martedì 29 settembre 2009

CASE PER L'ABRUZZO

da Ragionpolitica.it del 29 settembre 2009

Mentre la sinistra e le sue gazzette occupano il loro tempo nella politica inconcludente e asfissiante delle chiacchiere, il governo prosegue spedito nel cammino intrapreso sin dal giorno del suo insediamento: la politica del fare, delle realizzazioni concrete, delle cose utili ai cittadini. E' il marchio di fabbrica del Berlusconi IV, che si è trovato ad affrontare, una dopo l'altra, emergenze epocali che in altri tempi e in altre circostanze avrebbero steso qualsiasi esecutivo: i rifiuti in Campania, la crisi economica e il terremoto in Abruzzo su tutte. Siamo così tornati agli albori dell'esperienza politica di Silvio Berlusconi, alla rivoluzione copernicana introdotta dal Cavaliere nella politica italiana: il governo è al servizio dei cittadini, non dei partiti; è il luogo in cui lo Stato diventa amico della persona, e non lo spazio in cui la persona è usata dallo Stato come mezzo per soddisfare gli appetiti del potere. Insomma: «La persona prima di tutto», come recita lo slogan che ha accompagnato in questi mesi la politica sociale e i numerosi provvedimenti anti-crisi messi in campo dall'esecutivo.


La tappa odierna di questa politica ha avuto come meta l'Abruzzo, dove il presidente del Consiglio ha consegnato alle famiglie colpite dal terremoto i primi appartamenti del progetto C.A.S.E, ossia Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili, destinati alle persone che hanno avuto la casa distrutta o resa inagibile dal sisma dello scorso 6 aprile. Mai acronimo fu così azzeccato: il nome corrisponde perfettamente alla cosa. E il progetto corrisponde altrettanto perfettamente al bisogno immediato dei cittadini dell'Aquila e dei borghi limitrofi: riavere quanto prima un tetto sotto cui vivere, abitare, per ritrovare quella normalità spazzata via dalla furia della terra cinque mesi fa. Oggi, alla presenza del premier e del sottosegretario Guido Bertolaso, la Protezione Civile ha consegnato a Preturo e Bazzano i primi 19 edifici (più di 400 appartamenti). Complessivamente, il progetto C.A.S.E prevede la realizzazione, entro la fine dell'anno, di 184 edifici, per un totale di circa 4.600 appartamenti, suddivisi in gruppi di 25-30 abitazioni per ogni edificio. Gli alloggi daranno una sistemazione ad oltre 16.000 terremotati. Trattasi di abitazioni durevoli, sicure (che poggiano su basi isolate sismicamente, ossia su basamenti retti da colonne sulle quali sono installati dispositivi che, in caso di scosse di terremoto, isolano le piattaforme dal terreno) e «verdi» (con bassi consumi energetici, con pannelli fotovoltaici installati sui tetti, isolate acusticamente e termicamente).


Il salto di qualità rispetto al passato è evidente, e tutto a vantaggio dei cittadini colpiti dal sisma: basta con le persone alloggiate per anni in strutture provvisorie come i container, ma un impegno immediato per costruire veri e propri appartamenti. Una «soluzione ponte - come spiega il sito internet del governo - tra i campi di accoglienza e il ritorno nelle nuove abitazioni». Infatti, quando la vera e propria ricostruzione sarà ultimata, saranno gli stessi aquilani a decidere la nuova destinazione d'uso di questi quartieri (residenze per studenti, sistemazioni turistiche, ecc...). Le C.A.S.E stanno sorgendo su 19 aree attorno all'Aquila, e su www.governo.it è possibile consultare la tabella con lo stato di avanzamento dei lavori per ogni area: il colore giallo indica gli scavi in corso, il grigio le fondazioni in corso, l'azzurro le case in corso e il verde le case terminate. A farla da padroni, sulla cartina, sono i colori azzurro e verde, a testimonianza del lavoro incredibile svolto dagli operai e dai tecnici che stanno curando la realizzazione del progetto.


Dunque, opere a tempo di record, se paragonate a ciò a cui abbiamo assistito nel nostro paese in casi analoghi, gestiti con pressapochismo e all'insegna dell'inefficienza. E opere per la persona, come ha sottolineato il presidente del Consiglio a Coppito, dove ha pranzato assieme ai vertici della Protezione Civile e con le maestranze che hanno realizzato il complesso abitativo di Bazzano: «Grazie per il miracolo che siete riusciti a compiere. Mi sono rimaste impresse molte scene coraggiose del lavoro fatto. Ricordo in particolare una signora che mi ha detto che nella vita non ha mai avuto una casa così bella. Questo dimostra che dal male si può avere del bene... Se si è positivi succedono i miracoli».

