mercoledì 29 aprile 2009

IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE DEVOLVE IL GETTONE DI PRESENZA ALLE POPOLAZIONI COLPITE DAL SISMA

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

COMUNICATO STAMPA DEL 29 APRILE 2009


Ieri sera, su proposta del gruppo “Il Popolo della Libertà – Lega Nord – Udc”, il Consiglio Comunale di Sestri Levante ha deciso all’unanimità di devolvere il gettone di presenza della seduta consiliare alle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto il 6 aprile scorso.

Si tratta di un piccolo ma sentito gesto di solidarietà a sostegno di chi si trova, a seguito del sisma, nel dolore, nel disagio, nella difficoltà. Un gesto per testimoniare la vicinanza a chi ha perduto, sotto le macerie, gli affetti, le amicizie, le cose preziose della vita. Un gesto a favore della ricostruzione di una terra che sentiamo, dopo la tragedia del 6 aprile, anche un po’ nostra.

Ringraziamo pertanto tutti i gruppi presenti in Consiglio Comunale per avere accolto con convinzione la nostra proposta.

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

venerdì 24 aprile 2009

«REPUBBLICA» E L'INGANNO DEI «DUE RATZINGER»

da Ragionpolitica.it del 24 aprile 2009

Tra i commenti che hanno accompagnato l'inizio del quinto anno di pontificato di Benedetto XVI (19 aprile), quello del vaticanista de La Repubblica, Marco Politi, lascia trasparire in modo emblematico la perdurante cattiva comprensione dell'attuale papato da parte di molti ambienti progressisti. Per Politi esistono, in sostanza, due distinti (e distanti) Joseph Ratzinger: il Papa spirituale e il Papa «regnante», il predicatore e l'uomo di governo della Chiesa, il profeta dell'amore e il duro inquisitore. Il primo Ratzinger è quello che potremmo definire «esoterico», quello - scrive Politi - «segreto, che pochi conoscono». E' il Ratzinger che, predicando «in una Chiesa parrocchiale o in una casa di accoglienza per malati», magari di fronte a pochi uditori, «rivela, con parole pregnanti e semplici insieme, il suo anelito per un cristianesimo essenziale, puro, non caricato di sovrastrutture». Il secondo Ratzinger - il contrario del primo - è quello che chiameremmo «essoterico», quello pubblico che guida la Chiesa «a confronto con la società odierna, vista in preda a materialismo e nichilismo». E' il Ratzinger «che si espone a polemiche sulla scena internazionale a causa di scelte di governo o giudizi controversi».

Va da sé che, a passare il severo esame condotto dal pulpito de La Repubblica, è soltanto il primo Ratzinger. Politi - bontà sua - scrive che, in fondo, nonostante tutto, «l'animo di Ratzinger è realmente orientato verso una fede intima, che anche quando si esprime nell'impegno sociale rimane ancorata ai due cardini dell'esperienza cristiana: la croce e la risurrezione». Seccamente bocciato, invece, il secondo Ratzinger, quello nel quale il «pessimismo agostiniano tinge le parole del Papa» al punto da determinare le «sue scelte di regnante».

Se per un verso le parole di Politi riguardanti la grandezza spirituale di Benedetto XVI potrebbero essere accolte con un «meglio tardi che mai!», considerato il modo con il quale il giornale fondato da Scalfari ha commentato l'attuale pontificato sin dalle sue prime mosse, per un altro verso non devono trarre in inganno. Esse, infatti, non fanno che confermare la persistenza dell'alone di scetticismo e di pregiudizio conformista che circonda il papato ratzingeriano. Ammettere, come fa Politi, che sussiste un carisma spirituale di Benedetto capace di «affascinare tanti cattolici e spesso anche seguaci di altre religioni o agnostici» (capace cioè di toccare i cuori e le menti di coloro che si accostano a lui senza preconcetti di sorta) e poi scrivere, poche righe dopo, che il governo ratzingeriano mira a far apparire la Chiesa, nel confronto col mondo, «sempre in pericolo, assediata dall'odio, attirata verso l'abisso», significa presentare un Papa dottor Jekyll e mister Hyde, medico e carnefice, che cura le ferite interiori degli uomini e che, allo stesso tempo, li mortifica.

E', questa, una visione che punta a riprodurre nella figura del Papa la concezione dualistica di certe correnti spiritualistiche, che scindono cioè l'essenza spirituale del cristianesimo da quella che Politi chiama la «sovrastruttura», la Chiesa, con tutte le sue propaggini istituzionali. Portata alle estreme conseguenze, questa teoria individua in tutto ciò che è spirito il Bene, mentre il Male sta in tutto ciò che è materia. E' chiaro, seguendo la scia di tale ragionare, che Benedetto XVI rappresenterebbe nella sua stessa persona, nel suo stesso pontificato, questa bipartizione, questa scissione tra lo «spirito» e la «sovrastruttura», tra il desiderio di un «cristianesimo essenziale» e il freddo «governo della Chiesa», tra il Bene e il Male - incarnando in questo caso entrambi.

