eredi del Pci, preferirono sbrigarsela rispolverando la cara, vecchia dottrina del «popolo bue», ammaliato dalle sirene della televisione commerciale e dalla spettacolarizzazione della politica. Cioè dai due strumenti che, secondo i dotti e sapienti della gauche caviar, il diabolico Berlusconi utilizzava per mandare i cervelli all'ammasso e addomesticare la mano che avrebbe poi dovuto tracciare la croce sulla scheda elettorale.


Così, mentre Berlusconi, giorno dopo giorno, continuava a strappare consensi alla coalizione a lui avversa e conquistava palmo a palmo sempre maggiori porzioni di paese reale, la sinistra e i suoi (cattivi) maestri si rinchiudevano nei loro salotti non per un salutare ripensamento culturale e politico, bensì per vomitare tutta la loro rabbia acida contro il «Caimano», il «partito di plastica», i «nani e le ballerine», e per lanciare infuocati anatemi contro il «pericolo per la democrazia». I risultati di questa - chiamiamola così - strategia sono ora sotto gli occhi tutti: partiti ex, post e neo comunisti alla canna del gas; classi dirigenti in perenne stato confusionale, vagolanti nel buio politico più fitto; elettori della sinistra storica delusi, sconfortati, annoiati.


Di fronte all'evidenza di tale disastro, oggi sarebbe lecito attendersi, da parte di chi ne è stato all'origine, o un sincero mea culpa o un dignitoso silenzio. Pie illusioni. Speranze malriposte in chi ancora è convinto di essere circondato da una patina di superiorità morale, ontologica ed intellettuale che gli dà titolo ad ergersi a giudice di tutto e di tutti. Come Eugenio Scalfari, che, dopo 16 anni di fallimentari elucubrazioni politiche antiberlusconiane, incapace di accettare il fatto che il paese reale non risponda e non corrisponda ai desiderata suoi e della sua Repubblica, si lancia in una scomunica a tutto tondo non soltanto - com'è ovvio - di Berlusconi e dei dirigenti del suo partito, ma della realtà stessa, dell'Italia e degli italiani. Colpevoli, come un personaggio di Diderot, di essere diventati «amorali» e di aver smarrito, votando per il Cavaliere nero, il «senso del bene e del male». «Il mondo degli uomini senza qualità»: così Scalfari ha titolato la sua reprimenda domenicale. Ma il titolo giusto sarebbe stato «Il disprezzo»: disprezzo di tutto ciò che non va per il verso auspicato dall'intelligentissima cervice scalfariana. Un articolo da tramandare ai posteri non soltanto per spiegare il significato della parola «antiberlusconismo», ma anche per far loro comprendere in tutta la sua terribile profondità la crisi della sinistra italiana dopo quel 23 novembre 1993.


Gianteo Bordero

domenica 22 novembre 2009

AVANTI CON LE RIFORME

da Ragionpolitica.it del 21 novembre 2009

Con gli indicatori economici che iniziano a segnalare con regolarità l'inizio dell'uscita dell'Italia dalla crisi, e avviandosi quindi a conclusione la fase della gestione dell'emergenza protrattasi per dodici mesi, il governo Berlusconi può finalmente imprimere un'accelerata alla realizzazione dell'agenda riformatrice contenuta nel programma presentato agli elettori il 13 e 14 aprile del 2008. Non che nell'ultimo anno l'esecutivo non abbia messo in campo importanti provvedimenti «di sistema»: basti pensare, ad esempio, alla riforma della Pubblica Amministrazione fortemente voluta dal ministro Brunetta, all'avvio dell'iter che condurrà alla piena attuazione del federalismo fiscale, al disegno di legge sullo sviluppo promosso dal ministro Scajola, agli interventi in campo scolastico del ministro Gelmini, alla riforma del codice di procedura civile - solo per citarne alcuni tra i più rilevanti. Ma oggi, con il barometro della situazione economica che ha smesso di segnare tempesta (si vedano, da ultimo, i dati Istat relativi alla produzione industriale), vi sono le condizioni oggettive per mettere mano a nodi ancora insoluti, che non potevano essere sciolti mentre il governo era impegnato a tener dritta la barra del timone in mezzo ai marosi della crisi - un compito gravoso che però è stato svolto in maniera ferma e responsabile, con risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti: il paese ha reagito meglio di molti altri al periodo di grave difficoltà che ha investito l'intero pianeta, e anche grazie agli interventi studiati dall'esecutivo ha potuto evitare di vedere la crisi economica trasformarsi in una pericolosa e potenzialmente devastante crisi sociale.

Tra le riforme che il Berlusconi IV metterà in cantiere nei prossimi mesi spiccano per importanza quelle relative a tre grandi capitoli di governo: la fiscalità, la giustizia e le istituzioni. Per quanto riguarda il primo punto, è stato lo stesso presidente del Consiglio, pochi giorni fa, ad annunciare che, con l'uscita dalla fase acuta della crisi, l'esecutivo si dedicherà, sempre «compatibilmente con la situazione dei conti pubblici», da un lato ad una prima riduzione dell'Irap e, dall'altro lato, alla messa in cantiere del cosiddetto «quoziente familiare», in base al quale le tasse che il singolo dovrà pagare allo Stato saranno calcolate anche tenendo conto della composizione del nucleo familiare. Sul secondo tema, quello della giustizia, è già stato presentato al Senato il disegno di legge per ridurre i tempi dei processi, vera e propria piaga che affligge il sistema giudiziario italiano, mentre sono già in fase di discussione, nelle commissioni parlamentari, la riforma del processo penale e dell'avvocatura. A questi provvedimenti seguirà, come ha dichiarato venerdì il capo del governo nel suo messaggio alla sesta conferenza nazionale dell'Avvocatura, «l'indispensabile riforma costituzionale della giustizia, che porrà in condizione di effettiva parità l'accusa e la difesa nel processo». E sempre in tema di modifiche costituzionali - terzo capitolo di intervento riformista del governo - è ferma intenzione dell'esecutivo e della maggioranza portare avanti un progetto di ammodernamento delle istituzioni ripartendo da alcune proposte già contenute nella riforma costituzionale del 2001-2006, poi naufragata col referendum del giugno di quell'anno: rafforzamento dei poteri del premier, sfiducia costruttiva, riduzione del numero dei parlamentari. E, soprattutto, sarà sul tappeto la questione, già sollevata in modo esplicito da Berlusconi, dell'elezione diretta del capo del governo.

