giovedì 30 settembre 2010

CENTRODESTRA. L'ORA DELLA RESPONSABILITÀ

da Ragionpolitica.it del 30 settembre 2010

Che Fli e Mpa fossero determinanti per la tenuta della maggioranza era già stato evidente, di fatto, in occasione del voto del 4 agosto sulla mozione di sfiducia al sottosegretario Caliendo, quando l'astensione dei gruppi che fanno capo a Gianfranco Fini e Raffaele Lombardo fece fermare l'asticella di Pdl e Lega a quota 299. La vera notizia dell'importante giornata politica di mercoledì è invece l'annuncio della prossima costituzione in partito di Futuro e Libertà per l'Italia. Si consuma così la definitiva scissione dal Popolo della Libertà, con una scelta che incide sullo scenario politico generale dopo che la nascita dei gruppi di Fli alla Camera e al Senato aveva già modificato quello parlamentare.


Futuro e Libertà, come hanno affermato chiaramente i suoi esponenti di punta, vuole porsi come la «terza gamba» dello schieramento di centrodestra, partecipare ai vertici di maggioranza, contrattare di volta in volta i provvedimenti da sottoporre all'attenzione del parlamento. E' evidente che ciò muta lo schema attorno al quale, sino ad oggi, è ruotata la coalizione che dal 2008 si trova alla guida del Paese, ossia l'asse tra Pdl e Lega Nord, che ha garantito due anni di governo stabile, efficace ed efficiente. Gianfranco Fini vuole giocare in proprio la sua partita, ripropone il modulo «a tre punte», rilancia la sua leadership come autonoma e distinta - seppur ad oggi ancora alleata - da Berlusconi. Così i parlamentari di Fli, mentre ripetono che rimarranno fedeli al programma elettorale presentato agli italiani e sottoscritto anche dal loro leader, possono allo stesso tempo dichiarare che su tutto il resto è necessario un confronto di merito con gli altri gruppi del centrodestra.


Si tratta dunque di verificare - e solo i prossimi passaggi parlamentari ce lo potranno dire - se alla forte maggioranza numerica uscita dal voto di fiducia alla Camera (ancora più ampia di quella registrata al momento dell'insediamento dell'esecutivo) corrisponda ancora un'altrettanto forte maggioranza politica, solida e coesa sui punti qualificanti dell'azione di governo illustrati dal presidente del Consiglio nel suo intervento a Montecitorio. Quello che è in ogni caso da evitare è un'opera di lento ma costante logoramento, messa magari in atto nelle Commissioni attraverso una pioggia di emendamenti ai provvedimenti presentati dall'esecutivo o alle leggi proposte da Pdl e Lega (è auspicabile, insomma, che non vada in scena la replica di quanto accaduto col ddl sulle intercettazioni). Ancor più da evitare è quella che il capogruppo del Popolo della Libertà alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha definito come «guerriglia mediatica», ossia i quotidiani ed ininterrotti attacchi rivolti contro il premier e contro il partito di maggioranza relativa da cui gli stessi esponenti di Futuro e Libertà provengono. E' su questo campo, insomma, che si potrà valutare se l'annunciata lealtà di Fli è veramente tale oppure se essa è soltanto un proclama retorico finalizzato a prendere tempo e a indebolire, cuocendoli a fuoco lento in vista delle prossime elezioni, Berlusconi, il Pdl e la Lega. Se i finiani diventano partito e dicono in quanto partito di sostenere il governo, hanno un dovere politico di correttezza e responsabilità che non deve più lasciare spazio al gioco al massacro messo in campo negli scorsi mesi: non si può, in nome del proprio tornaconto più o meno immediato, scherzare col fuoco di una situazione nazionale e internazionale che richiede un esecutivo solido, compatto, determinato a portare il Paese al di là di una crisi che ancora fa sentire i suoi effetti.


