domenica 30 agosto 2009

LO STATO DEI RAPPORTI GOVERNO-CHIESA

da Ragionpolitica.it del 29 agosto 2009

Con una nota diffusa venerdì da Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio ha stigmatizzato la scelta de Il Giornale di sbattere in prima pagina, con titolo di apertura e relativo editoriale di Vittorio Feltri, una vicenda riguardante la vita privata del direttore del quotidiano della CEI Avvenire, Dino Boffo. Nel comunicato stampa, il premier ha sottolineato che «il principio del rispetto della vita privata è sacro e deve valere sempre e comunque per tutti». E ha aggiunto: «Ho reagito con determinazione a quello che in questi mesi è stato fatto contro di me usando fantasiosi gossip che riguardavano la mia vita privata presentata in modo artefatto e non veritiero. Per le stesse ragioni di principio non posso assolutamente condividere ciò che pubblica oggi Il Giornale nei confronti del direttore di Avvenire e me ne dissocio».


Pensiamo che alla base della nota del presidente del Consiglio vi sia anche la volontà di mantenere i buoni rapporti esistenti con i vertici ecclesiali. Non c'è infatti mai stato, nella storia dell'Italia repubblicana, un governo così amico della Chiesa come l'attuale, che ha fatto della difesa e della promozione delle radici cristiane del paese uno dei fiori all'occhiello della sua azione. La maggioranza berlusconiana, dal 2001, ha prodotto diverse leggi in sintonia con l'insegnamento della Chiesa nelle materie della vita e della famiglia. Ha contribuito a far naufragare il referendum del 2005 sulla procreazione assistita. Più di recente, si è prodigata fino all'ultimo, nei modi che tutti conoscono, per riuscire a salvare la vita di Eluana Englaro, condannata a morte da una sentenza della magistratura che ha dichiarato legittima la sospensione della nutrizione e dell'idratazione. Insomma, sull'impegno del governo Berlusconi nelle materie che toccano da vicino il magistero papale e sullo stato dei rapporti tra il presidente del Consiglio e le più alte gerarchie vaticane non si possono nutrire dubbi (per averne conferma basta leggere alcuni passaggi dell'intervista rilasciata il 28 agosto dal segretario di Stato di Benedetto XVI, cardinal Tarcisio Bertone, all'Osservatore Romano).


Non è difficile comprendere quanto sia importante mantenere questi buoni rapporti: nella nostra storia repubblicana non ha mai rappresentato un punto di forza, per una maggioranza parlamentare o per un governo, dare l'impressione di una contrapposizione con la Chiesa italiana, sia nei suoi vertici che nella sua «base». E non soltanto per motivi elettorali e di consenso, ma anche e soprattutto perché ciò che la Chiesa rappresenta viene percepito ancora oggi, da un'ampia maggioranza di cittadini, come parte non secondaria dell'identità nazionale. E anche molti tra coloro che non si professano credenti ritengono che la storia e la dottrina cristiane siano un punto di riferimento imprescindibile per pensarsi parte del popolo italiano.


Non c'è bisogno di andare troppo indietro nel tempo per avere contezza delle conseguenze politicamente esiziali che discendono da un atteggiamento anche solo in apparenza ostile alla Chiesa: basti pensare all'esecutivo di Romano Prodi e ai frutti prodotti dalle quotidiane dichiarazioni anti-cattoliche di suoi esponenti di spicco, dai tentativi di varare leggi in palese contrasto con la cultura cristiana che ha permeato il popolo italiano, dalle reiterate minacce dei Radicali di una nuova breccia di Porta Pia attraverso l'abolizione del Concordato, dalle professioni di «cattolicesimo adulto» dell'allora presidente del Consiglio e della sua ministra Rosy Bindi, dall'incapacità di garantire al Papa di parlare in una università italiana... I risultati di tale politica non furono certo memorabili.


Perciò è importante che tutti i rappresentanti del centrodestra ed anche i cosiddetti «giornali d'area» non forniscano all'opinione pubblica e ai media politicamente e culturalmente avversi, con dichiarazioni ad effetto o con aggressive campagne di stampa, l'alibi per descrivere una battaglia in corso tra la maggioranza e i vertici ecclesiali. Occorre semmai raddoppiare gli sforzi per mostrare come l'attuale esecutivo, a differenza di quello che l'ha preceduto, si stia impegnando concretamente sui temi della vita, della famiglia, dell'economia sociale di mercato, il tutto secondo il motto «la persona prima di tutto», che riassume in poche parole il senso e il messaggio della dottrina sociale della Chiesa. In questa direzione vanno sia gli apprezzati interventi dei ministri Maurizio Sacconi prima e Giulio Tremonti poi al Meeting di Rimini, sia la nota che Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, rispettivamente presidente e vice-presidente del gruppo del Pdl al Senato, hanno scritto in risposta alle dichiarazioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini, in merito alla legge sul testamento biologico.


