sabato 11 aprile 2009

IL SENSO DEL POPOLO

da Ragionpolitica.it del 10 aprile 2009

Martedì sera, mentre su Rai3 Pierluigi Bersani predicava sullo scarso - a suo dire - senso civico degli italiani, su molti degli altri canali nazionali continuavano a scorrere le immagini provenienti dall'Abruzzo martoriato dal sisma. Le immagini del salvataggio di Marta, rimasta sotto le macerie per un giorno intero ed estratta viva dopo un lungo, attento e difficile lavoro da parte dei Vigili del Fuoco. Le immagini dei volontari che senza sosta scavavano a mani nude per tirare fuori dai cumuli di mattoni e cemento gli ultimi sopravvissuti o i corpi senza vita degli ultimi dispersi. Le immagini degli uomini della Protezione Civile che si adoperavano per non lasciare soli gli sfollati accampati nelle tende. Le immagini dei medici-clown inviati dal ministro Carfagna per rendere meno amara la giornata dei bambini a cui il terremoto ha strappato la casa, la cameretta dei giochi, il mondo dei sogni. Le immagini di chi, pur essendo rimasto colpito dalla furia della terra, non si è tirato indietro per mettere in salvo chi si trovava nel bisogno e nel pericolo. Insomma, le immagini di un'umanità vera, di una solidarietà, di una generosità e di un coraggio che hanno mostrato la vera tempra, il vero carattere, ciò che di più grande e solido alberga nel profondo dell'animo degli italiani. Il contrario delle accuse mosse da Bersani, salito sul pulpito di Ballarò per puntare il dito contro la flaccidità civica del popolo a cui egli stesso appartiene.

Invece la tragedia dell'Aquila, di Onna, di Paganica, tutto il mare di dolore e di amore, di disperazione e speranza, di pianto e voglia di ricominciare, tutto quello a cui abbiamo assistito e a cui stiamo assistendo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, dimostra che quello italiano è un popolo sano, che ha le sue radici ben piantate in una terra che non è quella devastata dal sisma, quella fragile e insicura che può essere spezzata e spazzata via dalla furia del terremoto, ma è la terra solida della storia, delle fatiche degli avi, della carne e del sangue di chi ha costruito ed edificato moralmente e spiritualmente la nostra nazione, i nostri paesi, i nostri borghi. La terra fertile che sta alla base di ogni nuovo inizio, di ogni ripresa dopo il tempo del lutto e delle lacrime, di ogni ricostruzione.

C'è chi ha perso i figli, o i genitori, o i fratelli e le sorelle, o gli amici, oppure chi ha perso tutto insieme. La casa, l'automobile, i frutti di una vita di lavoro, di tanti anni di dedizione, sacrificio e fatica. Chi non ha più nulla e nessuno. Chi ha visto portarsi via il passato e il presente. E che ora si trova di fronte soltanto l'enigma nebuloso ed incerto del futuro. Eppure, laddove tutto consiglierebbe di gridare un nulla che appare vincitore, laddove tutto suggerirebbe di maledire ogni cosa, il cielo e la terra, laddove tutto sembrerebbe indicare la strada del non senso, del niente e del rifiuto rabbioso dell'esistenza, proprio qui rimane accesa una luce, una piccola fiammella di speranza, uno spiraglio di bene in mezzo a tanto, troppo male. Lo dicono gli uomini e le donne accampati nelle tende, sdraiati in un letto d'ospedale dopo essere scampati al peggio, in lacrime al pensiero di tutto ciò che fino all'altro ieri c'era e che oggi non c'è più: dicono che l'importante è non rimanere soli, non essere lasciati soli; dicono che la vicinanza di tante persone, la condivisione del proprio dolore con coloro che gli sono al fianco, l'essere insieme, l'essere abbracciati da un'ondata di fratellanza e di calore umano... dicono che tutto ciò - tutti questi fattori e valori così radicati nel Dna del popolo italiano - sono lo spiraglio che si apre sulla luce dopo tanto buio, sono la spinta per andare avanti, per restare attaccati alla vita oggi e per ricostruire domani.

Un grande italiano, un grande narratore dello spirito del nostro popolo, Giovannino Guareschi, nell'adattamento cinematografico di uno dei suoi racconti del «Mondo Piccolo», quando tutto il paese è costretto a sfollare a causa dell'esondazione del fiume, ci ha lasciato, nelle parole di don Camillo che rimane nella sua Chiesa allagata per celebrare la Messa della domenica, una testimonianza che merita oggi di essere ricordata e che vale più di tanti commenti: «Non è la prima volta che il fiume invade le nostre case. Un giorno, però, le acque si ritireranno ed il sole ritornerà a splendere. Allora ci ricorderemo della fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili e con la tenacia che Dio ci ha dato ricominceremo a lottare, perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli».


Gianteo Bordero

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