E' evidente che si tratta di riforme che avranno un forte impatto nei vari settori oggetto di intervento. Riforme - come detto in precedenza - «di sistema» che, per poter essere realizzate, richiedono due precondizioni politiche fondamentali: una maggioranza unita e determinata nel portare a termine il programma di governo e un forte sostegno dell'elettorato. Sulla prima questione, dopo giorni incerti e confusi, un punto fermo è stato posto dal presidente del Consiglio con la nota ufficiale del 18 novembre: smentendo categoricamente le insistenti voci di elezioni anticipate, Berlusconi ha affermato: «Il mandato che abbiamo ricevuto dagli elettori è di governare per i cinque anni della legislatura, ed è questo l'impegno che stiamo già portando avanti con determinazione e che intendiamo concludere nell'interesse del paese. La maggioranza che sostiene il governo è solida anche al di là di una dialettica interna che comunque ne accentua le capacità ideative». Sul secondo punto, quello che riguarda il consenso popolare, i sondaggi degli ultimi giorni da un lato confermano la tenuta del gradimento dei cittadini per l'azione di governo, dall'altro segnalano una crescita della fiducia nel principale partito di maggioranza, il Popolo della Libertà, che secondo l'ultima rilevazione effettuata dall'Istituto Piepoli per il quotidiano Libero riscuote il 38,5% dei consensi, con un +3,2% rispetto alle elezioni europee del giugno scorso.

E' chiaro, in conclusione, che le condizioni politiche ed economiche per poter procedere sul cammino delle riforme ci sono tutte. Quindi, avanti senza indugi per continuare l'opera di buongoverno iniziata un anno e mezzo fa.

Gianteo Bordero

giovedì 19 novembre 2009

ROSY, LA SACERDOTESSA DELL'ANTIBERLUSCONISMO TEOLOGICO

da Ragionpolitica.it del 19 novembre 2009

Rosy Bindi dovrebbe ringraziare Silvio Berlusconi: se il presidente del Consiglio non l'avesse apostrofata in diretta tv servendosi della battuta inventata qualche anno fa da Vittorio Sgarbi («Lei è più bella che intelligente»), probabilmente non sarebbe mai stata scelta per ricoprire la prestigiosa carica di presidente del Partito Democratico. E non sarebbe mai divenuta - lei, la casta e castigata cattolica della Val di Chiana, l'intransigente e bacchettona responsabile dell'Azione Cattolica - la nuova icona del femminismo gauchista, la paladina delle donne che resistono al rozzo maschilismo berlusconiano e che «non sono a disposizione» del Principe. Le recenti fortune politiche della Pulzella di Sinalunga sono dunque dovute, oltre che alla sua scelta di sostenere il cavallo vincente Bersani nella corsa alla segreteria del Pd, anche a una buona dose di grazia ricevuta proprio dal suo nemico numero uno.

Rosy, del resto, è sempre stata la teorica di quel tipo di antiberlusconismo che ha assunto, in parte del mondo cattolico, connotati finanche teologici: l'uomo di Arcore veniva (e viene) criticato non in ragione delle sue idee e proposte politiche, dei suoi programmi elettorali, bensì in quanto persona-simbolo di quella cultura individualista, edonista, scollacciata e godereccia che, nell'analisi dei catto-democratici, adulti e dossettiani, sarebbe all'origine del degrado morale che infesta la Penisola da almeno trent'anni a questa parte, cioè dalla nascita della tv commerciale con le sue trasmissioni «diseducative» e contrarie ai principi della dottrina cristiana. Insomma, questo antiberlusconismo ha finito con l'identificare in Berlusconi non un avversario politico da combattere con strumenti politici, ma l'icona stessa del Male da debellare con le scomuniche a mezzo Famiglia Cristiana, gli anàtema dai pulpiti, i vade retro e così sia. Il Sillabo di Pio IX, di fronte a tanto zelo dogmatico e anti-moderno, appare come un testo all'acqua di rose che pecca di ottimismo e moderatismo.

Non deve dunque stupire che oggi la Bindi, nella sua seconda giovinezza politica dopo quella che la portò alla ribalta nazionale come volto nuovo della Dc onesta e incorrotta negli anni cupi di Tangentopoli, cerchi di far fruttare politicamente questo suo antiberlusconismo da crociata, duro e puro, senza se e senza ma. Chi meglio di lei, infatti, dopo i casi Noemi, D'Addario e via gossippando, potrebbe incarnare quel tratto moralistico e perbenistico che non ha mai abbandonato la sinistra italiana nella sua versione post-comunista? Cosciente di ciò, Rosy la rossa ci marcia sopra senza indugi e tentennamenti. E poco importa se il segretario da lei stessa sostenuto cerchi, non senza indecisioni, di prendere le distanze dall'antiberlusconismo di principio che ha segnato le gesta del suo predecessore e in nome del quale Tonino Di Pietro cerca di erodere consensi al Pd al fine di presentarsi come il vero leader dell'opposizione... A tenere alta la bandiera del fondamentalismo anti-Cavaliere in casa democratica ci pensa lei, la pasionaria che non fa sconti a niente e a nessuno, la papessa del cattolicesimo adulto e responsabile, la sacerdotessa della probità (e della prodità) morale e sessuale.