Per uscire da questo modo ambiguo ed equivoco di rappresentare il pontificato di Benedetto basterebbe ammettere che c'è un nesso profondo tra il modo di essere interiore del Papa e il suo modo di governare la Chiesa; che le decisioni che egli assume come «regnante» nascono dalla stessa sorgente da cui sgorgano le sue prediche, il suo parlare spirituale; che le scelte per guidare la barca di Pietro nel concreto della storia hanno la medesima origine dell'impeto profetico e del respiro senza tempo delle omelie: comunicare a tutti la bellezza e la grandezza del cristianesimo, dello straordinario incontro non con un «messaggio spirituale», ma con il «Verbo fatto carne» e presente nel «corpo mistico», la Chiesa. Insomma, basterebbe prendere in considerazione con semplicità quello che Benedetto XVI da ormai cinque anni dice e fa, senza voler separare artatamente quello che egli stesso tiene unito.


Gianteo Bordero

martedì 21 aprile 2009

INTELLETTUALI IN EMERGENZA

da Ragionpolitica.it del 21 aprile 2009

Secondo Barbara Spinelli (La Stampa, domenica 19 aprile) l'emergenza sarebbe divenuta «una malattia democratica diffusa», cioè un degradarsi del regime democratico verso forme illiberali. All'insorgere di tale morbo, infatti, «le libertà vengono sospese, l'autonomia di giudizio vien tramutata in lusso fuori luogo». Per l'editorialista del quotidiano torinese l'emergenza è utile al «sovrano» in quanto, grazie ad essa, «si crea un'unità magica, propizia all'intensificazione massima della sovranità». Come esempio a suffragio della sua tesi, Spinelli porta il terremoto in Abruzzo e - seppur senza mai citarlo in maniera esplicita - l'atteggiamento che di fronte ad esso ha assunto il governo e, in particolare, il presidente del Consiglio. Il quale, in sostanza, avrebbe «usato» la tragedia del sisma per esaltare il suo personale potere e la sua figura di detentore del comando. «La morte fa tacere il popolo - leggiamo ancora nell'articolo - e al tempo stesso nutre il sovrano... Il potere usa la morte: diviene necrofago. L'uomo colpito da catastrofe è ridotto a vita nuda e quest'ultima sovrasta la vita buona (i corsivi sono dell'autrice, ndr), prerogativa di chi tramite la politica e la libera opinione esce dalla minorità».

Nel caso in questione, ad uscire dalla «minorità» tipica del suddito sarebbero stati tutti coloro che hanno avuto il coraggio di non omologarsi al circolo politico-mediatico orchestrato dal governo per i fini di cui sopra. Spinelli cita, a tal proposito, Michele Santoro e la sua trasmissione Annozero, messa all'indice in quanto non in linea con la retorica dell'emergenza e coraggiosamente «diversa» dalle altre, quelle condotte dai corifei asserviti al potere. Il «regnante», infatti, ha tutto l'interesse affinché la rappresentazione del dramma che egli ha in mente sia supportata da una schiera di voci e immagini che tutte devono convergere verso un unico scopo: giustificare lo stato d'emergenza e renderlo permanente. Nella vicenda abruzzese, lo proverebbe «lo spazio smodato dato su giornali e telegiornali all'evento».

Peccato che il sottile e dotto (vengono citati Eugène Ionesco, Giorgio Agamben, Hannah Arendt) argomentare dell'editorialista della Stampa si riveli infondato, prima ancora che nelle conclusioni, nelle sue stesse premesse, quelle che riguardano il rapporto tra democrazia ed emergenza. Se infatti, come sostiene Spinelli, l'emergenza rappresentasse davvero un cancro della democrazia, una sua svolta in una direzione «più insidiosa della dittatura», non si comprenderebbe perché proprio nell'emergenza il rapporto tra elettori ed eletti conosca uno dei suoi momenti apicali, capace di segnare in positivo o in negativo le sorti di un governo votato dalla maggioranza dei cittadini. Ben più che una malattia, dunque, lo stato di emergenza rappresenta per la democrazia innanzitutto una sfida, che può essere vinta non, come afferma Spinelli, attraverso la sospensione delle libertà e dei diritti di opinione (e quindi di dissenso), ma con il rafforzamento del vincolo politico che lega il corpo elettorale al corpo del governo, incarnato dal suo capo.

Contrariamente a quanto sostiene la raffinata opinionista, è semmai dall'incapacità dei rappresentanti del popolo ad affrontare situazioni d'emergenza che possono nascere pulsioni anti-democratiche che non di rado sfociano (sono sfociate) in forme autoritarie di esercizio del potere. La capacità di gestire con mano ferma e mente fredda lo stato d'emergenza, da parte di un leader liberamente scelto dai cittadini, è perciò garanzia di maggiore (e non minore, come lascia intendere Spinelli) democrazia, perché un capo di governo eletto secondo criteri formalmente e sostanzialmente democratici, nel pieno rispetto dei principi costituzionalmente sanciti, ha tutto l'interesse, nel momento eccezionale, a fare appello al popolo che lo ha votato affinché sinfonicamente, secondo le inclinazioni e le capacità di ciascuno, collabori alla ripresa, alla ricostruzione, alla rinascita. In sostanza: una democrazia che sa affrontare l'emergenza è una democrazia sana. Come sano è il popolo che nel momento dell'improvvisa difficoltà è capace di uno sforzo corale nel nome del bene comune.