Alla luce della notizia della prossima nascita del partito di Futuro e Libertà, una riflessione va infine fatta sull'opportunità che Gianfranco Fini mantenga il suo incarico istituzionale alla guida di Montecitorio. Già nei mesi scorsi abbiamo sottolineato l'anomalia di un presidente della Camera che si fa protagonista attivo - sia nella sostanza che nella forma - del confronto politico, prima con un quotidiano controcanto alle dichiarazioni del presidente del Consiglio, poi promuovendo una scissione del gruppo parlamentare da cui anch'egli proviene per dar vita a una nuova formazione, infine annunciando la trasformazione di questo nuovo gruppo in partito vero e proprio di cui egli non potrà che essere il leader, anche qualora formalmente la guida del nuovo soggetto fosse affidata ad altri. E' chiaro che in una situazione del genere Fini non appaia e non sia più una figura super partes come dovrebbe essere quella del presidente della Camera. Nessuno ha chiesto e chiede a Fini di cancellare le sue opinioni politiche, ma quello a cui abbiamo assistito e a cui stiamo assistendo va ben oltre il confine che passa tra l'espressione delle proprie idee e l'esercizio di un ruolo politico di primo piano. Se Fini, come pare, vuole fare politica attiva e porsi alla guida di un nuovo partito, si dimetta. Sarebbe un elemento di chiarezza per evitare che il caos aumenti sotto il cielo di Roma.

Gianteo Bordero

lunedì 27 settembre 2010

L'«AFFAIRE MONTECARLO»? REALTÀ, NON PATACCA

da Ragionpolitica.it del 27 settembre 2010

Con il videomessaggio diffuso nel tardo pomeriggio di sabato, Gianfranco Fini - non sappiamo se volontariamente o meno - ha fatto piazza pulita di tutti i giudizi che una parte della sinistra, molti media antiberlusconiani e tanti tra gli stessi esponenti di Futuro e Libertà avevano espresso sull'inchiesta del Giornale e di Libero a proposito della casa di Montecarlo. Dossieraggio orchestrato dal Cavaliere e dal suo entourage, uso distorto dei servizi segreti da parte di Berlusconi medesimo, patacche confezionate ad arte dai soliti «ambienti vicini al presidente del Consiglio» e chi più ne ha ne metta: tutto spazzato via, di fatto, dalle dichiarazioni della terza carica dello Stato, che non soltanto ha affermato apertis verbis che la «lealtà istituzionale dei servizi di intelligence è fuori discussione», con sommo dispiacere - immaginiamo - dei pasdaran di Fli, ma è arrivato al punto di collegare la sua permanenza alla guida della Camera alla verità sul quartierino nel Principato. Verità che, per quanto concerne il ruolo svolto nella vicenda da suo «cognato» Giancarlo Tulliani, egli dice di non conoscere ancora, pur avendo avuto dal Tulliani stesso ripetute rassicurazioni al proposito: «Anche io mi chiedo - ha detto - chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo. È Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so. Gliel'ho chiesto con insistenza: egli ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me. E se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera».


Parole, contenuti e toni assai diversi da quelli usati da Fini ancora di recente, nell'intervista rilasciata a Enrico Mentana per il Tg de La7, quando egli aveva affermato che «nel momento in cui si saprà la verità sulla casa di Montecarlo ci sarà da ridere». Adesso è l'inquilino di Montecitorio il primo a non ridere e a prendere sul serio la questione, tanto da mettere in ballo il suo incarico istituzionale.


In attesa di sviluppi - anche se, a dire il vero, una parola chiara è già venuta dalla lettera inviata dal ministro della Giustizia di Santa Lucia al suo premier in merito alla presenza di Tulliani nelle società off shore che rilevarono da An l'appartamento monegasco - resta il fatto che il tramonto della teoria del dossieraggio e dello zampino dei servizi segreti è un colpo duro da assorbire per coloro che speravano di rovesciare le responsabilità dell'intera vicenda su Berlusconi e di caricare sul groppone del presidente del Concislio anche l'accusa di golpismo e di uso privato delle strutture dello Stato per eliminare dalla scena un avversario politico. Chi credeva di poter formulare l'ennesimo accorato appello «in difesa della democrazia in pericolo» e, in nome di ciò, invocare una santa alleanza antiberlusconiana per rovesciare l'attuale quadro politico, ha dovuto riporre le sue illusioni nel cassetto.


Una parola, in particolare, va detta su coloro i quali, a sinistra, pensavano di poter lucrare politicamente dalla teoria del complotto ordito dall'uomo di Arcore per dar vita, nel nome dell'«emergenza democratica», a nuovi scenari, completamente diversi da quelli sanciti - essi sì democraticamente - dal voto popolare dell'aprile 2008. Qui siamo veramente, per ciò che concerne la gauche nostrana, alle «comiche finali», a un teatrino che mette a nudo, in maniera a dir poco imbarazzante, il vuoto pneumatico di idee, di identità, di leadership e di programmi del Pd e dei suoi alleati, costretti ad affidare i loro destini a colui che un tempo era l'innominabile capo di un impresentabile partito la cui sede ideale veniva individuata nelle fogne. Perso ogni contatto con la realtà, la sinistra si affida ormai soltanto ai sogni, costi quel che costi.