Bastava ascoltarla l'altra sera, su Rai3, durante il programma Linea Notte, mentre recitava, di nero vestita, i misteri dolorosi del suo rosario antiberlusconiano: «Non abbiamo bisogno degli inviti di Di Pietro per mostrare il nostro antiberlusconismo»; «non mancheranno le nostre piazze, saranno molte di più»; «stiamo passando dalle leggi ad personam alle legislature ad personam»; «Berlusconi è imbarazzante non solo per l'opposizione, ma lo è per il paese e per la sua stessa maggioranza»; «il paese non può sopportare un conflitto d'interessi così invasivo e così permanente»; «anche oggi c'è una tentazione di cesarismo, c'è qualcuno (Berlusconi, off course, ndr) che vorrebbe il paese a propria disposizione». Ha voglia, Bersani, a prendere le distanze dall'Italia dei Valori, dai toni urlati e dai modi rozzi del suo leader, e ad invocare il ritorno a un confronto civile sulle questioni concrete nelle aule parlamentari, quando poi la presidentessa del suo stesso partito non sa proferire verbo politico alcuno al di là dell'avversione dogmatica, sistematica e preconcetta all'uomo di Arcore! La verità è che, mentre Pierluigi sussurra, la sua amica Rosy grida al paese quello che, ad oggi, è ancora l'unico punto programmatico del Pd, l'unica certezza che qualifica la sua proposta nell'anno di grazia 2009: far fuori dalla scena politica e dalla vita civile dell'Italia il leader del Pdl e tutto ciò che egli rappresenta. Gira che ti rigira, è sempre lì che torna la sinistra nostrana. Lì dove la Bindi l'aspetta: sulle sponde dell'antiberlusconismo totale.

Gianteo Bordero

martedì 17 novembre 2009

SESTRI LEVANTE. IL COMUNE CANCELLA L'INDENNITÀ DI RISCHIO AI SUOI IMPIEGATI

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE “IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


COMUNICATO STAMPA DEL 17 NOVEMBRE 2009


Mettere i dipendenti comunali nelle migliori condizioni per poter svolgere il loro lavoro fa parte dell’abc amministrativo, che dovrebbe caratterizzare qualsiasi Giunta. Invece, come al solito, a Sestri Levante si va in controtendenza. Dopo la pessima gestione, l’anno scorso, della vicenda delle progressioni orizzontali di carriera, ecco oggi l’incomprensibile decisione dell’Amministrazione Lavarello di tagliare le indennità di rischio ai dipendenti, riconosciute ormai da anni.

La scelta della Giunta è tanto più grave quanto più si tiene conto che le risorse di bilancio necessarie per addivenire ad un soddisfacente accordo con i dipendenti ci sono eccome. Non si vada dunque a raccontare agli impiegati comunali e alla cittadinanza la solita storiella della mancanza di fondi, visto che i denari spuntano miracolosamente dal cilindro magico dell’Amministrazione quando in ballo vi sono capitoli di spesa che evidentemente stanno più a cuore al Sindaco e ai suoi Assessori. Quando, ad esempio, si vanno a progettare opere faraoniche (e in alcuni casi inutili) come quelle di recente sottoposte all’attenzione del Consiglio Comunale, che comportano impegni di spesa plurimilionarii.

La situazione dei rapporti tra dipendenti comunali e Amministrazione, a quanto abbiamo appreso, è a dir poco tesa, e il malcontento regna sovrano a causa delle avventate decisioni della Giunta. In attesa di conoscere lo sviluppo degli eventi, e augurandoci che da parte del Sindaco vi sia un sussulto di buon senso in grado di evitare il peggio, chiediamo al primo cittadino se egli non ritenga necessario, dopo i fatti dello scorso anno e quelli di questi giorni, ritirare la delega al Personale all’Assessore Ceselli, che si è dimostrato palesemente non all’altezza della situazione e non in grado di garantire un proficuo rapporto tra dipendenti comunali e Amministrazione.


Gianteo Bordero (capogruppo)

Marco Conti

Giancarlo Stagnaro

sabato 14 novembre 2009

ANTONIO ROSMINI. «SAGGIO SUL COMUNISMO E SUL SOCIALISMO»

da Ragionpolitica.it del 14 novembre 2009

Il 9 novembre l'Occidente e il mondo libero hanno celebrato il ventennale della caduta del Muro di Berlino, evento che più di ogni altro ha segnato l'inizio della fine dei regimi comunisti appartenenti al blocco sovietico. Eppure, già 160 anni fa c'era chi, in qualche modo, aveva previsto tutto. E' una figura nota soprattutto agli studiosi di filosofia e di storia delle dottrine politiche, ma poco conosciuta presso il grande pubblico: Antonio Rosmini Serbati (Rovereto, 1797 - Stresa, 1855), sacerdote, filosofo, teorico del diritto e della politica, teologo, iniziatore di un movimento spirituale che ebbe tra i suoi figli personaggi di rilievo come il grande poeta Clemente Rebora. Autore di capolavori come la Filosofia della politica, la Filosofia del diritto, la Teodicea, le Cinque piaghe della Santa Chiesa, Rosmini fu una figura di primo piano non soltanto nell'elaborazione filosofica dell'Ottocento e nello sviluppo del pensiero cattolico in rapporto alle nuove correnti teoretiche del tempo, ma anche nelle vicende che portarono alla nascita dello Stato italiano. Propugnatore di un federalismo liberale finalizzato alla pacificazione tra le varie realtà statuali presenti nell'Italia di allora, egli fu vicino a far accettare al Papa Pio IX una forma di Confederazione che, se realizzata, avrebbe evitato sia al nostro paese che alla Chiesa cattolica decenni di tensioni e incomprensioni reciproche.