E' chiaro, a questo punto, che se la premessa del ragionamento di Barbara Spinelli risulta infondata (l'emergenza come patologia della democrazia), vanno rovesciate anche tutte le conseguenze che ne derivano, prima fra tutte quella secondo cui l'unico vero baluardo a difesa dell'autentica democrazia sarebbe quell'élite di illuminati che non si conforma al senso comune ma denuncia l'incipiente autoritarismo, anche di fronte alle bare. «Nei disastri - scrive - c'è chi soffre, chi governa, chi racconta e chi indaga rammentando». Rovesciate anche questo climax e capirete perché certi intellettuali continuano ad essere distanti anni luce dalla realtà e perché il popolo (che in democrazia è sovrano, piaccia o non piaccia a Spinelli) continua a scegliere Berlusconi.


Gianteo Bordero

sabato 18 aprile 2009

COSÌ IL GOVERNO VUOLE SALVARE IL PATRIMONIO ARTISTICO ABRUZZESE

da Ragionpolitica.it del 18 aprile 2009

Una delle ferite più profonde che il terremoto del 6 aprile ha inferto alla città dell'Aquila e ai paesi limitrofi è sicuramente quella relativa ai beni artistici e culturali, di cui la terra abruzzese è così ricca. Già le prime immagini del dopo-sisma mostravano chiese sventrate, campanili collassati su se stessi, edifici storici gravemente lesionati. Opere senza prezzo, che portano su di sé il peso dei secoli e della storia, chiara testimonianza della ricchezza e della vitalità della civiltà italiana. Opere che tutto il mondo ci invidia, meta del turismo culturale proveniente da tutti i continenti. Per tutti questi motivi il restauro, il recupero, la ristrutturazione di questo inestimabile patrimonio nazionale rappresentano una delle priorità per la fase di ricostruzione.

Sin dal giorno del sisma il ministero dei Beni Culturali ha parlato di un autentico «disastro»: ad una prima e sommaria ricognizione non potevano sfuggire allo sguardo il crollo del campanile della chiesa di San Bernardino, della cupola della chiesa di Santa Maria delle Anime, del transetto della basilica di Collemaggio che ospita le reliquie del Papa Celestino V (miracolosamente intatte), del cupolino della chiesa di Sant'Agostino, di parti del palazzo della Prefettura. Inoltre, risultavano da subito inagibili il Museo nazionale d'Abruzzo, le due Soprintendenze ai beni architettonici e artistici, tutti ospitati all'interno della fortezza spagnola dell'Aquila. A sole poche ore di distanza dalla scossa delle 3.32 del 6 aprile il ministero ha quindi costituito una task force di tecnici con alle spalle l'esperienza del dopo-terremoto umbro del 1997; ha individuato un ricovero per le opere recuperate dagli edifici di culto pericolanti; ha attivato uno scrupoloso monitoraggio di tutti i musei, i monumenti e i siti archeologici della zona colpita dal sisma.

Il 7 aprile, in un comunicato, il ministro Sandro Bondi ha annunciato l'impegno suo e del governo «affinché quanto del nostro patrimonio artistico è stato distrutto o danneggiato possa essere al più presto restituito agli abitanti delle zone colpite. Per questo motivo, utilizzeremo tutti i fondi a nostra disposizione per avviare al più presto ogni intervento di ricostruzione dove è ancora possibile». Secondo il ministro «proprio nei momenti più bui in cui tutto appare perso e senza senso, lo Stato deve mostrare la propria forte presenza ponendo attenzione anche su quei simboli dell'arte e della storia nei quali si esalta la nostra identità di popolo». Nello stesso comunicato Bondi rendeva noto che, «considerando prioritaria l'opera di soccorso delle vittime e per non intralciare il lavoro dei tecnici», si sarebbe recato in Abruzzo «quando il sottosegretario per la Protezione Civile, Guido Bertolaso, lo riterrà opportuno».

L'8 aprile, dando seguito ad alcune dichiarazioni del presidente del Consiglio, il ministro ha incaricato il suo Ufficio legislativo di elaborare, d'intesa con il Dipartimento per la Protezione Civile, una norma per facilitare il più possibile le donazioni da parte di privati e di istituzioni nazionali e internazionali per il restauro dei monumenti danneggiati. Il 14, a tal fine, ha attivato un conto corrente postale, con la causale «Salviamo l'arte in Abruzzo». Il giorno successivo il ministero ha annunciato, in affiancamento alle altre iniziative messe in campo, una raccolta fondi ad offerta libera, presso i luoghi d'arte aperti gratuitamente al pubblico in occasione della XI Settimana della Cultura, che si svolgerà dal 18 al 26 del mese corrente.

Giovedì, finalmente, è giunto il giorno della visita del ministro Bondi ai luoghi colpiti dal terremoto (visita che d'ora in poi avrà luogo con cadenza settimanale). Il responsabile dei Beni Culturali ha così potuto constatare di persona l'entità dei danni prodotti dal sisma al patrimonio artistico aquilano. In conferenza stampa, Bondi ha annunciato lo stanziamento, nella prossima riunione del Consiglio dei ministri, di 50 milioni di euro. Una cifra alla quale vanno aggiunti i 15 milioni già stanziati l'8 aprile per il sistema museale dell'Aquila. Il ministro ha precisato che si tratta dei primi fondi, quelli necessari per l'emergenza, ossia per la messa in sicurezza degli edifici artistici pericolanti, sui quali occorre intervenire tempestivamente onde evitarne il crollo. Per le restanti opere, il lavoro di recupero sarà lungo e complesso. A tal fine il ministero sta già pensando ad uno stretto coordinamento con la Chiesa Italiana per ciò che concerne gli edifici di culto; inoltre, come ha reso noto lo stesso Bondi, ospite in serata di Porta a Porta, all'Aquila verrà impiantata una succursale dell'Istituto nazionale di restauro (considerato uno dei migliori al mondo) per seguire da vicino la fase del recupero dei beni artistici colpiti dalla furia della terra.