Ora la parola torna alla politica. Mercoledì il presidente del Consiglio interverrà alla Camera per esporre i punti sui quali si concentrerà l'azione di governo da qui alla fine della legislatura. Sarà quella la sede in cui ognuno dovrà parlare chiaro ed assumersi le sue responsabilità di fronte al parlamento e di fronte agli elettori. In questo senso, se qualcuno avesse avuto in animo di usare la teoria del dossieraggio sulla casa di Montecarlo come un alibi per scelte di rottura, venuto meno questo argomento egli ora dovrà motivare le sue decisioni, quali che siano, su basi esclusivamente politiche, senza tirare in ballo il fantasma della Spectre o simili amenità di cui nessuno avverte il bisogno.


Gianteo Bordero

martedì 21 settembre 2010

SESTRI LEVANTE. IL PDL È AL FIANCO DEI LAVORATORI DI FINCANTIERI E DELL’INDOTTO

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE DE “IL POPOLO DELLA LIBERTÀ”


COMUNICATO STAMPA DEL 21 SETTEMBRE 2010


L’impegno per salvare lo stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso dalla ventilata chiusura, annunciata a mezzo stampa, ha per noi una doppia valenza: da un lato si tratta di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, dall’altro lato di mantenere sul territorio comunale una delle ultime grandi realtà industriali presenti nella nostra regione. Ricordiamo che Sestri Levante ha già pagato un prezzo salato, nel recente passato, per lo smantellamento di fabbriche come la FIT. Non vorremmo ora che la storia si ripetesse, con l’abbattimento dei capannoni e il via libera a operazioni che poco hanno a che vedere con lo sviluppo della città.


Noi stiamo dalla parte dei lavoratori, senza se e senza ma. Sosterremo tutte quelle iniziative che riterremo ragionevoli e davvero utili per raggiungere gli obiettivi anzidetti: salvaguardare i posti di lavoro e lo stabilimento di Riva Trigoso. Ci auguriamo, come hanno chiesto l’onorevole Michele Scandroglio e il consigliere regionale Gino Garibaldi, che venga al più presto fatta chiarezza e che, come ha auspicato il ministro Maurizio Sacconi, il confronto sul futuro della Fincantieri venga rimesso nei corretti binari, che non sono quelli degli annunci e dei titoloni a tutta pagina che creano solo panico, incertezza e confusione.


Gianteo Bordero (capogruppo)

Marco Conti

Giancarlo Stagnaro

lunedì 20 settembre 2010

UN PAPA CHE FA LA STORIA. LA VISITA DI BENEDETTO XVI NEL REGNO UNITO

da Ragionpolitica.it del 20 settembre 2010

Benedetto XVI è un Papa che fa la storia. Come la fecero i grandi Papi riformatori del Medioevo, che seppero riproporre la freschezza e la novità del fatto cristiano in tempi confusi e difficili. La vera riforma - ha spiegato più volte Ratzinger, già da cardinale - non è infatti un cambiamento di struttura, ma è un'opera di purificazione del cuore e della ragione, di disincrostazione e di rimozione di ciò che non è essenziale alla fede cristiana. Questo è stato evidente anche nel viaggio nel Regno Unito, conclusosi domenica con la cerimonia di beatificazione del cardinale John Henry Newman. Una figura che Benedetto ha indicato come simbolo del dialogo fruttuoso tra fede e ragione, come maestro di vera educazione, e soprattutto come uomo che ha saputo rispondere con coraggio e senza riserve alla vocazione di Dio. Tre temi, questi, che hanno fatto da filo conduttore della visita papale, e che suggeriscono un percorso di rinnovamento spirituale nel quale il Pontefice individua il punto di ripartenza non soltanto per la presenza cristiana nel mondo, ma anche per una convivenza sociale solida e feconda, che sappia davvero mettere al centro la persona umana nella sua integralità.