Gianteo Bordero

mercoledì 26 agosto 2009

LA DIGNITÀ DI PLACANICA

da Ragionpolitica.it del 26 agosto 2009

Otto anni sono lunghi. E lo diventano ancora di più quando ci si ritrova ad essere bersaglio di una rumorosa campagna di odio e linciaggio morale. Quando il proprio nome viene abbinato ai peggiori crimini e alle peggiori nefandezze possibili. Quando la vita diventa un inferno perché sembra che la verità non trovi più spazio né ascolto, e tutto ceda al potere della menzogna. Otto anni sono stati lunghi per il carabiniere Mario Placanica, in attesa che qualcuno ponesse fine al suo incubo e gli restituisse non soltanto la piena dignità civile, la dignità di un fedele servitore dello Stato, ma anche la piena dignità personale. Dal 20 luglio del 2001 il nome di Mario Placanica è stato trasformato, da una rozza e cinica propaganda a senso unico, in sinonimo di spietato assassino, di vigliacco omicida, di killer senza scrupoli. E' diventato, per tutta la moltitudine no globalista, e più in generale per larga parte della sinistra italiana, il nuovo simbolo della violenza dello Stato fascista che uccide i suoi figli ribelli, i dissidenti, gli oppositori del regime.

Ora, grazie al cielo, un tribunale mette fine a questa infame e torbida guerra verbale e psicologica contro un solo uomo. La Corte europea dei diritti dell'uomo, cui avevano fatto ricorso i legali della famiglia di Carlo Giuliani dopo la sentenza del tribunale di Genova che aveva parlato di «uso legittimo delle armi», ha ribadito che Placanica, quel tragico giorno, agì per legittima difesa, perché aveva «onestamente percepito un pericolo, reale e imminente, per la sua vita e per quella dei suoi colleghi». Qui, oltre alla conferma della legittima difesa, è da sottolineare quell'avverbio di modo («onestamente») usato dalla Corte europea, che fa piazza pulita di tutte le ombre che in questi anni sono state alimentate ad arte attorno alla figura e all'operato del carabiniere.

«C'è stata tanta, tanta sofferenza in questi anni. Come ho vissuto è stato peggio che essere in carcere», ha detto Placanica martedì sera al Tg1. Ora, finalmente, egli si vede riconosciuto da un giudice quello che un'opinione pubblica priva di paraocchi ideologici avrebbe dovuto riconoscergli sin dall'inizio. Se ciò non è accaduto, dal 2001 ad oggi, è perché la mitologia del carabiniere cattivo e del contestatore buono è servita per riproporre ancora una volta, nella travagliata storia dell'Italia repubblicana, la trita e ritrita teoria dello Stato oppressore, che soffoca nel sangue ogni tentativo di cambiare davvero le cose, ogni movimento che punta ad instaurare la vera giustizia sociale, ogni protesta delle masse contro l'arroganza del potere. Del resto, era troppo ghiotta, l'occasione offerta dai fatti del G8 genovese, per lasciarsela scappare, anche se ciò ha voluto dire, in fin dei conti, sacrificare sull'altare della mai sopita utopia rivoluzionaria il dramma reale rappresentato dai fatti di Piazza Alimonda.

Tutti coloro che da allora hanno usato la figura di Carlo Giuliani come quella di un martire nel cui nome alimentare la battaglia politica, ed hanno contestualmente creato il «mostro» Mario Placanica come icona del nemico da abbattere, dovrebbero oggi, di fronte alla sentenza della Corte europea, fermarsi a riflettere: l'occasione è propizia per mettere finalmente da parte l'ideologia e per leggere sotto una nuova luce - quella della verità - gli avvenimenti del luglio 2001.

Gianteo Bordero

sabato 22 agosto 2009

E SE TORNASSE ROMANO?

da Ragionpolitica.it del 22 agosto 2009

E se tornasse Romano? Nessuno, nel centrosinistra, ha il coraggio di dirlo e di auspicarlo apertis verbis, però è chiaro che tra i partiti della fu Unione prodiana qualche nostalgia c'è. Spesso il nome del Professore viene evocato nei comizi e nelle arringhe pubbliche dei dirigenti per ricordare il bel tempo che fu, le gloriose vittorie sul Cavaliere nel 1996 e nel 2006, l'epoca dell'ulivismo rampante, della sinistra al governo del paese... E ogni volta che quel nome viene pronunciato, giù applausi a non finire, e magari qualche «furtiva lagrima» scende a bagnare il viso dei militanti delusi e traditi. E poco importa se la crisi in cui oggi si contorce la gauche nostrana è in gran parte ascrivibile proprio al malriuscito esperimento dell'Unione, con cui si tentò di tenere insieme, sotto lo stesso tetto, Rutelli e Diliberto, Mastella e Di Pietro, la Binetti e la Bonino, Dini e Bertinotti, e via accoppiando. Poco importa se fu proprio negli ultimi due anni di governo del Professore che il gradimento popolare nei confronti dei partiti del centrosinistra colò a picco. Poco importa se lo spettacolo fornito agli italiani da quella coalizione litigiosa e improbabile provocò nell'elettorato storico dei partiti che la componevano un senso di noia e repulsione, se non di nausea. Ciò che conta è che il nome di Prodi è rimasto l'unico sinonimo di «gloria» e «vittoria» nell'immaginario collettivo di una sinistra che oggi si ritrova letteralmente a pezzi, priva di rotta, incapace di definire una proposta politica degna di tal nome e di costruire una vera alternativa di governo.