Il ministro, durante la sua visita, ha infine annunciato che al più presto sarà approntata la lista delle opere che potrà essere sottoposta all'attenzione degli Stati amici dell'Italia che hanno già manifestato l'intenzione di impegnarsi economicamente per la ricostruzione. Il presidente del Consiglio, presente anch'egli all'Aquila, ha specificato che «dove non arriveranno gli amici, lo Stato italiano interverrà con un suo programma tempestivo, con le date di inizio e di fine lavori scritte sui cartelli appesi nei cantieri». Insomma, anche sul fronte del patrimonio artistico l'impegno del governo per fronteggiare il dopo-terremoto è massimo: l'esecutivo farà ogni cosa in suo potere per recuperare i tesori abruzzesi e restituirli al loro splendore.

Gianteo Bordero

giovedì 16 aprile 2009

GLI ALTRI SCIACALLI

da Ragionpolitica.it del 16 aprile 2009

Non ci sono soltanto gli sciacalli che cercano di intrufolarsi nelle case lasciate vuote dai terremotati per arraffare l'arraffabile e fare bottino pieno sulla pelle già martoriata degli sfollati. Ci sono anche gli sciacalli che, pur non rubando soldi e gioielli, provano anch'essi a portare via qualche cosa di prezioso: l'anima buona di una nazione che in questi giorni terribili del dopo-sisma ha dato prova straordinaria di generosità, di capacità di dedizione, di disponibilità al sacrificio per l'altro. E ad aggravare la questione c'è il fatto che questo tipo di sciacallaggio viene foraggiato con i soldi pubblici appannaggio della Tv di Stato, quindi con i denari degli stessi italiani che hanno mostrato di preferire, ai teoremi di certe trasmissioni televisive, la concretezza di una gara di solidarietà davvero senza precedenti nel nostro paese.

Capiamo bene che raccontare la realtà e arrendersi di fronte all'evidenza di una sanità morale del popolo italiano significherebbe, per certi conduttori e commentatori, alzare bandiera bianca e riconoscere il fallimento di anni e anni di impegno ideologico finalizzato a dimostrare la pochezza civile, la bassezza etica, il malcostume che regnerebbero sovrani nel Belpaese. Significherebbe ammettere che quasi due decenni di trasmissioni, inchieste e scoop non sono serviti a «educare» gli italiani, ad innalzare il livello qualitativo della loro coscienza civica, a raddrizzare le storture prodotte dal sedimentarsi, sul suolo patrio, della cultura popolare e cattolica.

Eppure ci sono momenti in cui tutti dovrebbero fermarsi, almeno per un attimo, facendo lo sforzo di rimuovere dagli occhi le lenti deformanti del preconcetto e dell'ideologia. Per guardare in faccia ciò che accade. Per ascoltare la voce del dramma senza soffocarla col suono assordante dei tamburi di guerra contro il Governo, contro la Protezione Civile, contro lo Stato. Per onorare il dolore composto di chi piange i suoi cari. Per rispettare, a pochi minuti dall'inizio della giornata di lutto nazionale, un paese stretto attorno a chi è stato colpito dalla furia del sisma.

Invece, continuare a combattere la propria battaglia anche nelle ore in cui duecento bare vengono allineate sul terreno di un grande piazzale per ricevere l'estremo, straziante ultimo saluto dai famigliari, dagli amici, dai connazionali; nelle ore in cui è massimo lo sforzo dei soccorritori e dei volontari per riuscire ad estrarre dalle macerie, correndo non pochi pericoli, gli ultimi sopravvissuti al crollo degli edifici; nelle ore in cui si moltiplicano gli episodi di semplice ma coraggioso aiuto a chi è nella difficoltà. Continuare a cannoneggiare contro il nemico anche quando è colpito dalla tragedia e dal lutto. Continuare a fare tutto questo, come se niente fosse accaduto, è veramente il segno di un cinismo senza limiti e senza confini, la cui unica conseguenza non può che essere quella dello sciacallaggio ai danni non di una casa, di un negozio e di beni materiali, ma dei sentimenti più nobili e profondi di un popolo intero.

E' questo cinismo a lasciare sgomenti sopra ogni altra cosa. Non è tanto una questione di libertà di informazione e di pluralismo. E' soprattutto una questione di umanità e di senso di appartenenza a una storia, a una comunità, a una nazione. Nel momento in cui anche partiti che si combattono quotidianamente senza esclusione di colpi e risparmio di energie stabiliscono una tregua per creare quel senso di unità e solidarietà nazionale necessario per fronteggiare al meglio la fase dell'emergenza (mostrando con ciò che la politica in Italia non è quell'immondezzaio, quella discarica putrescente che molti opinionisti e giornalisti da salotto descrivono), mettere in piedi trasmissioni come quella di Annozero andata in onda lo scorso giovedì significa offendere, più che il Governo e la Protezione Civile, lo stesso popolo italiano, i valori nei quali esso crede. La sua sensibilità e la sua generosità. In una parola, significa offendere l'Italia e tutto ciò che essa è. Per questo, ciò che bisogna contrastare non sono tanto certe pessime trasmissioni, quanto lo spirito anti-italiano, di odio contro la nostra nazione, che esse alimentano, costi quel che costi, passando sopra le macerie e le tragedie.