Fede e ragione. La questione del rapporto tra fede e ragione è stata al centro dell'intervento di Benedetto XVI alla Westminster Hall, di fronte alle autorità civili britanniche. Esistono dei principi morali - ha detto il Papa - che sono accessibili alla ragione umana anche «prescindendo dal contenuto della rivelazione», e che possono fornire il «fondamento etico delle scelte politiche». Questo significa che compito della Chiesa e dei cristiani non è tanto quello di indicare dall'alto alla società norme morali a cui può attingere il lume naturale dell'intelletto di ciascuno, credente o meno che sia, quanto quello di «aiutare nel purificare e gettare luce sull'applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi». Ciò implica da un lato che alla religione venga riconosciuto quel ruolo pubblico che non di rado oggi le viene negato, nelle società secolarizzate, in nome di una concezione della fede come mero fatto privato; dall'altro lato, occorre che anche la religione riconosca il ruolo purificatore della ragione per non cadere preda del settarismo e del fondamentalismo, «forme distorte di religione» che «possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali». La prospettiva indicata da Papa Ratzinger è ancora una volta quella di una sana laicità, alla quale egli richiama sia i non credenti che i credenti: «Il mondo della ragione ed il mondo della fede - il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso - hanno bisogno l'uno dell'altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà».


L'educazione. Questo tema è stato affrontato dal Pontefice nell'incontro con i rappresentanti delle scuole cattoliche e poi nell'omelia durante la messa di beatificazione del cardinale Newman. Affinché divenga possibile un fruttuoso dialogo tra fede e ragione, è necessario che alla base vi sia un percorso educativo che valorizzi integralmente la persona umana, preparandola a «vivere la vita in pienezza». E' quello per cui si è speso il beato John Henry Newman: «Fermamente contrario - ha detto il Papa - ad ogni approccio riduttivo o utilitaristico, egli cercò di raggiungere un ambiente educativo nel quale la formazione intellettuale, la disciplina morale e l'impegno religioso procedessero assieme». Si tratta di un'educazione alla sapienza intesa non soltanto come sapere intellettuale, ma come apertura alla realtà nel suo complesso e all'ampiezza delle domande che abitano il cuore di ciascuno. E' la dimensione trascendente dello studio e dell'insegnamento che è stata «chiaramente compresa dai monaci che hanno così tanto contribuito alla evangelizzazione di queste isole»: fu il loro impegno a «gettare le fondamenta della nostra cultura e civiltà occidentali».


La vocazione. Oscurato dai media - che hanno preferito in molti casi porre l'accento esclusivamente sulle dichiarazioni del Papa a proposito dei casi di pedofilia nel clero -, è stato forse questo il punto che più stava a cuore a Benedetto XVI per il suo viaggio nel Regno Unito. Lo si è intuito nella veglia di preghiera ad Hyde Park in preparazione alla cerimonia di beatificazione di Newman, quando di fronte a centomila giovani - un numero superiore alle attese, che ha sconfessato i soliti uccelli del malaugurio che annunciavano giorni cupi per il Pontefice in Gran Bretagna - Ratzinger ha parlato del cammino di conversione del cardinale inglese e ha ricordato una delle sue meditazioni: «Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri». Così diviene chiaro che il dinamismo della fede cristiana non è destinato a rimanere relegato nella sfera privata: l'adesione personale alla verità rivelata, a Cristo che è «via, verità e vita», è per sua natura risposta pubblica ad un compito specifico a cui si è chiamati. Questo è particolarmente urgente in un tempo nel quale «una profonda crisi di fede è sopraggiunta nella società». Rivolgendosi quindi ai giovani, il Papa li ha invitati «ad operare per la diffusione del Regno impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo», non avendo paura della chiamata di Dio, ma essendo aperti «alla Sua voce che risuona nel profondo del cuore». Come il cardinale Newman, la cui nota espressione «Cor ad cor loquitur», scelta come motto del viaggio pontificio, «permette di penetrare nella sua comprensione della vita cristiana come chiamata alla santità, sperimentata come l'intenso desiderio del cuore umano di entrare in intima comunione con il Cuore di Dio». La vocazione universale dei cristiani alla santità passa per il «sì» di ciascuno al compito che Dio gli ha assegnato. Così vive il cristianesimo nella storia, e così lo ha riproposto Benedetto XVI nei suoi intensi quattro giorni nel Regno Unito.