Rosmini ebbe dunque in dono una capacità non comune di vedere oltre le contingenze e di proiettare il suo sguardo oltre l'attualità. Come nelle Cinque piaghe della Santa Chiesa (1848) anticipò temi teologici che sarebbero stati poi ripresi 120 anni più tardi dal Concilio Vaticano II, così anche per quel che riguarda la riflessione politica egli individuò con una lucidità senza pari quelli che sarebbero stati gli esiti delle dottrine che in quel tempo andavano per la maggiore. Una tra queste dottrine, come detto, era quella comunista, non ancora segnata dall'opera di Marx, ma comunque già recante in sé i semi che avrebbero poi fruttificato - purtroppo - nei decenni a venire. Nel 1847 Rosmini espone sotto forma di discorso, presso l'Accademia dei Risorgenti di Osimo, il suo Saggio sul comunismo e sul socialismo, che verrà poi stampato a Napoli due anni più tardi e che oggi possiamo nuovamente apprezzare grazie all'editore Talete, che lo ha ripubblicato nella sua collana «Gli introvabili», con introduzione di Luigi Compagna.

Il Saggio è una critica serrata nei confronti dello «spirito di utopia» di cui erano intrise le dottrine socialiste e comuniste del tempo. L'idea portante dell'opera rosminiana è che queste teorie rappresentano il principale nemico della libertà e portano con sé i germi della violenza e del «dispotismo». Pensatori come Robert Owen, Saint-Simon, Charles Fourier - afferma Rosmini - dicono di voler cancellare le ingiustizie, sollevare la condizione dei poveri, realizzare un mondo nuovo in cui regni finalmente l'uguaglianza, portare a tutti gli uomini una «smisurata felicità» e la vera libertà; eppure i mezzi con i quali essi propongono di realizzare tutto ciò conducono, in sostanza, alla stessa negazione dei fini. Owen, ad esempio, «fonda la sua utopia filantropica sulla totale distruzione della umana libertà», perché pensa che l'individuo «soggiace ad un assoluto fatalismo» ed «è determinato necessariamente dagl'istinti ingeniti e dalle fortuite esteriori circostanze». Agli stessi risultati conduce la teoria di Fourier, che proclama «l'assoluto dominio di tutte le passioni come principio fondamentale» e «sull'ara delle passioni egli decreta che l'umana libertà sia immolata»; come potrà, infatti, essere libera e pacifica una società in cui non vi sia alcun freno alle opposte passioni degli uomini e ai loro istinti più bassi?

Se prese sul serio, le dottrine degli utopisti comunisti - annota Rosmini - non possono che produrre governi totalitari che necessariamente debbono usare la violenza per esercitare il loro potere sugli uomini. Governi che, per affermare concretamente un'idea astratta di uguaglianza e giustizia, cancellano ogni libertà e ogni diritto: la libertà di coscienza, la libertà religiosa, la libertà economica, la libertà politica, la libertà d'associazione, la libertà d'educazione, la libertà d'insegnamento. Tutto è assorbito dall'autorità pubblica, che, sotto la guida degli illuminati pensatori utopistici, è la sola titolata a stabilire che cosa è bene e che cosa è male per ciascuno. In questi «nuovi sistemi - scrive Rosmini - l'individuo non è più nulla e il governo è tutto». Infatti, «per levare ogni abuso si propone di concentrare le ricchezze tutte e tutti i poteri del mondo in mano al governo, a un governo sciolto da ogni morale obbligazione, da ogni timor di Dio e degli uomini, da ogni vincolo di coscienza, da ogni guarentigia a favore de' governati». In sintesi: il comunismo, «lungi dall'accrescere la libertà alle società ed agli uomini, procaccia loro la più inaudita ed assoluta schiavitù, li opprime sotto il più pesante, dispotico ed empio dei governi». Ognuno può vedere da sé come Rosmini avesse già allora perfettamente compreso quali sarebbero stati gli esiti nefasti dell'applicazione delle dottrine comuniste. La storia ha dato ragione al grande roveretano.

Gianteo Bordero

venerdì 13 novembre 2009

PRIMATO DELLA POLITICA E IMMUNITÀ PARLAMENTARE

da Ragionpolitica.it del 12 novembre 2009

Subito dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, lo scorso 7 ottobre, scrivemmo su queste pagine che l'Italia e il suo sistema istituzionale continuavano a pagare le conseguenze della sciagurata abolizione dell'immunità parlamentare, avvenuta nel 1993 sotto l'onda emotiva dei processi di Tangentopoli. Una decisione che ha comportato, nella sostanza, la messa sotto scacco del primato della politica nel nostro paese, assegnando alla magistratura un potere di veto sul parlamento eletto dal popolo sovrano. Che lo si voglia o no, è stata questa la vera, grande anomalia italiana degli ultimi quindici anni: il tentativo di certi giudici e pm di porre sotto tutela, tramite la perenne minaccia dell'avviso di garanzia, delle manette e della carcerazione preventiva, la rappresentanza democratica. Un tentativo sostenuto da buona parte del sistema mediatico nazionale, che ha contribuito a diffondere nell'opinione pubblica l'ideologia dell'antipolitica, che come un tarlo ha roso a poco a poco la coscienza civile del paese, fino al punto di far credere che tutto ciò che reca il timbro dell'autorità giudiziaria porta con sé il carattere dell'infallibilità, mentre le azioni della politica sono per ciò stesso disoneste, corrotte, immorali. Se l'immunità parlamentare aveva garantito per quarant'anni il sacrosanto principio secondo cui l'ultimo giudice delle scelte politiche rimane l'elettore, la sua abolizione ha consegnato questo potere ai magistrati, recando un oggettivo vulnus al nostro sistema democratico.