Gianteo Bordero

sabato 11 aprile 2009

PASQUA 2009


IL SENSO DEL POPOLO

da Ragionpolitica.it del 10 aprile 2009

Martedì sera, mentre su Rai3 Pierluigi Bersani predicava sullo scarso - a suo dire - senso civico degli italiani, su molti degli altri canali nazionali continuavano a scorrere le immagini provenienti dall'Abruzzo martoriato dal sisma. Le immagini del salvataggio di Marta, rimasta sotto le macerie per un giorno intero ed estratta viva dopo un lungo, attento e difficile lavoro da parte dei Vigili del Fuoco. Le immagini dei volontari che senza sosta scavavano a mani nude per tirare fuori dai cumuli di mattoni e cemento gli ultimi sopravvissuti o i corpi senza vita degli ultimi dispersi. Le immagini degli uomini della Protezione Civile che si adoperavano per non lasciare soli gli sfollati accampati nelle tende. Le immagini dei medici-clown inviati dal ministro Carfagna per rendere meno amara la giornata dei bambini a cui il terremoto ha strappato la casa, la cameretta dei giochi, il mondo dei sogni. Le immagini di chi, pur essendo rimasto colpito dalla furia della terra, non si è tirato indietro per mettere in salvo chi si trovava nel bisogno e nel pericolo. Insomma, le immagini di un'umanità vera, di una solidarietà, di una generosità e di un coraggio che hanno mostrato la vera tempra, il vero carattere, ciò che di più grande e solido alberga nel profondo dell'animo degli italiani. Il contrario delle accuse mosse da Bersani, salito sul pulpito di Ballarò per puntare il dito contro la flaccidità civica del popolo a cui egli stesso appartiene.

Invece la tragedia dell'Aquila, di Onna, di Paganica, tutto il mare di dolore e di amore, di disperazione e speranza, di pianto e voglia di ricominciare, tutto quello a cui abbiamo assistito e a cui stiamo assistendo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, dimostra che quello italiano è un popolo sano, che ha le sue radici ben piantate in una terra che non è quella devastata dal sisma, quella fragile e insicura che può essere spezzata e spazzata via dalla furia del terremoto, ma è la terra solida della storia, delle fatiche degli avi, della carne e del sangue di chi ha costruito ed edificato moralmente e spiritualmente la nostra nazione, i nostri paesi, i nostri borghi. La terra fertile che sta alla base di ogni nuovo inizio, di ogni ripresa dopo il tempo del lutto e delle lacrime, di ogni ricostruzione.

C'è chi ha perso i figli, o i genitori, o i fratelli e le sorelle, o gli amici, oppure chi ha perso tutto insieme. La casa, l'automobile, i frutti di una vita di lavoro, di tanti anni di dedizione, sacrificio e fatica. Chi non ha più nulla e nessuno. Chi ha visto portarsi via il passato e il presente. E che ora si trova di fronte soltanto l'enigma nebuloso ed incerto del futuro. Eppure, laddove tutto consiglierebbe di gridare un nulla che appare vincitore, laddove tutto suggerirebbe di maledire ogni cosa, il cielo e la terra, laddove tutto sembrerebbe indicare la strada del non senso, del niente e del rifiuto rabbioso dell'esistenza, proprio qui rimane accesa una luce, una piccola fiammella di speranza, uno spiraglio di bene in mezzo a tanto, troppo male. Lo dicono gli uomini e le donne accampati nelle tende, sdraiati in un letto d'ospedale dopo essere scampati al peggio, in lacrime al pensiero di tutto ciò che fino all'altro ieri c'era e che oggi non c'è più: dicono che l'importante è non rimanere soli, non essere lasciati soli; dicono che la vicinanza di tante persone, la condivisione del proprio dolore con coloro che gli sono al fianco, l'essere insieme, l'essere abbracciati da un'ondata di fratellanza e di calore umano... dicono che tutto ciò - tutti questi fattori e valori così radicati nel Dna del popolo italiano - sono lo spiraglio che si apre sulla luce dopo tanto buio, sono la spinta per andare avanti, per restare attaccati alla vita oggi e per ricostruire domani.

Un grande italiano, un grande narratore dello spirito del nostro popolo, Giovannino Guareschi, nell'adattamento cinematografico di uno dei suoi racconti del «Mondo Piccolo», quando tutto il paese è costretto a sfollare a causa dell'esondazione del fiume, ci ha lasciato, nelle parole di don Camillo che rimane nella sua Chiesa allagata per celebrare la Messa della domenica, una testimonianza che merita oggi di essere ricordata e che vale più di tanti commenti: «Non è la prima volta che il fiume invade le nostre case. Un giorno, però, le acque si ritireranno ed il sole ritornerà a splendere. Allora ci ricorderemo della fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili e con la tenacia che Dio ci ha dato ricominceremo a lottare, perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli».