Corrado Guzzanti, qualche tempo fa, si è esibito in una magistrale imitazione del Professore: un pensionato che, dopo la caduta del suo governo, sta alla stazione «fermo», «immobile», «dietro la sua bella linea gialla»: passano i giorni e le settimane, passano i mesi e le stagioni, e Prodi è lì che aspetta, che attende al varco i suoi alleati di un tempo, a cui rivolge questo pensiero: «Questi ragazzi fanno un gran polverone ma non son mica capaci di trovare il compromesso e di metter sempre d'accordo questo e quello. E così non lo batti mica Berlusconi, così vai a sbattere il grugno sempre più forte». E ancora: «Io sto fermo, aspetto, non mi muovo, perché verrà anche il suo bel momento che dovran tornare qui da me, proprio qui, alla stazione dove mi han mandato, a dire: "Romano, perdonaci, abbiam sbagliato, ti abbiamo fregato già due volte, ti chiediam perdono ma solo tu puoi battere il Berlusconi. Ti preghiamo, bisogna rifar l'Ulivo!"». Guzzanti dice, col talento e col linguaggio del comico, quello che tanti elettori e militanti del centrosinistra in cuor loro pensano ma che i capi e i dirigenti non hanno il coraggio e la forza di dire a voce alta: tolto Prodi, nella gauche italiana è iniziato un processo di disgregazione e frazionamento che sembra non conoscere fine; non è stato più possibile trovare un grande federatore tra le tante anime della sinistra, così che ogni partito si trova oggi nella condizione descritta dalla poesia di Quasimodo: «Ognuno sta solo sul cuor della terra...».

E lui, Romano, che fa? Si occupa di Africa per conto dell'ONU, dove guida il gruppo di lavoro sulle missioni di peacekeeping, e soprattutto fa l'editorialista per il Messaggero, dalle cui colonne dispensa riflessioni sui grandi problemi planetari (la crisi economica, la povertà, le politiche per lo sviluppo, la geopolitica, la Cina, eccetera...) ma non solo. Infatti proprio il giorno di Ferragosto, quando tutta l'Italia era al mare o in montagna, e comunque in tutt'altre faccende affaccendata, il Professore ha scritto un articolo sullo stato di salute della sinistra che un osservatore acuto come Piero Sansonetti, direttore de L'Altro, ha subito colto nella sua portata politica. Perché Prodi, dopo la disamina delle ragioni della crisi del riformismo - che egli addebita sostanzialmente alle illusioni generate dal modello Blair e dallo stesso ulivismo - ha scritto una sorta di programma per punti per la sinistra che verrà. Ha affermato: «Per vincere, i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progetti... Ribadendo con forza il ruolo dello Stato come regolatore di un mercato finalmente pulito. Approfondendo i modi e gli strumenti attraverso i quali i cittadini abbiano uguali prospettive di fronte alla vita. Rinnovando il funzionamento del sistema scolastico, della ricerca scientifica e del sistema sanitario. Ripensando al grande processo di superamento del nuovo nazionalismo politico ed economico con una forte adesione agli obiettivi di coesione europea e di solidarietà internazionale. Non avendo paura di denunciare i tanti aspetti riguardo ai quali il capitalismo deve profondamente riformarsi. Non accontentandosi di mostrare un giorno la faccia feroce e il giorno dopo un viso sorridente verso gli immigrati, ma preparando una organica politica di legalità ed accoglienza». La caratterizzazione di sinistra del testo prodiano è evidente, al punto che - chiosa Sansonetti - uno potrebbe pensare che l'autore dello scritto sia Fausto Bertinotti.

Ma, al di là di ciò, quello che conta è osservare che il Professore, pur distante dall'impegno diretto nell'agone partitico, sembra comunque ancora vicino, molto vicino alla politica. E lancia segnali di fumo a chi li può raccogliere. Del resto, la sinistra è ancora alla disperata ricerca di un leader capace di tenerla unita e compatta. E forse, se oggi qualche sondaggio si incaricasse di chiedere ai militanti gauchisti chi vorrebbero come guida, probabilmente Prodi avrebbe buone, se non ottime, possibilità di successo. E' chiaro che oggi questa è solo fantapolitica agostana, ma non è detto che un domani continui ad esserlo. Ora Romano è, come dice Guzzanti, «dietro la sua bella linea gialla», ma in politica mai dire mai...

Gianteo Bordero

giovedì 20 agosto 2009

SVERSAMENTO DI FOGNA NEL TORRENTE PETRONIO A RIVA TRIGOSO

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

COMUNICATO STAMPA DEL 20 AGOSTO 2009

In prossimità della Foce del Petronio, a Riva Trigoso, questa mattina abbiamo potuto constatare, grazie alle segnalazioni dei cittadini, una consistente e preoccupante moria di pesci, probabilmente dovuta ad uno sversamento di fogna nel torrente, come lascerebbero pensare i miasmi nauseabondi provenienti dal corso d’acqua. E’ un fatto grave, su cui presenteremo un’interrogazione. Esso si aggiunge a quelli verificatisi nelle settimane scorse a Sestri Levante e che documentano in maniera evidente il fallimento della politica ambientale dell’Amministrazione Lavarello. Prima il divieto di balneazione nella Baia delle Favole, poi i continui sversamenti di fogna dai tombini di varie parti della città e ora questo nuovo episodio di Riva.