Cestinato il Lodo Alfano, che proponeva non il ritorno all'immunità, bensì, più modestamente, la sospensione dei processi per le quattro alte cariche dello Stato, il problema è tornato a porsi in tutta la sua gravità. Infatti, che certi togati cerchino ancora oggi di determinare le sorti politiche del paese è un dato di realtà che solo i giustizialisti accecati dal fanatismo ideologico possono non vedere. L'esistenza della volontà di espellere dalla scena colui che nel 1994, legittimato dal voto popolare, impedì con la sua discesa in campo l'ascesa al potere del gran connubio tra partiti di sinistra e giudici, non è un argomento propagandistico creato ad arte dal centrodestra, ma emerge in modo chiaro dalle stesse dichiarazioni di taluni magistrati. Come, da ultimo, Antonino Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, che durante un recente convegno organizzato dall'Italia dei Valori ha chiamato alla lotta totale contro le annunciate riforme del governo in materia di giustizia. Ingroia, esponente di quella Magistratura Democratica che tra i suoi obiettivi storici ha l'abbattimento dello «Stato borghese» tramite l'azione giudiziaria, è lo stesso che su Micromega, assieme al collega Roberto Scarpinato, scriveva qualche tempo fa che è possibile «sospendere autoritativamente la democrazia aritmetica, al fine di salvaguardare la democrazia sostanziale, cioè il bene comune della generalità dei cittadini contro la stessa volontà della maggioranza». Sono frasi che si commentano da sole e che dovrebbero far preoccupare chiunque abbia davvero a cuore la democrazia in Italia e l'equilibrio tra poteri nella nostra Repubblica.


Tornare a garantire il primato della politica e della sovranità popolare è un imperativo che dovrebbe essere fatto proprio da tutti i partiti che ambiscono al governo del paese. Il Popolo della Libertà si è già mosso in questa direzione: l'onorevole Margherita Boniver, ad esempio, ha presentato l'11 novembre alla Camera un progetto di legge costituzionale finalizzato al ripristino dell'immunità parlamentare nell'articolo 68 della Carta fondamentale. E il capogruppo a Montecitorio del partito, Fabrizio Cicchitto, ha dichiarato che, nel quadro della riforma della giustizia allo studio della maggioranza, sarà da ricomprendersi anche il riequilibrio del «delicato rapporto tra politica e magistratura», messo in crisi dalla cancellazione dell'immunità nel 1993.


Dunque, dopo anni di predominio culturale del giustizialismo, riflettere sull'istituto dell'immunità parlamentare non è più tabù, perché è questo uno degli strumenti principali per porre fine all'anomalia di un potere giudiziario che cerca di sostituirsi alla volontà del corpo elettorale nella selezione dei rappresentanti del popolo. Come ha ricordato il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, nel suo editoriale del 9 novembre: «I padri costituenti che inserirono nella Carta l'immunità parlamentare lo fecero non perché erano dei malandrini, ma perché consideravano quella norma necessaria per evitare che il potere giudiziario arrivasse a condizionare il potere politico... Non fu di certo un'idea stravagante: strumenti diversi, ma con le stesse finalità, sono previsti in Germania, Inghilterra, Spagna, e dell'immunità beneficiano anche i parlamentari di Strasburgo». Dopo l'ondata giacobina di Mani Pulite, che portò all'auto-castrazione della politica con la cancellazione dell'immunità dal testo costituzionale, oggi sono maturi i tempi affinché quello che Minzolini definisce un «vulnus all'equilibrio tra i poteri» sia definitivamente sanato.


Gianteo Bordero

lunedì 9 novembre 2009

SESTRI LEVANTE. MOZIONE DI PDL E LEGA PER GARANTIRE LA PRESENZA DEL CROCIFISSO NELLE SCUOLE

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE “IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


9 NOVEMBRE 2009

OGGETTO: MOZIONE


I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI COMUNALI

Gianteo BORDERO, Marco CONTI, Giancarlo STAGNARO


CHIEDONO


Che venga inserita all’Ordine del Giorno della prossima seduta di Consiglio Comunale la seguente mozione:


«INIZIATIVE A TUTELA DELLA PRESENZA DEL CROCIFISSO NELLE AULE SCOLASTICHE DEL COMUNE DI SESTRI LEVANTE – ESPRESSIONE DI SENTIMENTO AVVERSO LA SENTENZA “LAUTSI v. ITALY” EMESSA DALLA CORTE EUROPA DEI DIRITTI DELL’UOMO IN DATA 3 NOVEMBRE 2009»


E PROPONGONO


Di sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno:


IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE


  • Venuto a conoscenza della sentenza con la quale, il 3 novembre 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso della signora Soile Lautsi, di Abano Terme (Padova), avverso lo Stato italiano a causa della presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica;
  • Appreso che tale sentenza afferma che «l'esposizione nelle classi delle scuole statali di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo» non può garantire «il pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una "società democratica"».
  • Appreso inoltre che tale sentenza definisce la presenza del crocifisso nelle scuole pubbliche «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione della «libertà di religione degli alunni».
  • Considerato il ricorso presentato dal governo italiano avverso la suddetta sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo;
  • Richiamate le norme regolamentari dell’articolo 118 Regio Decreto n. 965 del 1924 e allegato C del Regio Decreto n. 1297 del 1928, che dispongono che in ogni aula sia presente il crocifisso.
  • Vista la sentenza del Consiglio di Stato numero 556/2006, nella quale si afferma che: «In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, l’esposizione del crocifisso, per credenti e non credenti, sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte “laico”, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni. Ora è evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana. Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i “Principi fondamentali” e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano. Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica “laicità”, confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano. Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere “laicamente” sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati. Come ad ogni simbolo, anche al crocifisso possono essere imposti o attribuiti significati diversi e contrastanti, oppure ne può venire negato il valore simbolico per trasformarlo in suppellettile, che può al massimo presentare un valore artistico. Non si può però pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato».
  • Ritenuta la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche della scuola pubblica un importante richiamo alle radici culturali e spirituali dell’Italia e dell’Europa, che in alcun modo offende la libertà e la sensibilità degli studenti, ma al contrario simboleggia in massimo grado il valore della dignità della persona su cui si fondano il vivere civile e l’ordinamento giuridico della Repubblica italiana.

IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA


  • A manifestare con atto ufficiale presso la Corte europea dei diritti dell’uomo i sentimenti di riprovazione del Consiglio Comunale di Sestri Levante nei confronti della sentenza in oggetto;
  • A garantire la presenza del crocifisso in tutte le aule scolastiche della città;
  • A sollecitare la promozione, nelle scuole cittadine, di incontri e momenti di approfondimento riguardo al significato della presenza del crocifisso nelle aule, sottolineandone i legami con la storia culturale e spirituale dell’Italia e dell’Europa.

UNA VIA PER IL "9 NOVEMBRE, GIORNO DELLA LIBERTÀ"

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE “IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


9 NOVEMBRE 2009

OGGETTO: MOZIONE


I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI COMUNALI

Gianteo BORDERO, Marco CONTI, Giancarlo STAGNARO


CHIEDONO


Che venga inserita all’Ordine del Giorno della prossima seduta di Consiglio Comunale la seguente mozione:


«IL VENTENNALE DELLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO – INTITOLAZIONE DI UNA VIA AL 9 NOVEMBRE, GIORNO DELLA LIBERTÀ»


E PROPONGONO


Di sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno:


IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE


PREMESSO CHE:


  • Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino, concreta rappresentazione di quella “Cortina di ferro” che materialmente divideva in due una città, ma in realtà separava l’Europa da se stessa.
  • Il 9 novembre 2009 è ricorso il ventennale di quell’evento storico.

CONSIDERATO CHE:


  • Il Muro di Berlino venne eretto in una sola notte il 13 agosto del 1961 per ordine dell’Unione Sovietica di Nikita Kruscev: una barriera di filo spinato alta quattro metri, che seguiva i contorni del settore sovietico della città e divideva strade, quartieri, giardini, case e cimiteri. Presto il reticolato lasciò il posto a chilometri di blocchi di calcestruzzo costellati da torri di avvistamento, radar e centinaia di postazioni di mitragliatrici con le bocche puntate verso l’Ovest della città;
  • I soldati della Germania Orientale che presidiavano il confine sparavano su chiunque tentasse di oltrepassare la barriera di filo spinato al punto che oltrepassare il confine era un’impresa impossibile;
  • Nonostante ciò i tentativi di fuga erano all’ordine del giorno e più di 260 persone morirono dal 1961 al 1989 sotto il fuoco dei Vopos, i “Poliziotti del Popolo”, per aver tentato di passare al di là del Muro in cerca della libertà;
  • Finalmente verso la fine degli anni ‘80 le manifestazioni popolari sorte in maniera spontanea nei paesi dell’Est europeo spinsero migliaia di giovani a sfidare i regimi comunisti rivendicando riforme in senso democratico;
  • Il 9 novembre del 1989 si sbriciolava il Muro di Berlino e dopo 28 lunghi anni finiva l’incubo di Berlino e dell’Europa.

RILEVATO CHE:


  • La Legge 15 aprile 2005 n. 61 ha finalmente riconosciuto il 9 novembre “Giorno della libertà”, quale ricorrenza dell’abbattimento del Muro di Berlino, “evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”;

IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA:


  • Ad intitolare una via, una piazza o un giardino della città al “9 novembre 1989 – Giorno della Libertà”.

sabato 7 novembre 2009

IL VECCHIO CHE AVANZA

da Ragionpolitica.it del 7 novembre 2009

«E' il nuovo che avanza, non lo senti il suo viavai», cantava Antonello Venditti pochi anni dopo l'avvento del berlusconismo politico nel nostro paese. Oggi, dopo aver ascoltato il discorso programmatico di Pierluigi Bersani di fronte all'Assemblea Nazionale del Pd, potremmo parafrasare il cantautore romano e dire che, dalle parti della sinistra italiana, «è il vecchio che avanza». Lo stile Bersani, per quanto egli si sforzi di dare qualche incipriata di novità al Partito Democratico, rimane quello del vecchio dirigente del Pci, dell'ex presidente di Comunità Montana. Lo stile - così lui l'ha chiamato - «da bocciofila». Meglio sarebbe dire da Festa dell'Unità del piccolo paese, con le salamelle, la piadina, il Lambrusco, il torneo di carte e l‘orchestra del liscio...