Gianteo Bordero

SESTRI LEVANTE INTITOLERÀ UNA VIA AI SOLDATI ITALIANI CADUTI IN AFGHANISTAN

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE

“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”


COMUNICATO STAMPA DEL 29 SETTEMBRE 2009


Ieri sera, su proposta del nostro gruppo, il Consiglio Comunale di Sestri Levante ha deciso di intitolare una via della città ai soldati italiani caduti in Afghanistan per mano terrorista, il 17 settembre scorso. Riteniamo che ciò rappresenti un atto dovuto nei confronti dei nostri militari, che hanno sacrificato la loro vita per portare pace, sicurezza e libertà in una terra lontana.

Abbiamo ancora negli occhi l’immagine del figlio di una delle vittime che, durante i funerali di Stato svoltisi a Roma, va ad accarezzare la bara del padre avvolta nella bandiera tricolore: un istante che ha unito la nostra nazione, che si è rispecchiata negli occhi di quel bambino. E’ anche per questi figli, per le mogli, per i genitori che abbiamo ritenuto doveroso proporre l’intitolazione della via.

E siamo soddisfatti del voto positivo che è giunto dai gruppi di maggioranza, in primis dal Partito Democratico; perché, come ha affermato ieri il presidente della Repubblica, l’unità delle forze politiche attorno ai soldati morti in Afghanistan rappresenta un “titolo di vanto” per l’Italia. E anche per la città di Sestri Levante, il cui Consiglio Comunale ha voluto onorare i caduti, oltre che con un minuto di silenzio all’inizio della seduta di ieri sera, proposto dal sindaco, anche con la decisione unanime di dedicare loro una strada.

Questo è stato anche il modo migliore per rispondere a coloro che, in una città a noi vicina come Genova, hanno infangato la memoria dei nostri militari inneggiando alla loro morte con scritte becere, ciniche e infami, cariche dello stesso odio che ha ucciso i sei soldati a Kabul. Chi ama la vita, chi crede nella libertà e nella pace, chi è orgoglioso della patria non può che stare dalla parte dei caduti, dei loro figli e delle loro famiglie.

Gianteo Bordero (capogruppo)

Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

sabato 26 settembre 2009

SE IL PARLAMENTO È «MAFIOSO», CHE CI STA A FARE DI PIETRO?

da Ragionpolitica.it del 26 settembre 2009

Se il parlamento è «mafioso» e vota «provvedimenti criminali», che cosa ci sta a fare ancora l'onorevole Tonino Di Pietro? Lui, che si proclama puro e incontaminato, lui paladino della moralità, lui che combatte ogni giorno la dura battaglia contro i disonesti, i corrotti e i faccendieri? Se veramente è convinto di quanto ha affermato venerdì, se davvero ritiene che la Camera e il Senato siano congreghe di malavitosi, perché non si dimette? Perché continua a rimanere nel gioco sporco della politica? Perché non torna ad indossare la toga (che infondo non ha mai dismesso) ed inquisisce tutto il sistema dei partiti come già fece quindici anni fa, durante i bei giorni andati di Mani Pulite? Perché non sceglie di calcare nuovamente le aule dei tribunali nella veste che meglio gli si addice, quella di pubblico accusatore, per interrogare a reti unificate il potente di turno ed umiliarlo come fece con i big della defunta Prima Repubblica? Perché continua a frequentare un ambiente nel quale rischia seriamente di contaminarsi con tutte le zozzerie di questo mondo? Perché non viene via da Montecitorio, convocando gli amici di un tempo per abbattere il sistema politico vigente dal sacro scranno del giudice? Perché non organizza un blitz dell'antimafia nelle aule parlamentari, una bella retata per portar via i suoi attuali colleghi, esclusi ovviamente quelli immacolati dell'Italia dei Valori?