Gianteo Bordero

venerdì 17 settembre 2010

SARKOZY, BERLUSCONI E L'EUROPA POSSIBILE

da Ragionpolitica.it del 17 settembre 2010

Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi hanno mostrato che il Re è nudo. Che l'Unione Europea risulta non pervenuta per quanto riguarda le politiche sull'immigrazione. Che le istituzioni comunitarie, spesso arroccate negli ovattati palazzi di Bruxelles, rischiano di perdere il contatto - se mai l'hanno avuto - con i popoli del Vecchio Continente e con la loro sacrosanta domanda di sicurezza. La dura reprimenda della commissaria europea alla Giustizia, Viviane Reding, contro le espulsioni dei Rom messe in atto dal presidente francese ha rivelato un abito mentale che sembra caratterizzare le alte sfere dell'Ue: un'accentuata tendenza all'astrazione dalla realtà concreta dei cittadini europei in nome di un'ideologia del politicamente corretto a cui sembra debbano sottostare, senza colpo ferire, anche i Paesi membri. E' emersa così tutta la differenza di approccio tra chi è chiamato a governare uno Stato, e deve fare i conti quotidianamente con problemi spinosi come quelli legati all'immigrazione e al nomadismo, e chi si trova al vertice di una struttura di potere priva di sovranità territoriale e quindi portata per sua natura a riempire questo vuoto attraverso l'autoassegnazione di un'autorità morale che si pretende sovraordinata alla legittima autorità politica dei capi di Stato e di Governo. Se Sarkozy non avesse risposto per le rime alla Reding, questa tendenza sarebbe stata di fatto legittimata.


Il merito del presidente francese e del premier italiano è quello di aver ricordato che vi sono questioni reali sulle quali l'Ue non se la può cavare con un richiamo più o meno generico ai suoi principi costitutivi: questioni che toccano nel vivo le società europee e la stessa tenuta della convivenza civile. Se l'Unione vuole acquistare forza e credibilità, deve prendere atto che tali problemi esistono e la riguardano da vicino. Lo ha detto chiaramente Silvio Berlusconi nella sua intervista rilasciata nei giorni scorsi a Le Figaro: «L'Europa non ha ancora compreso - ha spiegato il presidente del Consiglio - che quello dell'immigrazione clandestina non è un problema unicamente francese o italiano, greco o spagnolo. Il presidente Sarkozy, invece, ne è pienamente cosciente». Se si vuole mettere in campo una politica autenticamente europea, perciò, la condizione non è quella di bypassare ovvero sovrastare i Paesi membri, ma al contrario di farsi carico in modo comune di problemi che solo all'apparenza riguardano un singolo Stato, e che investono invece, a una lettura più attenta, tutto il Vecchio Continente. Questo è stato evidente in occasione della crisi greca e della risposta - in questo caso sì - veramente europea che ad essa è stata data.


Coloro che criticano Sarkozy e Berlusconi per le posizioni espresse, e li accusano di essere antieuropeisti, non comprendono che quella indicata dal presidente francese e dal nostro premier è la sola strada percorribile a fronte di quella fallimentare adottata negli anni passati, che ha portato - in troppi sembrano dimenticarsene - alla bocciatura della Costituzione Ue nei referendum popolari in Francia e in altri Paesi europei nel 2005. L'inquilino dell'Eliseo e quello di Palazzo Chigi indicano invece la via per un'Europa possibile, non per l'Europa dei sogni (richiamata ancora oggi su La Stampa dalla figlia di Altiero Spinelli, Barbara) che rischiano di trasformarsi in incubi.


I capisaldi su cui si regge la prospettiva di politica europea sollecitata dai due leaders li ha ben riassunti una nota diffusa dalla Farnesina al termine del Consiglio Europeo di giovedì: rispetto delle leggi, principio di solidarietà dei Paesi membri, principio di leale collaborazione fra istituzioni comunitarie e Stati membri, paziente e dettagliata consultazione dei Paesi interessati da parte degli organismi comunitari «prima di assumere iniziative che possano sembrare improntate a critica o contestazione di comportamenti adottati dagli Stati membri nel rispetto delle leggi e dei regolamenti comunitari». Questa è la strada del realismo politico, la sola che può essere intrapresa da un'Europa che deve uscire dai castelli dorati di Bruxelles e dalle sue costruzioni giuridiche astrattamente perfette, per confrontarsi con i nodi intricati del nostro tempo e con le sfide che esso pone.