«Nostalgia canaglia», direbbero Albano e Romina. E va bene che dopo l'ubriacatura collettiva del nuovismo di Veltroni ci voleva una robusta frenata, qualcuno che facesse tornare il Partito Democratico con i piedi per terra dopo i voli pindarici di Walter il sognatore, l'Obama «de noantri». Ma qui si è esagerato, perché non c'è stata soltanto la frenata: il terzo segretario del Pd ha innestato con decisione la retromarcia e ha fatto capire che la musica che suonerà il Pd nei prossimi anni non sarà più il pop veltroniano, ma la ballata folk in stile gucciniano. Dal «Mi fido di te» jovanottiano alla «Locomotiva», con tutti i suoi richiami al bel tempo che fu, il proletariato, gli operai, le fabbriche, la lotta contro le ingiustizie...


E allora corre, corre, corre la locomotiva bersaniana. Ma corre all'indietro. Se il Veltroni del Lingotto auspicava la «nuova stagione», la fine dell'antiberlusconismo, il dialogo leale tra due grandi partiti, l'uscita definitiva dal Novecento, il partito «liquido» e postmoderno, Bersani non rinuncia ai vecchi, cari temi della lotta al Cavaliere (sulla riforma della giustizia, ad esempio, ha detto che il problema è rappresentato dalla «insuperabile interferenza di questioni che si riferiscono alla situazione personale del premier» e «dalla aggressività e dalla volontà di rivincita scagliate contro il sistema giudiziario e la magistratura»), della grande coalizione tra le forze di sinistra (il Pd si rivolgerà «a tutte le forze di opposizione», da quelle parlamentari a quelle rimaste sotto la soglia per entrare a Palazzo, «come Sinistra e Libertà, Verdi, formazioni civiche e di origine socialista e repubblicana»), del partito «solido» e fortemente radicato sul territorio.


«Costruire il partito, preparare l'alternativa», dice Bersani. Ma intanto c'è da sbrigare la pratica delle nomine e del riassetto interno della nomenklatura. Ed anche qui il ritorno alle vecchie logiche è garantito. Bisogna accontentare tutte le correnti e correntine, trovare il posto ad ognuno in modo che nessuno si lamenti, Franceschini e Marino in primis. Perché vanno bene le primarie e la lotta serrata tra diverse idee di partito, ma poi mica si può fare troppo sul serio e mandare a casa gli sconfitti. E allora, via col manuale Cencelli per sistemare il tale qui e il tal'altro là, in un gioco di potere ed equilibrio interno da far rimpiangere la tanto deprecata Prima Repubblica. A rimanere fuori dalla «gestione plurale» sono solo gli assenti: Romano Prodi, che ha declinato l'invito a diventare presidente del partito (carica assegnata a Rosy Bindi, evvai!), Walter Veltroni, ormai in tutt'altre faccende affaccendato, e Francesco Rutelli, che ha sciolto gli ormeggi in direzione Casini dopo la vittoria di Bersani alle primarie. Tre «padri nobili» del Pd che, per un motivo o per l'altro, hanno intrapreso altre strade rispetto a quella impervia che oggi si appresta a percorre il nuovo segretario: tenere in vita un partito che a soli due anni dalla nascita rischia di soffocare sotto il peso della storia politica dei suoi padri.


Gianteo Bordero

giovedì 5 novembre 2009

IL PREMIER ELETTO DAL POPOLO

da Ragionpolitica.it del 5 novembre 2009

E così il dado è tratto. Silvio Berlusconi dichiara, nel nuovo libro di Bruno Vespa, che il «titolare del potere esecutivo» deve essere «scelto direttamente dal popolo». Lo aveva già fatto intuire, il presidente del Consiglio, nel suo intervento alla Festa della Libertà di Benevento, l'11 ottobre, quando aveva affermato che «dobbiamo trovare il modo di riportare il nostro paese sulla strada di una vera e compiuta democrazia, dando ai cittadini la possibilità di scegliere coloro da cui vogliono essere governati». Ora il Cavaliere non lascia spazio a dubbi interpretativi. Precisa che «sarà il parlamento, nei prossimi mesi, a definire quale sia il modello più adatto alla realtà italiana», ma sottolinea in modo netto che è ormai giunto il tempo in cui «la Costituzione formale» deve essere «aggiornata e messa al passo con la realtà del paese». Si tratta, in sostanza, di formalizzare nel testo scritto della nostra Carta fondamentale le modifiche materiali che sono intervenute nella vita politica della Repubblica italiana a partire dal 1994. Cioè da quando, con l'ingresso in politica di Berlusconi e la nascita del bipolarismo, la battaglia elettorale si è trasformata da una competizione tra partiti in una competizione tra i leader dei due schieramenti.