Facile criticare, facile denunciare, facile accusare, quando poi le parole rimangono parole, e invece di diventare corposi faldoni d'inchiesta restano cibo per le agenzie di stampa e per i pastoni politici del giorno dopo. Facile urlare ai quattro venti, facile ergersi a Savonarola di turno, facile moraleggiare su questo e su quello, quando tutto ciò è in funzione del mero consenso elettorale. Facile puntare il dito, facile giudicare, facile costruire teoremi quando poi tutto questo rimane dentro al grande circo della politica politicante. Troppo facile, onorevole Di Pietro, inquisire il «sistema» e poi starsene comodamente seduti sul proprio seggio di parlamentare. Troppo facile, andare in piazza contro la «Casta» e poi continuare a farne parte come se niente fosse. Troppo facile organizzare alla sera le crociate della moralità antipolitica assieme ai grandi moralisti Grillo, Travaglio e Santoro, e poi, la mattina successiva, prendere posto nel proprio banco come se niente fosse. Se fosse coerente fino in fondo, se veramente tirasse le conseguenze del suo dire, allora dovrebbe andarsene alla svelta, aprire subito i processi, raccogliere e mostrare le prove delle sue affermazioni di fronte agli italiani tutti, in modo che possano toccare con mano la verità delle sue dichiarazioni, la solidità delle sue accuse. Sarebbe un servizio di cui il paese le sarebbe grato.

Invece no. Lei resta, all'insegna del motto «hic manebimus optime». Resta e denuncia disegni oscuri e complotti ai suoi danni. Parla di un assalto alla libertà d'espressione, salvo poi presentarsi liberamente in televisione e altrettanto liberamente dire che la stampa è imbavagliata. Parla di un regime in atto, di un novello Mussolini che siede a Palazzo Chigi, di un dittatore che soffoca il paese, salvo poi presentarsi tranquillamente alle elezioni per raccogliere i frutti della sua propaganda. E' davvero un liberticida da barzelletta colui che consente ai suoi nemici di attaccarlo un giorno sì e l'altro pure! Ed è davvero un regime di cartapesta quello che permette ai suoi oppositori di candidarsi e di accrescere la propria presenza nelle istituzioni!

Forse la verità, onorevole Di Pietro, è che neppure lei crede fino in fondo alle cose che con tanta foga, rabbia ed energia sostiene in pubblico. Perché se ci credesse, come detto poc'anzi, tornerebbe a fare il magistrato per poterle dimostrare. Il fatto che rimanga è la prova provata che la realtà della politica italiana non è quella che lei dipinge. E infine un nota bene consclusivo: prima di rovesciare sugli altri ogni genere di accusa, farebbe bene a guardare in casa sua: la rivista Micromega, una delle più anti-berlusconiane e pro-dipietriste del pianeta, dedica un saggio di cinquanta pagine al suo partito, l'Idv, dall'eloquente titolo: «C'è del marcio in Danimarca. L'Italia dei Valori regione per regione». Vi si legge: «Deficit di democrazia interna e strapotere in mano a pochi e discussi professionisti della politica. È il risultato della passata strategia di corto respiro dell'Idv imbarcare a destra e a manca (e soprattutto al centro) transfughi di altre formazioni politiche, consegnando loro le chiavi delle federazioni locali. Questo emerge dall'inchiesta sulle strutture locali del "partito dell'anticasta". Alla vigilia di una lunga stagione congressuale e dopo candidature come quella di De Magistris, il partito di Di Pietro deve scegliere se rinnovarsi davvero o precipitare nella "sindrome Occhetto"». Chi di giustizialismo ferisce...

Gianteo Bordero

giovedì 24 settembre 2009

CATTOLICI EMARGINATI NEL PD

da Ragionpolitica.it del 24 settembre 2009

Martedì 22 settembre la Commissione Sanità del Senato ha dato il via libera all'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva RU486. Una decisione finalizzata a «compiere un approfondimento sugli effetti legati al ricorso alla pillola presso le strutture sanitarie». La Commissione ha inoltre stabilito un programma di massima delle audizioni, nel quale «si prevede, in prima istanza, l'interlocuzione del ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, del presidente e del direttore generale dell'AIFA», l'Agenzia Italiana del Farmaco. Infine - si legge ancora nel comunicato di Palazzo Madama, «si è convenuto di espletare tale procedura informativa entro sessanta giorni, termine prorogabile allorché emergesse l'opportunità di acquisire ulteriori valutazioni ed analisi, prevedendo altre audizioni, oltre a quelle prospettate».