Gianteo Bordero

lunedì 13 settembre 2010

RELATIVIZZARE DIO SIGNIFICA RELATIVIZZARE LA DIGNITÀ DELL'UOMO

da Ragionpolitica.it del 13 settembre 2010

E' molto chiaro il messaggio che Benedetto XVI ha voluto lanciare col suo discorso pronunciato durante la presentazione delle lettere credenziali del nuovo ambasciatore della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede: quando si affievolisce l'affermazione della dignità e della centralità della persona umana, si spalancano le porte a ogni genere di sopruso e si pongono le basi per la disgregazione della società. Tutto nasce, secondo il Papa, dalla dimenticanza del carattere personale del Dio cristiano e dall'affermarsi di una vaga religiosità incapace di fondare una vera cultura della vita, una solida morale, una feconda crescita sociale: «Al posto del Dio personale del cristianesimo, che si rivela nella Bibbia, subentra un essere supremo, misterioso e indeterminato, che ha solo una vaga relazione con la vita personale dell'essere umano». Alla base delle parole del Pontefice vi è la consapevolezza che la storia della nostra civiltà, dell'Europa a cui apparteniamo, è fondata sul principio secondo cui l'essere personale dell'uomo è analogia dell'essere personale di Dio: il Dio cristiano, che per sua stessa essenza è relazione d'amore tra le Persone trinitarie, entra in rapporto con l'uomo creato «a Sua immagine e somiglianza». La creazione è cioè già essa stessa il «tu» rivolto da Dio all'uomo, che rende possibile il «tu» dell'uomo a Dio. Tolto questo legame ontologico, la relazione personale tra creatura e creatore, la dignità umana diventa una variabile dipendente dalle culture, dalle mode, dal potere, dal pensiero dominante nella società.


L'affermarsi di una concezione di Dio impersonale e indeterminata ha conseguenze esiziali, secondo Papa Benedetto, nel campo della giustizia e della legislazione, perché quando diviene prevalente l'idea di un Dio «che non conosce, non sente e non parla, e, più che mai, non ha un volere, il bene e il male alla fine non sono più distinguibili». L'esito di tale convinzione è che «l'uomo perde la sua forza morale e spirituale, necessaria per uno sviluppo complessivo della persona». E «l'agire sociale viene dominato sempre di più dall'interesse privato o dal calcolo del potere, a danno della società». I segnali che mostrano come questa tendenza operi oggi a livello sociale e politico si possono scorgere - dice il Pontefice - nei dibattiti e talvolta anche nelle leggi che toccano temi indissolubilmente legati alla centralità della persona umana e sui quali il magistero cattolico ha definito alcuni principi «non negoziabili»: la vita e la famiglia.


La vita. Secondo Benedetto XVI «le nuove possibilità della biotecnologia e della medicina ci mettono spesso in situazioni difficili che rassomigliano a un camminare sulla punta della cresta. Noi abbiamo il dovere di studiare diligentemente fin dove questi metodi possono fungere d'aiuto per l'uomo e dove invece si tratta di manipolazione dell'uomo, di violazione della sua integrità e dignità. Non possiamo rifiutare questi sviluppi, ma dobbiamo essere molto vigilanti». Il problema non sta dunque nella ricerca e nel progresso delle scienze, bensì nel modo in cui essi vengono usati: a favore dell'uomo o contro l'uomo, a favore della vita o contro la vita. Se non è chiaro quel legame naturale tra Persona di Dio e persona umana che fonda la dignità di quest'ultima, il rischio è quello di iniziare a «distinguere - e spesso ciò accade già nel seno materno - tra vita degna e indegna di vivere», con la conseguenza che «non sarà risparmiata nessun'altra fase della vita, ancor meno l'anzianità e l'infermità».


La famiglia. E' in atto - dice il Papa - un «crescente tentativo di eliminare il concetto cristiano di matrimonio e famiglia dalla coscienza della società». Già altre volte, negli anni scorsi, Benedetto XVI aveva sottolineato che, se il Dio cristiano viene relativizzato, ogni prospettiva umana che contempli il «per sempre» e il dono totale di sé diventa per ciò stesso una contraddizione in termini. E se la persona non è più immagine di Dio, anche la dignità dell'amore umano si frantuma in mille pezzi, fino a svanire. La conseguenza è che la famiglia, testata d'angolo della società, perde la sua centralità, con esiti devastanti a livello sociale. Per questo - ha affermato il Pontefice di fronte al nuovo ambasciatore tedesco - «la Chiesa non può approvare iniziative legislative che implichino una rivalutazione di modelli alternativi della vita di coppia e della famiglia. Esse contribuiscono all'indebolimento dei principi del diritto naturale e così alla relativizzazione di tutta la legislazione e anche alla confusione circa i valori nella società».


La conclusione del Papa è che una comunità democratica e libera, per essere anche veramente umana, non può rinunciare alla verità. Perché senza verità, e senza rispetto della dignità della persona, il rischio è che anche la democrazia e la libertà siano in balìa del potere culturale, economico o politico di volta in volta dominante.


