da Ragionpolitica.it del 27 settembre 2010
Con il videomessaggio diffuso nel tardo pomeriggio di sabato, Gianfranco Fini - non sappiamo se volontariamente o meno - ha fatto piazza pulita di tutti i giudizi che una parte della sinistra, molti media antiberlusconiani e tanti tra gli stessi esponenti di Futuro e Libertà avevano espresso sull'inchiesta del Giornale e di Libero a proposito della casa di Montecarlo. Dossieraggio orchestrato dal Cavaliere e dal suo entourage, uso distorto dei servizi segreti da parte di Berlusconi medesimo, patacche confezionate ad arte dai soliti «ambienti vicini al presidente del Consiglio» e chi più ne ha ne metta: tutto spazzato via, di fatto, dalle dichiarazioni della terza carica dello Stato, che non soltanto ha affermato apertis verbis che la «lealtà istituzionale dei servizi di intelligence è fuori discussione», con sommo dispiacere - immaginiamo - dei pasdaran di Fli, ma è arrivato al punto di collegare la sua permanenza alla guida della Camera alla verità sul quartierino nel Principato. Verità che, per quanto concerne il ruolo svolto nella vicenda da suo «cognato» Giancarlo Tulliani, egli dice di non conoscere ancora, pur avendo avuto dal Tulliani stesso ripetute rassicurazioni al proposito: «Anche io mi chiedo - ha detto - chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo. È Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so. Gliel'ho chiesto con insistenza: egli ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me. E se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera».
Parole, contenuti e toni assai diversi da quelli usati da Fini ancora di recente, nell'intervista rilasciata a Enrico Mentana per il Tg de La7, quando egli aveva affermato che «nel momento in cui si saprà la verità sulla casa di Montecarlo ci sarà da ridere». Adesso è l'inquilino di Montecitorio il primo a non ridere e a prendere sul serio la questione, tanto da mettere in ballo il suo incarico istituzionale.
In attesa di sviluppi - anche se, a dire il vero, una parola chiara è già venuta dalla lettera inviata dal ministro della Giustizia di Santa Lucia al suo premier in merito alla presenza di Tulliani nelle società off shore che rilevarono da An l'appartamento monegasco - resta il fatto che il tramonto della teoria del dossieraggio e dello zampino dei servizi segreti è un colpo duro da assorbire per coloro che speravano di rovesciare le responsabilità dell'intera vicenda su Berlusconi e di caricare sul groppone del presidente del Concislio anche l'accusa di golpismo e di uso privato delle strutture dello Stato per eliminare dalla scena un avversario politico. Chi credeva di poter formulare l'ennesimo accorato appello «in difesa della democrazia in pericolo» e, in nome di ciò, invocare una santa alleanza antiberlusconiana per rovesciare l'attuale quadro politico, ha dovuto riporre le sue illusioni nel cassetto.
Una parola, in particolare, va detta su coloro i quali, a sinistra, pensavano di poter lucrare politicamente dalla teoria del complotto ordito dall'uomo di Arcore per dar vita, nel nome dell'«emergenza democratica», a nuovi scenari, completamente diversi da quelli sanciti - essi sì democraticamente - dal voto popolare dell'aprile 2008. Qui siamo veramente, per ciò che concerne la gauche nostrana, alle «comiche finali», a un teatrino che mette a nudo, in maniera a dir poco imbarazzante, il vuoto pneumatico di idee, di identità, di leadership e di programmi del Pd e dei suoi alleati, costretti ad affidare i loro destini a colui che un tempo era l'innominabile capo di un impresentabile partito la cui sede ideale veniva individuata nelle fogne. Perso ogni contatto con la realtà, la sinistra si affida ormai soltanto ai sogni, costi quel che costi.
Ora la parola torna alla politica. Mercoledì il presidente del Consiglio interverrà alla Camera per esporre i punti sui quali si concentrerà l'azione di governo da qui alla fine della legislatura. Sarà quella la sede in cui ognuno dovrà parlare chiaro ed assumersi le sue responsabilità di fronte al parlamento e di fronte agli elettori. In questo senso, se qualcuno avesse avuto in animo di usare la teoria del dossieraggio sulla casa di Montecarlo come un alibi per scelte di rottura, venuto meno questo argomento egli ora dovrà motivare le sue decisioni, quali che siano, su basi esclusivamente politiche, senza tirare in ballo il fantasma della Spectre o simili amenità di cui nessuno avverte il bisogno.
Gianteo Bordero
lunedì 27 settembre 2010
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