Un mese fa, in occasione del dibattito in Consiglio Comunale sul divieto di balneazione, ci erano state date rassicurazioni sulla tenuta del sistema fognario cittadino, e nei giorni seguenti un incauto consigliere di maggioranza aveva accusato il nostro gruppo di creare allarmismo ingiustificato, di fare “sterili polemiche”. Ora, è chiaro, dopo l’ennesimo episodio di danno ambientale, che qualche problema c’è e che i nostri timori non erano infondati. Urgono interventi, investimenti radicali e non discorsi e chiacchiere.

Le foto che inviamo in allegato sono state scattate questa mattina alle 10, alla foce del Petronio (lato Guardia di Finanza, dal ponte), e testimoniano la moria di pesci.



Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

martedì 18 agosto 2009

IN DIFESA DELL'ORA DI RELIGIONE

da Ragionpolitica.it del 18 agosto 2009

Bene ha fatto, il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, ad annunciare ricorso contro la recente sentenza dell'onnipresente TAR del Lazio che ha dichiarato illegittima l'attribuzione di crediti formativi a coloro che frequentano l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane. Il Tribunale Amministrativo non soltanto è entrato a gamba tesa in una materia regolata da un Trattato internazionale (il Concordato tra Stato e Chiesa), su cui hanno competenza, secondo la Costituzione, il parlamento, il governo e il presidente della Repubblica, ma ha anche «condito» la sua decisione con considerazioni di carattere ideologico inaccettabili per un paese la cui storia e la cui identità non possono essere né studiate né comprese senza il riferimento alle sue radici cristiane. Si legge nelle motivazioni della sentenza: «Un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico, proprio per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede stessa». E ancora: «L'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica».

Il grossolano errore commesso dai giudici del TAR è stato quello di far coincidere, nella sentenza, il significato della parola «religione» con quello della parola «fede», usandole in sostanza come sinonimi intercambiabili. Se è vero che non può esistere, in uno Stato laico e liberale, la valutazione scolastica della fede dell'individuo, non è altrettanto vero che contrastano con la laicità e con la libertà del singolo lo studio e l'approfondimento delle radici spirituali e morali (cioè religiose) del popolo a cui egli appartiene. Anzi, si potrebbe persino affermare che senza la conoscenza di tali radici - nella loro componente intrinsecamente religiosa - ne perderebbe in qualità il complesso dell'offerta formativa della scuola, perché sarebbe come affrontare lo studio di una lingua senza conoscerne l'«abc», il vocabolario e la grammatica. A differenza della fede, che comporta la fiducia convinta in una dottrina e l'adesione consapevole a un complesso di verità, di dogmi, di riti, la religione esprime innanzitutto la tensione primordiale dell'uomo - di qualsiasi uomo - verso l'Infinito, alla ricerca di una spiegazione totale della realtà e della vita (del nascere come del morire). Se quindi è vero che non tutti gli uomini hanno fede, è altrettanto vero che tutti gli uomini, in tutti i tempi e a tutte le latitudini, vengono al mondo con un desiderio incommensurabile di ricercare, dentro e oltre le apparenze, un significato esaustivo dell'esistenza, un punto di fuga che renda possibile la comprensione del gran disegno della realtà. Questo punto di fuga è ciò che - per riprendere le parole di Tommaso D'Aquino - «tutti chiamano Dio».

Dunque, se la fede può rappresentare l'approdo del cammino religioso del singolo, e resta per questo un fatto personale (più che privato), la religione in sé considerata è un elemento ontologico che accomuna tutti: proprio per questo suo aspetto essa è stata, sin dagli albori della storia dell'uomo, un fattore di sviluppo civile, sociale e culturale (le prime espressioni culturali di cui abbiamo notizia sono con tutta evidenza manifestazioni del sentimento religioso dei popoli primitivi). In questo senso, si può pacificamente affermare che senza religione non è data alcuna forma di civiltà e che, quindi, ignorare la storia religiosa e i fondamenti religiosi (spirituali e morali) del proprio popolo non può in alcun modo rappresentare un punto di merito per uno studente: l'offerta formativa non può perciò prescindere dalla religione. Ciò non vuol dire imporre a tutti una «fede» che per sua stessa natura non può essere imposta, ma significa compiere un gesto di alto valore educativo; un gesto doveroso, da parte di una nazione, nei confronti di se stessa - del suo passato, del suo presente e del suo futuro: non ci può essere autentico sviluppo se non abbeverandosi alla fonte da cui ha preso forma e consistenza una storia di popolo.

Per tutti questi motivi è davvero incomprensibile, come ha scritto in una nota il ministro Gelmini commentando la sentenza del TAR e annunciando il ricorso al Consiglio di Stato, che «solo la religione cattolica non debba contribuire alla valutazione globale dello studente tra tutte le attività che danno luogo a crediti formativi». Essa, infatti «esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata».