Gianteo Bordero

domenica 12 settembre 2010

giovedì 9 settembre 2010

MEGLIO IL PORCELLUM DEL TRANELLUM

da Ragionpolitica.it del 9 settembre 2010

Pd, Udc e qualche futurista finiano dicono che il governo Berlusconi non si occupa dei «veri problemi del paese». E quindi? Quindi occorre un nuovo esecutivo... per riscrivere la legge elettorale. Non è una battuta di spirito - anche se lo sembra - ma una cosa detta e ridetta in queste settimane centinaia di volte, con ostentata convinzione, dagli oppositori del presidente del Consiglio. Se ne deduce che i suddetti «veri problemi del paese» si riducono infine ad uno soltanto, che purtroppo però non riguarda né gli interessi generali dell'Italia né la vita concreta degli italiani, bensì soltanto il tornaconto politico più o meno immediato di lorsignori: modificare l'attuale normativa elettorale, cancellare il premio di maggioranza che assegna alla coalizione più votata i numeri per governare, introdurre o reintrodurre un sistema nel quale siano i partiti dopo il voto, e non più i cittadini nelle urne, a menare le danze. Così, quelle che con buona probabilità, a legge elettorale invariata, continuerebbero ad essere minoranze, con la nuova geniale trovata si ritroverebbero di colpo a reggere le sorti della nazione.


Non sappiamo ancora quale forma concreta assumerà questa nuova legge, ma di certo possiamo già dire che passeremmo dal tanto deprecato Porcellum, che bene o male garantisce il rispetto del principio fondamentale della moderna democrazia rappresentativa (chi prende più voti ha il diritto di governare), a un tanto più deprecabile Tranellum, studiato apposta per consentire ad una somma di minoranze di assumere la guida del paese. Se l'attuale legge elettorale è una «porcata», l'aggettivo per definire quella che verrebbe fuori da un fantomatico - e ci auguriamo rimanga tale - governo dei perdenti non può che sconfinare nel turpiloquio.


E la cosa peggiore è che molte delle anime belle che si esercitano quotidianamente, dalle colonne dei giornali o dagli schermi televisivi, nella distruzione della vigente normativa, stracciandosi le vesti a causa dell'impossibilità di esprimere la preferenza (ma non era stato proprio il sistema delle preferenze, sempre a loro dire, il «cancro» della Prima Repubblica?) e sostenendo che ciò rappresenta una ferita mortale inferta alla democrazia, sono le stesse che poi non battono ciglio quando gli si fa notare che la legge elettorale da loro immaginata è meno democratica dell'attuale, essendo concepita per impedire a colui che ancora gode della maggioranza relativa dei consensi, cioè Berlusconi (e l'alleanza tra Pdl e Lega), di tornare ancora una volta a palazzo Chigi. Da tutto ciò si comprende che anche l'invocare ad ogni piè sospinto il ripristino delle preferenze è un mero paravento per nascondere il vero obiettivo dei promotori del Tranellum: escogitare un sistema per far fuori dalla scena politica l'uomo di Arcore.


E' quella che potremmo chiamare «legge di Bersani»: se i numeri mancano, se il gradimento popolare è scarso, se l'entusiasmo dei militanti languisce, se la sinistra in Italia è ridotta ad un mero flatus vocis a cui non corrisponde realtà alcuna, e se Berlusconi continua ad essere il leader politico più apprezzato dai cittadini, allora bisogna cercare di ottenere con giochi di palazzo, costi quel che costi, quello che non si può ottenere con il consenso democratico. E' chiaro, in questa prospettiva, che il reiterato ed ossessivo richiamo al «bene del paese» altro non è che una finzione retorica, una maschera indossata dai perdenti di ieri, e forse anche di domani, per occultare il loro desolante vuoto politico e l'unico, disarmante punto programmatico che essi sono in grado di elaborare: una legge contra personam che alla fine sarebbe, di fatto, una legge contro il popolo e contro la democrazia.


Gianteo Bordero

mercoledì 8 settembre 2010

ECCO PERCHÉ FAMIGLIA CRISTIANA SBAGLIA

tratto da Il Predellino dell'8 settembre 2010

intervista a Gianteo Bordero

Sul botta e risposta tra il Predellino e Famiglia Cristiana, abbiamo intervistato Gianteo Bordero, giovane e brillante vaticanista cresciuto alla scuola di don Gianni Baget Bozzo, di cui è stato amico e collaboratore. Genovese, classe 1976, laurea in filosofia su G.K. Chesterton e studioso di teologia e storia della Chiesa, Bordero dal 2003 scrive su Ragionpolitica.it, giornale fondato da don Gianni e oggi diretto da Alessandro Gianmoena.


di Andrea Camaiora


Bordero, che cosa pensa della recente polemica tra il Predellino e Famiglia Cristiana, con tanto di possibile intervento per vie legali?