Gianteo Bordero

martedì 7 aprile 2009

SE QUESTA E' INFORMAZIONE...

da Ragionpolitica.it del 7 aprile 2009

Le cronache dei principali quotidiani italiani sugli impegni internazionali del presidente del Consiglio nello scorso fine settimana rappresentano davvero un esempio di pessimo giornalismo. Di un giornalismo che mette al primo posto non il racconto o l'analisi dei fatti, ma l'ideologia e soprattutto il preconcetto. E, nel caso in questione, l'avversione personale nei confronti di Berlusconi, come uomo prima ancora che come politico. Un'avversione forte al punto di far calare il più totale silenzio sul merito delle proposte e dell'azione del premier in consessi autorevoli quali i summit del G20 e dell'Alleanza Atlantica. Consessi nei quali - giova ricordarlo - egli non rappresenta la parte politica uscita vincitrice dalle elezioni, ma l'intero paese: è la voce e il volto dell'Italia nelle più importanti sedi internazionali. Per questo sarebbe interesse comune di tutti gli italiani avere a disposizione dei resoconti dettagliati e puntali, che aiutino a comprendere il cuore delle questioni sul tappeto e le loro ricadute per il paese e per il suo prestigio sulla scena mondiale.

Invece ci si trova a leggere paginate intere di pseudo-gossip politico il cui unico scopo è palesemente quello di mettere alla berlina il capo del governo, presentarlo come un istrione inaffidabile, come uno zimbello, come il buffone di corte del G20 e della Nato. Come il compagno di classe perennemente in deficit di preparazione ma sempre pronto a farti scompisciare dalle risate con qualche battuta sul professore di turno o qualche scenetta da teatrino parrocchiale. E la cosa peggiore è che attorno a questa vulgata è fiorita e continua a fiorire tutta una sociologia che, mutuando quanto disse sul fascismo Piero Gobetti, punta a presentare Berlusconi come la nuova «autobiografia della nazione». Gettando fango, così, non solo sul presidente del Consiglio, ma sugli italiani tutti: sempre i soliti immaturi, incolti e poco lungimiranti che si recano ai seggi e affidano le sorti del paese a un uomo nel quale essi ripongono la fiducia per il solo motivo che in lui rispecchiano i loro peggiori difetti - e in questo modo se ne sentono assolti.

Quelle che sono le idee, gli sforzi, i contatti, le intese, le mediazioni, i programmi del premier in campo internazionale non è così dato conoscerlo dai resoconti della cosiddetta «grande stampa», perché è il fatto stesso che a rappresentare tali istanze sia uno come Berlusconi a renderle perdenti e fallimentari in partenza. Non importa se gli interessi italiani sono ben difesi, se le relazioni con le grandi potenze mondiali si fanno più salde, se l'autorevolezza del presidente del Consiglio è utile per disinnescare tensioni e sbrogliare intricate matasse diplomatiche, se l'immagine dell'Italia acquista prestigio e il governo cresce in considerazione e stima all'estero. No. Ciò che conta è maramaldeggiare sul capo del governo, sulla foto ricordo e su «Mister Obamaaaa!», inventarsi un predicozzo della regina Elisabetta nei suoi confronti, moraleggiare perché «buca» il protocollo ufficiale restando inchiodato al cellulare, e non importa se lo scopo della telefonata era superare l'empasse sull'imminente nomina del nuovo segretario generale della Nato.

E se il Cavaliere osa lamentarsi per il trattamento riservatogli in patria dalla stampa e per la disinformazione a tutto campo dei giorni del viaggio a Londra e poi Strasburgo, ecco che egli «finisce per violare anche la forma e la sostanza della libertà di informazione», dopo aver «ripetutamente violato la forma e la sostanza delle regole di politica internazionale» (così Andrea Bonanni su La Repubblica di domenica 5 aprile). Quella di Berlusconi sarebbe una «minaccia alla stampa» - titola lo stesso giornale - e il premier sarebbe «furioso per le polemiche». Del resto, per presentare come un successo la sua azione in campo internazionale «avrebbe bisogno di un controllo pressoché totale sull'informazione di casa propria. E poiché non riesce ad ottenerlo, poiché nell'era di internet e dell'informazione globale neppure il monopolio televisivo basta a garantirgli l'impunità, lascia libero corso alla propria ira pronunciando anatemi contro la stampa». Questo è il tenore di tanti commenti - se così li possiamo chiamare - apparsi nei giorni scorsi sui quotidiani italiani. E questo è il giornalismo che imperversa nel paese e che - esso sì - interpreta ogni critica ed ogni obiezione come un sacrilegio e come un attacco alla sua indipendenza. L'indipendenza dalla realtà e dalla verità.


Gianteo Bordero

SULLA CONSULTA DELLE FRAZIONI L'ASSESSORE CESELLI FA SOLO PROPAGANDA

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
"IL POPOLO DELLA LIBERTA' - LEGA NORD - UDC"

COMUNICATO STAMPA DEL 7 APRILE 2009

SULLA CONSULTA DELLE FRAZIONI
CESELLI FA SOLTANTO PROPAGANDA.

Il comunicato stampa con cui l’Assessore Gianluca Ceselli ha attaccato l’opposizione per le posizioni assunte in merito alla Consulta delle Frazioni è un condensato di propaganda fine a se stessa. Il comunicato, infatti, non contiene alcuna indicazione chiara su che cosa l’Amministrazione intenda fare in concreto per le Frazioni. Del resto, neppure il Bilancio 2009 approvato dalla maggioranza la scorsa settimana contiene tali indicazioni dettagliate e specifiche, se non un generico impegno di spesa. E di realizzazioni concrete non v’è traccia neanche nel piano delle Opere Pubbliche. Ne consegue che, a tutt’oggi, i fatti stanno a zero e le chiacchiere a cento.