Gianteo Bordero

giovedì 13 agosto 2009

SESTRI LEVANTE. POLITICA AMBIENTALE CERCASI

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

COMUNICATO STAMPA DEL 12 AGOSTO 2009

Dopo la mancata assegnazione della Bandiera Blu, dopo il divieto di balneazione nella Baia delle Favole, ecco ora arrivare un altro dato allarmante che mette a nudo l’inconsistenza della politica ambientale portata avanti dalla Giunta Lavarello. Stavolta al centro dell’attenzione c’è la raccolta differenziata dei rifiuti: i dati diffusi dalla Regione Liguria e riferiti all’anno 2008 mostrano come il Comune di Sestri Levante sia uno dei pochi dell’intera Provincia di Genova che vede diminuire, rispetto all’anno precedente, la quota di raccolta differenziata. Nel 2007 Sestri aveva infatti conferito in discarica 9950,45 tonnellate di rifiuti, mentre le tonnellate destinate al riciclo erano state 3384,03 (in percentuale, il 25,38%). Nel 2008, invece, sono finite in discarica 10046,64 tonnellate di rifiuti, mentre 3233,66 sono state raccolte attraverso la differenziata (in percentuale, il 24,35%). La tendenza è quindi quella di un aumento dei rifiuti destinati alla discarica di Ca’ da Matta e di un contestuale calo della quantità di raccolta differenziata.


Da tempo il nostro gruppo incalza l’Amministrazione Lavarello sollecitandola a mettere in atto tutte le misure necessarie affinché Sestri Levante possa vedere di anno in anno crescere la quota di differenziata ed avvicinarsi così alle percentuali raggiunte dai Comuni più virtuosi del Golfo del Tigullio. Purtroppo dobbiamo constatare, dati alla mano, che i nostri appelli, i nostri suggerimenti, i nostri consigli sono caduti ancora una volta nel vuoto. E non vorremmo anche in questa occasione ascoltare il solito fervorino dell’Assessore all’Ambiente sulla presunta mancanza di educazione ambientale e di senso civico nei cittadini! Ci sono responsabilità inerenti l’organizzazione, la programmazione, la pubblicizzazione della raccolta differenziata che ricadono in via esclusiva sull’Amministrazione e che essa non può scaricare sui sestresi.

I dati diffusi dalla Regione Liguria dimostrano con chiarezza che le promesse in materia ambientale fatte dal Sindaco Lavarello in campagna elettorale e messe nero su bianco nel programma di mandato 2008-2013 («Si rinnova l’impegno ad attuare una raccolta differenziata sempre più efficiente, con un suo incremento percentuale per giungere nel corso del mandato almeno al 45%, con conseguente riduzione di conferimento di rifiuti in discarica») non sono state mantenute. L’unica cosa che continua a crescere in città, purtroppo, è il grigio del cemento. A quando una politica a favore dell’ambiente e del verde?

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

martedì 11 agosto 2009

RITARDI, SPRECHI E ZERO INVESTIMENTI. IL BILANCIO CONSUNTIVO 2008 DEL COMUNE DI SESTRI LEVANTE

Intervento tenuto durante il Consiglio Comunale di Sestri Levante del 10 agosto 2009

Come già accaduto altre volte nel recente passato, ci troviamo questa sera a dover discutere un documento di bilancio che è stato sottoposto alla nostra attenzione oltre il tempo massimo previsto dalla legge, nella fattispecie dal Testo Unico sull’ordinamento degli Enti Locali, all’articolo 227, secondo comma, così come modificato dalla Legge numero 189/2008. L’articolo 2-quater di tale normativa avrebbe infatti richiesto che il Conto Consuntivo fosse approvato entro la data del 30 aprile, come ricordato anche da una Circolare di Finanza Locale del 6 aprile 2009, nella quale si afferma che «l’approvazione del rendiconto entro i termini di legge è un adempimento di assoluta rilevanza nella gestione amministrativa e contabile». Tale Circolare ricorda inoltre che «l'articolo 243, comma 6 del Testo Unico prevede, per l'inosservanza del termine di legge, l'assoggettamento, in via provvisoria, alla condizione di ente strutturalmente deficitario fino all'approvazione del Rendiconto di Gestione».

Credo, dunque, che il Consiglio Comunale debba innanzitutto stigmatizzare pubblicamente tale grave ritardo, sollecitando senza indugi l’assessore alle Finanze e la Giunta nel suo complesso a un rigoroso rispetto dei termini previsti dalla legge per la presentazione e deliberazione dei documenti di bilancio.

Ciò detto, entriamo ora nel merito del Rendiconto di Gestione anno 2008. Per quanto concerne l’analisi delle entrate, salta sùbito agli occhi il sostanziale calo delle entrate tributarie: si passa dagli 11.505.042 euro del 2007 ai 10.546.717 euro del 2008. In termini di pressione tributaria sul singolo cittadino, significa che si è passati da una media di 615 euro pro capite nel 2007 ai 562 euro del 2008. E’ un dato sicuramente positivo, il cui merito non va però ascritto all’Amministrazione Lavarello e all’assessore Ceselli, bensì al governo Berlusconi, il quale, tra i primi atti del suo mandato, ha deciso, nel maggio dello scorso anno, di procedere all’abrogazione dell’ICI sulla prima casa. Così facendo l’attuale esecutivo, peraltro portando a compimento un percorso già iniziato dal governo Prodi, ha sgravato milioni di cittadini italiani proprietari di prima casa dal pagamento di un’imposta ritenuta vessatoria in quanto finalizzata a colpire un bene primario come quello dell’abitazione principale, il cui acquisto è spesso il frutto delle fatiche e dei sacrifici di una vita intera.