Trovo singolare che Famiglia Cristiana dichiari di voler adire vie legali per questioni che, a quanto ho letto sul Predellino, attengono squisitamente alla sfera teologica e dottrinale. Forse il settimanale dei Paolini pensa che un tribunale dello Stato possa essere competente in materia di fede e di morale cattoliche? Ci troveremmo di fronte a un clamoroso caso di ingerenza al contrario, con un giudice statale chiamato da una rivista cattolica a deliberare su questioni sulle quali l’ultima e definitiva parola spetta solo ed esclusivamente alla Chiesa e al Papa.


Famiglia Cristiana, nella richiesta di rettifica inviata al Predellino, afferma che negli anni scorsi non vi è stato alcun “commissariamento” della rivista da parte del Vaticano. E’ così?


“Commissariamento” è una parola che attiene alla sfera degli incarichi politici, e solo per trasposizione motivata da ragioni di chiarezza giornalistica è entrata nel gergo dei commentatori di cose ecclesiastiche. Resta il fatto che Giovanni Paolo II, nel 1997, approvò un decreto con il quale si stabiliva l’invio, presso la Famiglia Paolina, di un delegato pontificio che “in suo nome e per suo incarico” era chiamato a “esercitare tutte le funzioni spettanti normalmente sia al superiore generale che al superiore provinciale d'Italia in relazione alle opere apostoliche in Italia, quali i periodici e le Edizioni San Paolo e società collegate”. La notizia ebbe risalto sui media, i quali parlarono esplicitamente proprio di “commissariamento”. Il 28 febbraio di quell’anno titolava, ad esempio, il Corriere della Sera: “I Paolini commissariati dal Papa”. A seguire, nel suo commento, il vaticanista Luigi Accattoli faceva notare che si trattava di “una decisione rara nel governo papale: Giovanni Paolo II qualcosa di simile l’ha già fatto solo con la Compagnia di Gesù”. Di “decisione del Papa di commissariare” i Paolini parlò pure Repubblica il 2 marzo del 1997. Le dimissioni dell’allora direttore di Famiglia Cristiana, don Leonardo Zega, le cui posizioni in materia di morale sessuale vennero ritenute da molti come la causa scatenante del conflitto con la gerarchia, arrivarono l’anno successivo, il 1998.


Famiglia Cristiana sostiene anche di non aver “mai preso sistematicamente posizioni radicalmente divergenti dalla dottrina cattolica”.


Anche la grande maggioranza dei teologi e una parte dei vescovi erano convinte, ai tempi del dibattito che precedette l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI (1968), di sostenere posizioni di morale sessuale conciliabili con la dottrina cattolica e in linea con la carità evangelica. Poi arrivò la storica e coraggiosa decisione di Papa Montini, il quale, contraddicendo teologi e vescovi, mostrò chiaramente che il “depositum fidei” non è un corpo malleabile a seconda dei tempi, delle mode e delle culture dominanti: esso è un dono di verità che la Chiesa è chiamata ad amare e custodire. Proprio questo amore obbediente e questa custodia fedele sono la condizione necessaria affinché i cattolici, approfondendo ogni giorno di più il rapporto col Mistero di Cristo, possano andare incontro agli altri uomini e proporre al mondo non la loro verità, ma la Verità che hanno ricevuto in dono. Spesso si pensa – e si è pensato soprattutto nel post Concilio – che per comunicare Gesù al mondo occorra assimilarsi ad esso: in questa prospettiva la dottrina cristiana viene vista come un fardello insopportabile, come qualcosa di inservibile per l’esistenza dell’uomo contemporaneo. E così o viene accantonata oppure annacquata. Questa visione ha prodotto soltanto, nell’ordine: svuotamento delle chiese, impoverimento della teologia e confusione tra i fedeli.


Rispetto agli anni Ottanta, oggi Famiglia Cristiana fa parlare di sé soprattutto per le sue prese di posizione politiche. Che ne pensa di questa linea editoriale?


Sono d’accordo con quanti, anche all’interno della Chiesa, hanno deplorato il livore ideologico che emerge dagli attacchi di Famiglia Cristiana all’attuale governo. Manca inoltre, a mio avviso, quella prudenza di giudizio che un settimanale cattolico dovrebbe per sua natura mantenere, curandosi di approfondire per bene gli argomenti di volta in volta trattati ed evitando di adottare criteri di valutazione esterni alla sapienza cristiana e mutuati dai giornali che vanno per la maggiore.