mercoledì 26 agosto 2009

LA DIGNITÀ DI PLACANICA

da Ragionpolitica.it del 26 agosto 2009

Otto anni sono lunghi. E lo diventano ancora di più quando ci si ritrova ad essere bersaglio di una rumorosa campagna di odio e linciaggio morale. Quando il proprio nome viene abbinato ai peggiori crimini e alle peggiori nefandezze possibili. Quando la vita diventa un inferno perché sembra che la verità non trovi più spazio né ascolto, e tutto ceda al potere della menzogna. Otto anni sono stati lunghi per il carabiniere Mario Placanica, in attesa che qualcuno ponesse fine al suo incubo e gli restituisse non soltanto la piena dignità civile, la dignità di un fedele servitore dello Stato, ma anche la piena dignità personale. Dal 20 luglio del 2001 il nome di Mario Placanica è stato trasformato, da una rozza e cinica propaganda a senso unico, in sinonimo di spietato assassino, di vigliacco omicida, di killer senza scrupoli. E' diventato, per tutta la moltitudine no globalista, e più in generale per larga parte della sinistra italiana, il nuovo simbolo della violenza dello Stato fascista che uccide i suoi figli ribelli, i dissidenti, gli oppositori del regime.

Ora, grazie al cielo, un tribunale mette fine a questa infame e torbida guerra verbale e psicologica contro un solo uomo. La Corte europea dei diritti dell'uomo, cui avevano fatto ricorso i legali della famiglia di Carlo Giuliani dopo la sentenza del tribunale di Genova che aveva parlato di «uso legittimo delle armi», ha ribadito che Placanica, quel tragico giorno, agì per legittima difesa, perché aveva «onestamente percepito un pericolo, reale e imminente, per la sua vita e per quella dei suoi colleghi». Qui, oltre alla conferma della legittima difesa, è da sottolineare quell'avverbio di modo («onestamente») usato dalla Corte europea, che fa piazza pulita di tutte le ombre che in questi anni sono state alimentate ad arte attorno alla figura e all'operato del carabiniere.

«C'è stata tanta, tanta sofferenza in questi anni. Come ho vissuto è stato peggio che essere in carcere», ha detto Placanica martedì sera al Tg1. Ora, finalmente, egli si vede riconosciuto da un giudice quello che un'opinione pubblica priva di paraocchi ideologici avrebbe dovuto riconoscergli sin dall'inizio. Se ciò non è accaduto, dal 2001 ad oggi, è perché la mitologia del carabiniere cattivo e del contestatore buono è servita per riproporre ancora una volta, nella travagliata storia dell'Italia repubblicana, la trita e ritrita teoria dello Stato oppressore, che soffoca nel sangue ogni tentativo di cambiare davvero le cose, ogni movimento che punta ad instaurare la vera giustizia sociale, ogni protesta delle masse contro l'arroganza del potere. Del resto, era troppo ghiotta, l'occasione offerta dai fatti del G8 genovese, per lasciarsela scappare, anche se ciò ha voluto dire, in fin dei conti, sacrificare sull'altare della mai sopita utopia rivoluzionaria il dramma reale rappresentato dai fatti di Piazza Alimonda.

Tutti coloro che da allora hanno usato la figura di Carlo Giuliani come quella di un martire nel cui nome alimentare la battaglia politica, ed hanno contestualmente creato il «mostro» Mario Placanica come icona del nemico da abbattere, dovrebbero oggi, di fronte alla sentenza della Corte europea, fermarsi a riflettere: l'occasione è propizia per mettere finalmente da parte l'ideologia e per leggere sotto una nuova luce - quella della verità - gli avvenimenti del luglio 2001.

Gianteo Bordero

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