Specularmente al calo delle entrate tributarie, assistiamo, nel Rendiconto di Gestione 2008, ad un robusto aumento dei trasferimenti correnti dallo Stato al Comune, al fine, soprattutto, di compensare il mancato gettito derivante dall’abolizione dell’ICI sulla prima casa. Se nel 2007 i trasferimenti correnti dallo Stato erano pari a 2.662.707 euro, nel 2008 essi hanno raggiunto quota 4.007.341 euro, dei quali 1.236.596 come contributo compensativo per i minori introiti ICI sulla prima abitazione. Una cifra, questa, sufficiente a garantire la copertura del mancato gettito, se è vero, tra l’altro, come risulta dalla Relazione al Rendiconto di Gestione allegata al Bilancio, che la differenza tra l’introito ICI del 2007 e l’introito del 2008 è pari a 977.000 euro.

A tal proposito, voglio ricordare che soltanto pochi mesi fa, in questa sede, in occasione della discussione sul Bilancio di Previsione 2009, ed in particolare sulla questione dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa e dei trasferimenti dallo Stato al Comune, l’assessore Ceselli aveva dichiarato quanto segue: «E’ la solita presa in giro del Governo, il quale aveva a slogan promesso di tagliare l’Ici agli italiani da una parte e dall’altra di trasferire ai Comuni tutte le risorse perse dalla manovra… Ebbene – disse ancora l’Assessore - la prima promessa, quella di togliere l’Ici sulla prima casa, è stata rispettata, ma la seconda, ovvero quella di ridare ai Comuni le risorse venute a mancare, è stata, come per magia, dimenticata».

Mi chiedo, alla luce dei dati contenuti nel Rendiconto di Gestione 2008, ed anche alla luce dei dati consultabili sul sito della Finanza Locale, se l’Assessore Ceselli sia disponibile, questa sera, a confermare queste sue affermazioni e quelle che ad esse seguirono, con le quali definì le scelte del Governo un «furto», uno «scippo», una «rapina». Nel caso fosse pronto a ribadire queste sue pesate, moderate e caute parole, lo invito a rileggersi il testo del Decreto Ministeriale 15 febbraio 2008, che è il documento al quale ha fatto riferimento il Governo Berlusconi nel determinare i criteri per l’assegnazione dei rimborsi per il mancato gettito ICI: potrà constatare, l’Assessore, che l’entità del trasferimento dallo Stato ai Comuni per il minore introito dell’ICI non viene stabilita arbitrariamente dall’Esecutivo, bensì tenendo conto del modulo di certificazione inviato dai Comuni stessi. Ricordo all’Assessore, a puro titolo informativo, che il 15 febbraio 2008 al governo non c’erano Silvio Berlusconi e il centrodestra, bensì Romano Prodi e il centrosinistra.

E’ chiaro, dunque, che la campagna portata avanti dall’Assessore al Bilancio sul taglio dell’ICI e sui rimborsi statali è una campagna puramente propagandistica, dettata dalla necessità di scaricare ogni genere di colpa sul Governo centrale quando questo ha un colore politico diverso da quello a cui appartengono la Giunta e la maggioranza consiliare di Sestri Levante. Per quanto ci riguarda, non possiamo che ribadire invece la bontà dell’azione governativa, che ha sgravato i cittadini italiani dal peso di un’imposta ritenuta ingiusta, e che ora sta lavorando per garantire, in accordo con la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, i necessari trasferimenti per il mancato gettito derivante dall’ICI.

Per quanto riguarda poi le entrate extratributarie, osserviamo il robusto aumento delle entrate derivanti dalla concessione loculi cimiteriali: nel 2007 erano 647.186 euro, nel 2008 sono 1.019.000 euro. Nel 2004, secondo la tabella allegata al Rendiconto di Gestione, erano 582.180. In sostanza, in 5 anni si è assistito al raddoppio delle entrate derivanti da tale voce di bilancio. Ancora, segnaliamo l’aumento delle entrate dai posteggi, da 652.146 euro del 2007 a 763.487 euro del 2008.

Per ciò che concerne le entrate derivanti da accensioni di prestiti, salta agli occhi il mutuo da 1.600.000 euro per i lavori di realizzazione della nuova passeggiata a mare nella zona di Sant’Anna. Una cifra assolutamente cospicua, se paragonata agli altri mutui accesi durante il 2008: 120.000 euro per il completamento della passeggiata a mare e 350.000 euro per i lavori di riqualificazione e trasformazione dell’ex Cinema Conchiglia in teatro all’aperto. Si tratta, peraltro, di opere che negli anni passati già avevano ricevuto significativi finanziamenti da parte del secondo Governo Berlusconi e da parte della Regione Liguria allora guidata da Sandro Biasotti. Il totale dei mutui accesi nel 2008, alla fine, è pari a 2.070.227 euro: nel 2007 era di 800.000 euro.

