da Ragionpolitica.it del 7 aprile 2009
Le cronache dei principali quotidiani italiani sugli impegni internazionali del presidente del Consiglio nello scorso fine settimana rappresentano davvero un esempio di pessimo giornalismo. Di un giornalismo che mette al primo posto non il racconto o l'analisi dei fatti, ma l'ideologia e soprattutto il preconcetto. E, nel caso in questione, l'avversione personale nei confronti di Berlusconi, come uomo prima ancora che come politico. Un'avversione forte al punto di far calare il più totale silenzio sul merito delle proposte e dell'azione del premier in consessi autorevoli quali i summit del G20 e dell'Alleanza Atlantica. Consessi nei quali - giova ricordarlo - egli non rappresenta la parte politica uscita vincitrice dalle elezioni, ma l'intero paese: è la voce e il volto dell'Italia nelle più importanti sedi internazionali. Per questo sarebbe interesse comune di tutti gli italiani avere a disposizione dei resoconti dettagliati e puntali, che aiutino a comprendere il cuore delle questioni sul tappeto e le loro ricadute per il paese e per il suo prestigio sulla scena mondiale.
Invece ci si trova a leggere paginate intere di pseudo-gossip politico il cui unico scopo è palesemente quello di mettere alla berlina il capo del governo, presentarlo come un istrione inaffidabile, come uno zimbello, come il buffone di corte del G20 e della Nato. Come il compagno di classe perennemente in deficit di preparazione ma sempre pronto a farti scompisciare dalle risate con qualche battuta sul professore di turno o qualche scenetta da teatrino parrocchiale. E la cosa peggiore è che attorno a questa vulgata è fiorita e continua a fiorire tutta una sociologia che, mutuando quanto disse sul fascismo Piero Gobetti, punta a presentare Berlusconi come la nuova «autobiografia della nazione». Gettando fango, così, non solo sul presidente del Consiglio, ma sugli italiani tutti: sempre i soliti immaturi, incolti e poco lungimiranti che si recano ai seggi e affidano le sorti del paese a un uomo nel quale essi ripongono la fiducia per il solo motivo che in lui rispecchiano i loro peggiori difetti - e in questo modo se ne sentono assolti.
Quelle che sono le idee, gli sforzi, i contatti, le intese, le mediazioni, i programmi del premier in campo internazionale non è così dato conoscerlo dai resoconti della cosiddetta «grande stampa», perché è il fatto stesso che a rappresentare tali istanze sia uno come Berlusconi a renderle perdenti e fallimentari in partenza. Non importa se gli interessi italiani sono ben difesi, se le relazioni con le grandi potenze mondiali si fanno più salde, se l'autorevolezza del presidente del Consiglio è utile per disinnescare tensioni e sbrogliare intricate matasse diplomatiche, se l'immagine dell'Italia acquista prestigio e il governo cresce in considerazione e stima all'estero. No. Ciò che conta è maramaldeggiare sul capo del governo, sulla foto ricordo e su «Mister Obamaaaa!», inventarsi un predicozzo della regina Elisabetta nei suoi confronti, moraleggiare perché «buca» il protocollo ufficiale restando inchiodato al cellulare, e non importa se lo scopo della telefonata era superare l'empasse sull'imminente nomina del nuovo segretario generale della Nato.
E se il Cavaliere osa lamentarsi per il trattamento riservatogli in patria dalla stampa e per la disinformazione a tutto campo dei giorni del viaggio a Londra e poi Strasburgo, ecco che egli «finisce per violare anche la forma e la sostanza della libertà di informazione», dopo aver «ripetutamente violato la forma e la sostanza delle regole di politica internazionale» (così Andrea Bonanni su La Repubblica di domenica 5 aprile). Quella di Berlusconi sarebbe una «minaccia alla stampa» - titola lo stesso giornale - e il premier sarebbe «furioso per le polemiche». Del resto, per presentare come un successo la sua azione in campo internazionale «avrebbe bisogno di un controllo pressoché totale sull'informazione di casa propria. E poiché non riesce ad ottenerlo, poiché nell'era di internet e dell'informazione globale neppure il monopolio televisivo basta a garantirgli l'impunità, lascia libero corso alla propria ira pronunciando anatemi contro la stampa». Questo è il tenore di tanti commenti - se così li possiamo chiamare - apparsi nei giorni scorsi sui quotidiani italiani. E questo è il giornalismo che imperversa nel paese e che - esso sì - interpreta ogni critica ed ogni obiezione come un sacrilegio e come un attacco alla sua indipendenza. L'indipendenza dalla realtà e dalla verità.
Gianteo Bordero
martedì 7 aprile 2009
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