Invece che occuparsi dell’ordinaria amministrazione (asfaltatura delle strade, rafforzamento dell’illuminazione pubblica, cura del verde), la Giunta Lavarello ha preferito e preferisce nascondersi dietro l’istituzione delle Consulte come presunto rimedio a tutti i problemi delle Frazioni.

In un periodo in cui la tendenza a livello nazionale è quella di ridimensionare i costi della politica e di ridurre il numero degli Enti pubblici, l’Amministrazione Lavarello-Ceselli ha scelto di intraprendere la strada opposta, mettendo in piedi un Organo ufficiale di consultazione di cui non si sentiva la necessità, visto che consultare i cittadini per conoscere, affrontare e risolvere i problemi del territorio, e quindi anche delle Frazioni, è comunque un dovere quotidiano e primario di qualunque Sindaco e di qualunque Assessore. Un dovere che non può essere in alcun modo sostituito o confuso con la moltiplicazione degli Enti, delle Commissioni, delle Consulte.

Gianteo Bordero (Capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

sabato 4 aprile 2009

LA LEGGE 40 NON E' UNA LEGGE «CATTOLICA»

da Ragionpolitica.it del 4 aprile 2009

Gennaio 2004. La legge sulla procreazione assistita proposta dalla maggioranza di centrodestra sta per giungere alla Camera dei Deputati per l'approvazione finale, dopo che al Senato si è riscontrata una convergenza che è andata oltre il recinto della Casa della Libertà ed ha coinvolto in modo particolare l'ala rutelliana e, in parte, quella ex popolare della Margherita. Le critiche alla normativa già fioccano abbondanti, amplificate da larga parte dei mezzi di comunicazione. L'accusa più comune è che si tratti di una legge scritta prendendo a modello il Catechismo della Chiesa cattolica, di una legge «oscurantista» e «medievale», che lede i diritti delle donne impedendo loro di soddisfare il legittimo desiderio di maternità. Sono i giorni in cui affila le armi quello che diverrà, qualche mese più tardi, il comitato referendario anti-legge 40.

Dal 19 al 22 del mese si svolge, a Roma, la riunione del Consiglio permanente della Cei, la Conferenza Episcopale italiana. Come al solito, la prolusione è affidata al presidente, il cardinale Camillo Ruini. Ad un certo punto del suo intervento il porporato parla del voto avvenuto qualche giorno prima a Palazzo Madama e delle polemiche che ne sono seguite, e afferma: «Sono stati rievocati, in particolare, i rischi della contrapposizione tra cattolici e laici e le accuse, nei confronti dei cattolici, di chiudersi nella difesa del passato e di voler imporre a tutti, attraverso una legge dello Stato, i propri punti di vista confessionali. In realtà, non si tratta di una legge "cattolica", dato che essa, sotto diversi e assai importanti profili, non corrisponde all'insegnamento etico della Chiesa». La legge 40, dunque, secondo il presidente dei vescovi italiani, non è «una legge cattolica». Parole, queste, che saranno troppo presto dimenticate, sacrificate sull'altare di una propaganda che tenterà in tutti i modi di presentare la normativa varata dal parlamento come una diretta emanazione delle volontà del Vaticano e della Cei, come l'imposizione di un dogma di fede alla Repubblica italiana, come una palese violazione della laicità dello Stato.

Eppure, sarebbe stato sufficiente prendere in mano il Catechismo della Chiesa cattolica per trovare conferma di quanto affermato dal cardinal Ruini. Nella parte dedicata al «dono del figlio», all'articolo 2377, il Catechismo afferma esplicitamente, a proposito delle tecniche di fecondazione omologa (quelle consentite dalla legge 40): «Tali tecniche sono, forse, meno pregiudizievoli (di quelle di fecondazione eterologa, ndr), ma rimangono moralmente inaccettabili. Dissociano infatti l'atto sessuale dall'atto procreatore. L'atto che fonda l'esistenza del figlio non è più un atto con il quale due persone si donano l'una all'altra, bensì un atto che "affida la vita e l'identità dell'embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e all'uguaglianza che deve essere comune a genitori e figli" (Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum Vitae)». Il successivo articolo 2378 spiega quindi che «il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono». Per questo egli «non può essere considerato un oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso "diritto al figlio"».

Bastano questi brevi richiami per comprendere che la posizione della Chiesa in materia di procreazione assistita è chiara e che la legge 40, nel momento in cui va a regolamentare l'accesso alla fecondazione omologa, si pone in contrasto con una esplicita norma morale prevista dal Catechismo. Ne discende che il giudizio complessivo della Conferenza Episcopale italiana sulla normativa in questione non fu mosso dalla necessità di difendere una legge «cattolica» (perché di ciò, come abbiamo visto, non si trattava e non si tratta), ma dal riconoscimento che tale legge costituiva un compromesso accettabile tra il dovere di tutela dell'embrione e le richieste di accesso alle nuove tecniche di fecondazione. E fu questa valutazione realistica e laica a motivare la battaglia dei vescovi italiani in favore dell'astensione ai referendum abrogativi del giugno 2005. Una battaglia finalizzata a salvaguardare quello che, agli occhi della Cei, appariva allora come un bicchiere mezzo pieno, che rischiava di essere svuotato da un'eventuale vittoria del fronte del «sì».