E veniamo alla parte del Conto Consuntivo riguardante l’analisi della spesa. Quello che a tal proposito è importante sottolineare è la conferma di una tendenza che dura ormai, a Sestri Levante, da almeno 5 anni: l’allargarsi della forbice tra le spese correnti e le spese in conto capitale: aumentano le prime, diminuiscono le seconde. Nel 2004, sul totale delle spese del Comune, l’incidenza della spesa corrente era del 55,37% e quella della spesa in conto capitale del 36,28%. Oggi siamo al 67% di spese correnti e al 19,8% di spese in conto capitale. Ciò significa, in sostanza, che gran parte delle risorse disponibili sono assorbite dall’ordinaria amministrazione e che manca, purtroppo, una seria e lungimirante politica degli investimenti. Prendiamo, ad esempio, un settore come quello del turismo, che risulta strategico per lo sviluppo della città: qui le spese in conto capitale risultano pari a zero, mentre le spese correnti sono passate da un misero 1,97% sul totale della spesa nel 2007 ad un ancor più misero 0,71% nel 2008. Stesso discorso vale per lo sviluppo economico: zero euro di spesa in conto capitale e 32.384 euro di spesa corrente, lo 0,17% sul totale della composizione della spesa.

Per porre un freno a questa tendenza esiziale di aumento della spesa corrente e di riduzione della spesa in conto capitale, e per liberare risorse con le quali mettere in opera un piano di sviluppo della città degno di tal nome, occorrerebbe sin da subito imboccare il sentiero percorso da tutte le Amministrazioni virtuose: la strada da un lato della sussidiarietà, cercando una maggiore cooperazione con il privato, laddove questo è possibile, nella gestione dei servizi erogati dal Comune; e, dall’altro lato, la strada del taglio degli sprechi e delle spese inutili, quelle che appesantiscono la macchina comunale e frenano le energie di sviluppo presenti in città. Purtroppo, dal Conto Consuntivo 2008 emerge chiaramente che nessuna di queste strade è stata imboccata dall’Amministrazione Lavarello.

Gianteo Bordero
Capogruppo consiliare “Il Popolo della Libertà - Lega Nord - Udc”, Sestri Levante

domenica 2 agosto 2009

DIVIETO DI BALNEAZIONE A SESTRI LEVANTE: SETTE DOMANDE AL SINDACO LAVARELLO

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

GRUPPI CONSILIARI
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”
“SEGESTA DOMANI”
“LA SINISTRA UNITA PER SESTRI”

In merito al periodo (14 luglio-25 luglio 2009) nel quale a Sestri Levante è rimasto in vigore il divieto di balneazione temporanea nell’area classificata dall’ARPAL col numero 125 e denominata «Zona Baia delle Favole – Fronte ingresso Villa Matilde», rivolgiamo al sindaco le seguenti domande:

1. L’articolo 5, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica 470/82 prevede che è di competenza comunale, qualora entri in vigore un divieto di balneazione temporanea, «l’apposizione, nelle zone interessate, di segnaletica che indichi il divieto di balneazione». E’ stata soddisfatta, da parte della Civica Amministrazione, codesta previsione di legge? Se sì, che tipo di segnaletica è stata utilizzata per avvisare i bagnanti circa il divieto di balneazione temporanea? In che punti è stata collocata tale segnaletica?

2. Durante i giorni in cui è stato vigente il suddetto divieto di balneazione, quali misure sono state adottate dalla Civica Amministrazione per garantire l’osservanza del divieto medesimo?

3. Sono state riscontrate infrazioni al divieto di balneazione nei giorni in cui esso è stato vigente? Se sì, sono state emesse le sanzioni previste dalla legge nei confronti di coloro che hanno infranto il divieto?

4. E’ stata avvisata tempestivamente la Capitaneria di Porto dell’intervenuto divieto di balneazione? Se sì, quando ciò è avvenuto?

5. Su Il Secolo XIX del 25 luglio 2009 si poteva leggere quanto segue: «In questi undici giorni il Comune ha continuato ad analizzare l’acqua nello spazio vietato: i prelevamenti erano tutti negativi alla presenza di batteri. I risultati sono stati esposti, quotidianamente, all’ingresso degli stabilimenti balneari per tranquillizzare la clientela». Corrisponde al vero quanto scritto da Il Secolo XIX? Se sì, in base a quale normativa si è proceduto ad assumere tale iniziativa? (Ricordiamo che dal 1998, in applicazione della legge 39/95 istitutiva dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure, il controllo della qualità delle acque di balneazione e il giudizio sulla loro balneabilità è affidato all’Agenzia medesima).

6. Sul sito dell’ARPAL (www.arpal.org) si afferma che i coliformi totali e i coliformi fecali (cioè i microrganismi rilevati oltre la norma dall’Agenzia medesima nella suddetta zona 125) «sono parametri indicativi di rischio acuto infettivo per la salute dei bagnanti». Il sindaco ha avuto notizia, durante i giorni nei quali il divieto di balneazione è stato vigente o nei giorni immediatamente successivi, di casi in cui si sono verificate nei bagnanti infezioni cutanee o altri problemi di salute riconducibili al contatto con acque non balneabili?

7. Perché sulla pagina principale del sito ufficiale del Comune (www.comune.sestri-levante.ge.it) non è stata pubblicata la notizia del divieto di balneazione (articolo 15, comma 2, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116)?