Perché tale modifica della Costituzione formale non abbia ancora avuto luogo è presto detto: la sinistra ha continuato, in questi tre lustri, a descrivere l'elezione diretta del capo del governo come l'anticamera del ritorno del fascismo nel nostro paese. E lo ha fatto arroccandosi in modo anacronistico sul testo del 1946 - un testo nato alla fine del Ventennio e quindi finalizzato a creare un sistema istituzionale nel quale il potere esecutivo fosse posto permanentemente sotto scacco da un assemblearismo esasperato, fondato sulla preminenza dei partiti, di fatto divenuti i veri detentori della sovranità repubblicana. Che tutto ciò non fosse più sostenibile cinquant'anni dopo, in un mondo nel quale si imponevano scelte rapide ed efficaci da parte dei governi e in un'Italia che aveva preso atto dell'involuzione autoreferenziale del sistema dei partiti e chiedeva a gran voce un rinnovamento delle istituzioni, molti esponenti della gauche nostrana lo avevano ben compreso, ma in nome di un comodo antiberlusconismo hanno preferito continuare a ripetere la cantilena del «nuovo Duce», dell'«assalto alla Costituzione», del «ritorno del totalitarismo» e via strologando. Dopo la vittoria elettorale del centrodestra nel 2008 e la fine della cosiddetta «egemonia culturale della sinistra» - che ancora nel 2006 era riuscita a cancellare per via referendaria la riforma costituzionale varata dall'allora Casa delle Libertà nella XIV legislatura - i tempi sono ormai maturi per procedere all'aggiornamento della Carta indicato da Berlusconi.


«Aggiornamento» - si badi - e non «stravolgimento». Perché non si tratta di inventare ex novo strane modifiche del dettato costituzionale, bensì, come ha sottolineato il presidente del Consiglio, di adeguare la Costituzione formale alla Costituzione materiale. La quale prevede già, di fatto, l'elezione diretta del capo del governo, dal momento che la legge elettorale vigente (varata nel 2005 accogliendo una prassi ormai ben accetta dagli italiani) ammette la possibilità di indicare all'interno dei simboli di partito il nome del loro leader e, soprattutto, stabilisce che «i partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione» (e tanto basta per confutare quanto scritto da Giovanni Sartori sul Corriere della Sera del 30 ottobre, e cioè che «il voto per Berlusconi è in realtà soltanto il voto conseguito dal Pdl»).


Dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, che ha inspiegabilmente rigettato la definizione della figura del presidente del Consiglio come «primus super pares», proposta dagli avvocati difensori del Lodo sulla base della citata norma della legge elettorale, non rimane che percorrere la strada della modifica formale della Costituzione, mettendo finalmente per iscritto ciò che i cittadini hanno già fatto proprio da diversi anni.


Gianteo Bordero

martedì 3 novembre 2009

SE L'EUROPA RINNEGA SE STESSA

da Ragionpolitica.it del 3 novembre 2009

Vogliono rubarci l'anima, strapparci via dalle nostre radici, cancellare la nostra storia. Nel nome della tolleranza e di una falsa e deformata idea di libertà e democrazia vogliono spolpare la nostra identità. Vogliono oscurare la fede dei nostri padri e dei nostri nonni. Con le poche pagine di una sentenza vogliono condannare venti secoli del nostro cammino di civiltà. E pretendono di farlo, come si suol dire, «in punta di diritto», cioè avendo come fine la giustizia. Infatti, secondo i giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo che hanno condannato l'Italia per la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, «l'esposizione nelle classi delle scuole statali di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo» non può garantire «il pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una "società democratica"». Inoltre tale esposizione rappresenterebbe «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione della «libertà di religione degli alunni».


Povera Europa, ridotta ad affidare la tutela dei diritti umani ad un'élite di giuristi che rinnega l'essenza stessa dell'identità europea, nella convinzione che una presunta neutralità religiosa possa portare vantaggi in termini di convivenza col «diverso», di crescita della qualità civile, di progresso sociale del Vecchio Continente. Una tesi talmente astratta che ogni volta che essa è stata messa in pratica concretamente - si veda il caso francese - ha prodotto soltanto disastri, acuendo i conflitti e lasciando campo libero ad un laicismo nichilista e sbracato le cui nefaste conseguenze oggi si iniziano soltanto ad intravvedere. Arrivare ad imporre all'Italia il pagamento di un'ammenda di 5.000 euro come risarcimento per «danni morali» al figlio della donna che ha presentato ricorso presso la Corte di Strasburgo a causa della presenza del crocifisso a scuola, è veramente uno dei punti più bassi mai raggiunti da un'Europa che sembra incamminata a passo svelto verso il più drammatico tradimento di se stessa, della sua storia, delle sue fondamenta spirituali.


Ma, più di tutto, quello che lascia sgomenti di fronte alla sentenza della Corte europea è la totale incomprensione del significato più profondo della presenza del crocifisso nei luoghi pubblici: che non è innanzitutto quello di propagandare una religione; non è quello di indottrinare gli «infedeli»; non è quello di affermare il predominio di un credo sulle istituzioni laiche. Quel pezzo di legno con la figura del Cristo morente può essere invece guardato, rispettato e amato da tutti, credenti o non credenti, devoti o atei, perché in esso si concentra la misteriosa esperienza di un uomo che si è detto Dio non attraverso una manifestazione di potenza, e quindi di potere e di predominio, non con le spade e con gli eserciti, non con l'uccisione del nemico, bensì attraverso il dono di sé, l'umiliazione, la debolezza, attraversando fino in fondo la condizione umana, assumendo su di sé il vertice della sofferenza, offrendo se stesso come sacrificio «per la salvezza di molti».


I giudici europei non hanno compreso che qui non siamo di fronte a una religione, a una dottrina, a un insieme di precetti, ma a un fatto. Un fatto che sfida la coscienza e la libertà di ognuno senza nulla imporre. Un fatto che, a partire dalla Gerusalemme di 2000 anni fa, nel corso della storia - e in modo così particolare nella storia europea - è stato capace di generare una civiltà dove la persona è difesa, tutelata e valorizzata proprio in forza dell'evento sorgivo della croce. Perciò il crocifisso non è la «violazione dei diritti», ma è la fonte del rispetto che ad essi si deve, in ogni tempo ed in ogni spazio.

Gianteo Bordero