Di tutto ciò si dovrebbero ricordare tutti coloro che oggi parlano della legge 40 come di una ossequiosa genuflessione del parlamento alla Chiesa e ai suoi dogmi: se così fosse stato, anche la fecondazione omologa avrebbe dovuto cadere sotto la mannaia del legislatore. Ciò, invece, non accadde: non vi fu alcuna penna vaticana a dirigere la mano del legislatore: furono senatori e deputati liberamente eletti dal popolo, esercitando il compito a cui erano stati chiamati, a decidere secondo coscienza, e altrettanto liberamente, di scrivere una normativa che essi ritenevano giusta ed equilibrata. Una normativa che può piacere o non piacere, ma che almeno deve essere trattata per quello che è: una legge laica di uno Stato laico, non la trasposizione del Catechismo nel nostro ordinamento repubblicano.


Gianteo Bordero

giovedì 2 aprile 2009

L'«OSSERVATORE ROMANO» BENEDICE IL PDL

da Ragionpolitica.it del 2 aprile 2009

E' una benedizione in piena regola quella che il quotidiano della Santa Sede, l'Osservatore Romano, ha riservato ieri al Popolo della Libertà e al suo primo congresso. Una benedizione tanto più significativa se si tiene conto della sua provenienza: il giornale - ancorché «ufficioso» - del Papa. Un giornale che, se non manca mai di esprimere giudizi chiari sui fatti della politica italiana, è però solitamente cauto nel mettere nero su bianco le sue simpatie per questo o quel partito. Segno che da Oltretevere si guarda con fiducia al nuovo soggetto politico di centrodestra. L'edizione del 31 marzo riporta un articolo a firma di Marco Bellizi, nel quale, alla cronaca del congresso romano del Popolo della Libertà, seguono alcune considerazioni finali che non lasciano spazio a dubbi interpretativi. Scrive Bellizi: «L'immagine del Pdl che esce dal primo congresso nazionale è quella di una formazione forte, già più forte, secondo molti analisti, dello stesso Partito Democratico... Più forte non solo in termini percentuali: stando ai più recenti risultati elettorali, il Pdl appare, alla prova dei fatti, maggiormente in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana, tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria».

Si tratta di un apprezzamento importante, che non fa che confermare quanto emerso con chiarezza nei tre giorni del congresso: il Popolo della Libertà vuole essere e proporsi all'attenzione degli elettori come il partito degli italiani, e, con ciò, come il partito che si sforza di incarnare, esprimere e tradurre in scelte concrete quei «valori comuni» che stanno alla radice della nazione italiana e che ne hanno innervato in profondità la storia: riconosciuti come fondamento di tutti i partiti popolari europei, questi valori (la centralità della persona e il suo primato rispetto allo Stato, la sacralità della vita umana e la sua tutela, la valorizzazione della famiglia, l'accento posto sul bene comune) hanno trovato nel nostro paese una particolare declinazione, anche per la vicinanza con la sede papale.

Una vicinanza che oggi viene a galla in maniera ancor più evidente, come testimoniato dall'articolo dell'Osservatore Romano. La novità è che tale vicinanza non è dovuta a particolari motivi confessionali, ma innanzitutto alla comune volontà di porsi sul terreno della ragione, della storia e della tradizione culturale e spirituale dell'Italia per affrontare in modo laico le grandi questioni etiche e bioetiche oggi al centro del dibattito politico. Ciò è apparso chiaro al congresso del Pdl, non soltanto nel primo discorso di Silvio Berlusconi, ma anche in altri interventi, come quello svolto nella giornata di sabato da Maurizio Sacconi. Il ministro del Welfare ha affermato: «Noi possiamo dire in una parola chi siamo: noi siamo coloro che collocano al centro la persona, in tutti gli ambiti dell'attività di governo». E, riferendosi in particolare alla vicenda di Eluana Englaro e al decreto legge del governo, ha dichiarato: «Noi abbiamo realizzato una dimensione più alta della laicità, nella quale non possono non essere compresi, per credenti e non credenti, valori fondamentali come quello della persona».

Una «dimensione più alta della laicità», dunque, che piace molto al quotidiano della Santa Sede, oggi divenuto, anche grazie alla linea editoriale impressa dal nuovo direttore, Giovanni Maria Vian, luogo di elaborazione e dibattito culturale e non soltanto mero bollettino vaticano. Scrive ancora Bellizi nel suo articolo: «Nel Pdl si è affermata, in linea di principio, la libertà di coscienza sui temi etici più sensibili. Ma al momento di assumere iniziative concrete il Popolo della Libertà si è trovato unito». Questa è la conferma che il nuovo soggetto politico ha intrapreso la strada giusta nel momento in cui ha scelto di non presentarsi come partito confessionale, al modo della Democrazia Cristiana, ma come partito laico che non vuole tagliare le radici culturali e spirituali dalle quali ha tratto linfa la storia italiana. I tempi rispetto alla Dc sono cambiati. E, del resto, non bisogna dimenticare che è stato lo stesso pontefice Benedetto XVI a sollecitare, nei suoi numerosi interventi in materia di rapporto tra fede e politica, una sana laicità capace di generare decisioni e interventi legislativi fondati innanzitutto sul logos comune a tutti gli uomini.


Gianteo Bordero