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giacomo Rossignotti (capogruppo)
Vincenzo Gueglio (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro
Remo Cusinato
Luigi Squeri

sabato 1 agosto 2009

IL MITO DELL'ABORTO INDOLORE

da Ragionpolitica.it del 1° agosto 2009

«Abortirai senza dolore». E' questo, in sostanza, il messaggio che viene lanciato alle donne italiane dalla decisione dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) di acconsentire alla commercializzazione della pillola RU486. Siamo dunque arrivati al completo rovesciamento del principio biblico espresso nelle parole rivolte da Dio ad Eva dopo la caduta: «Donna, partorirai con dolore». Parole che contengono una verità che non può essere cancellata neppure attraverso le moderne (e benvenute) tecniche di alleviamento della sofferenza per le madri: il parto, la nascita, il venire al mondo è fatica, porta cioè con sé il peso di una condizione umana imperfetta, sottoposta alla caducità e alla contraddizione, alle doglie, al travaglio. L'umanità non sboccia, non fiorisce, non entra nel mondo se non attraverso questo dolore, questa fatica, questo travaglio. E' la dinamica che accomuna l'uomo al resto del creato, al seme che deve in qualche modo morire per portare frutto, alle stagioni della terra che riproducono ogni volta il misterioso avvenimento del nuovo inizio, del rifiorire, del germogliare.

E però la consapevolezza di questa dinamica è anche ciò che eleva l'uomo al di sopra delle altre creature: perché l'uomo - come diceva don Giussani - «è l'unico punto della natura in cui la natura stessa prende coscienza di sé». L'uomo, cioè, è l'unico livello del creato che ha potuto mettere a tema la sua condizione, ricercarne le origini, indagarne le cause, ipotizzarne i fini; ha potuto studiarla, analizzarla, e perfino intervenire su di essa (il principio del progresso nasce proprio dalla presa d'atto della debolezza, della fragilità, dell'imperfezione, e dal desiderio di superarle). Ma non ha potuto modificarla nella sostanza, non ha potuto cioè valicare il limite ontologico che la rende soggetta al dolore, alla caducità, infine alla morte. Quanto più la ricerca scientifica e tecnologica ha compiuto passi da gigante nell'alleviare il dolore, nel garantire un'aspettativa di vita sempre più ampia, nel curare malattie un tempo mortali, tanto più essa si è dovuta scontrare con l'impossibilità di dominare per intero questi fenomeni. Rispettare questo limite ultimo è il discrimine che separa una scienza che è realmente al servizio dell'uomo in carne ed ossa da una scienza che all'uomo fa soltanto violenza. Perché è la violenza, in ultima analisi, il prodotto del tentativo di trasformare la persona in un mezzo (una cavia?) per raggiungere un fine che non potrà essere raggiunto: modificare alla radice la natura dell'uomo. Questo è il punto in cui la scienza e la tecnica divengono ideologia, astrazione che si ritorce contro coloro che si dice di voler aiutare.

La pillola RU486, a detta dei suoi sostenitori, dovrebbe garantire alle donne che ne facciano richiesta un aborto sicuro e indolore, «fai da te», senza passare sotto i ferri del chirurgo. A parte il fatto che i dati disponibili rivelano che dal 1988 sono stati almeno 29 i casi di decesso accertati in seguito all'assunzione della pillola, e che sorgeranno inevitabilmente problemi di compatibilità tra la somministrazione della stessa e la legge 194 che disciplina le interruzioni volontarie di gravidanza avendo di mira la salvaguardia della salute della donna, ci preme innanzitutto sottolineare l'idea implicita nel grande battage mediatico a supporto dell'introduzione della RU486: considerare la gravidanza alla stregua di una malattia che può essere curata per via farmacologica come qualsiasi altro disturbo. Basta leggere le dichiarazioni rese dall'inventore della pillola, l'endocrinologo francese Emilie-Etienne Baulieu, per rendersene conto: «Se si seguono le istruzioni, 3 compresse di RU486 e una di prostaglandina dopo due giorni, non c'è nessun pericolo» (La Stampa, 31 luglio 2009). Come se fossimo di fronte a un mal di stomaco o a un'influenza: 3 compresse della medicina X, un'altra compressa della medicina Y e il problema è risolto.

Ora, è evidente che non ci troviamo di fronte ad una necessità dettata dai progressi della ricerca scientifica. Abbiamo davanti, al contrario, una pura pretesa ideologica, che - come ogni pretesa ideologica - censura un aspetto importante della realtà nel nome di un altro aspetto, che da parte si trasforma in tutto, generando - come detto - violenza. In questo caso, potremmo perfino dire che si censura la realtà tout court (la vita del nascituro e la salute della madre) a tutto vantaggio di una non meglio definita «tranquillità» della donna nell'abortire. Una tranquillità che non esiste e che non potrà mai esistere, come dimostrano le testimonianze di tante giovani che hanno fatto uso della pillola senza imbattersi in problemi immediati, ma che dal giorno dopo l'uccisione (altro che «espulsione»!) del feto sono cadute in terribili depressioni ed esaurimenti nervosi, dovuti alla micidiale miscela del dramma dell'aborto sommato alla solitudine nella quale questo si consuma in seguito all'assunzione della RU486. Insomma, se la giustificazione con la quale si vuole legittimare il ricorso alla pillola abortiva è quella di «aiutare» la donna a non soffrire evitandole l'intervento chirurgico, è chiaro che si tratta di una scusa che non tiene: oltre a presentare più rischi dal punto di vista della salute fisica, l'aborto farmacologico è una minaccia ancor più grande per la salute psichica della donna, abbandonata a se stessa da una cultura nichilista che non ha neppure più il coraggio di guardare in faccia i frutti delle sue battaglie: tragedie, altro che «conquiste».

Gianteo Bordero