Fin qui niente di strano, visto che già all'indomani della decisione dell'AIFA di acconsentire alla commercializzazione della pillola, seppur restringendone la somministrazione alle sole strutture ospedaliere pubbliche, i gruppi parlamentari di maggioranza, Pdl in primis, avevano annunciato la loro intenzione di svolgere l'indagine conoscitiva. Ciò che martedì ha creato scalpore è stato, invece, quello che è accaduto all'interno del Partito Democratico: una netta spaccatura tra la capogruppo nella XII Commissione, Dorina Bianchi, la quale, nel corso dell'ufficio di presidenza, ha votato a favore dell'indagine, e buona parte degli altri senatori del gruppo, i quali, venuti a sapere del voto positivo della collega, hanno subito scatenato una furibonda polemica. Tanto più che la Bianchi, oltre ad aver dato il suo assenso all'indagine, aveva pure accettato l'incarico di relatrice di minoranza, con il compito di «seguire i lavori di tale procedura informativa, anche attraverso la raccolta della documentazione che si rivelerà necessaria».

Contro le scelte della senatrice Bianchi, cattolica di area teodem, hanno preso posizione praticamente tutti i maggiorenti del Pd, a partire da Dario Franceschini e dagli altri due candidati alla segreteria del partito, Pierluigi Bersani e Ignazio Marino. Il segretario uscente, appresa la notizia, ha scritto una lettera alla capogruppo democratica a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, invocando la convocazione del gruppo al fine di «giungere a una decisione, anche attraverso una votazione, sulla scelta di avviare una indagine conoscitiva sulla Ru486». E ha precisato: «Non essendo certo la scelta di una indagine conoscitiva una questione di coscienza, alla decisione del gruppo tutti devono attenersi». Un richiamo all'ordine, dunque, che ha portato, al termine dell'incontro dei senatori democratici, alle dimissioni della Bianchi da relatrice dell'indagine.

Questa vicenda riporta indubbiamente al centro dell'attenzione il tema dello spazio e del ruolo dei cattolici all'interno del Pd, anche in vista del prossimo Congresso e delle primarie di fine ottobre. L'impressione è che sia in atto, tra i tre candidati alla segreteria, una sfrenata corsa a mostrarsi come il campione del laicismo, per accaparrarsi voti che potrebbero essere decisivi per insediarsi alla guida del partito. Lo stesso ex popolare Franceschini non lascia passare giorno senza dichiarazioni piuttosto nette sui temi cari ai cattolici, come quelli bioetici. All'Espresso, ad esempio, ha dichiarato, in merito alla pillola RU486, che essa «è un modo di abortire meno invasivo per la donna di un intervento chirurgico». Quindi, «perché opporsi?». E ancora, sui rapporti con la Chiesa Cattolica: «Sarò un bravo laico... La Chiesa ha diritto di intervenire... ma non può dire a un parlamentare come deve votare: è una scelta che appartiene all'autonomia del politico».

Del resto, delle posizioni di Franceschini non c'è da stupirsi: fu lui che, nel 2007, si fece promotore di una lettera di 40 parlamentari «cattolici democratici» a sostegno della legge sulle coppie di fatto del governo Prodi, in aperto contrasto la linea auspicata dalla Conferenza Episcopale. Quello che dovrebbe preoccupare i cattolici del Pd è il fatto che, se alle dichiarazioni dell'attuale segretario si sommano quelle del super laicista Ignazio Marino e del post comunista Bersani, il quadro che ne viene fuori è davvero desolante. Tanto più che sia Franceschini che Bersani hanno già annunciato che, in caso di vittoria, la linea della libertà di coscienza sui temi etici verrà archiviata: dopo il Congresso, su queste materie, si deciderà a maggioranza e tutti, volenti o nolenti, si dovranno adeguare. Niente male, per un partito che si vuol presentare come luogo della felice sintesi tra laici e cattolici!

Gianteo Bordero

martedì 22 settembre 2009

«REPUBBLICA» DALLA FANTAPOLITICA AL FANTAVATICANISMO

da Ragionpolitica.it del 22 settembre 2009

Con la sinistra alla canna del gas, afona riguardo ai veri problemi del paese e inconsistente dal punto di vista della proposta politica, alle gazzette antiberlusconiane non resta che andare alla ricerca, di giorno in giorno, di qualche pezza d'appoggio per portare avanti l'eterna battaglia contro il Cavaliere. Ieri, ad esempio, era il giorno dei funerali di Stato dei sei militari italiani caduti in Afghanistan. Giorno di lutto nazionale. Anche per i giornali e per i siti web gauchisti. Ma in un altro senso: non c'era trippa per gatti per attaccare il nemico. Il quale prima ha preso parte, assieme alle altre cariche dello Stato, alle esequie dei nostri soldati, in un clima di generale commozione che non poteva dare appigli per le solite critiche pretestuose al presidente del Consiglio; e poi, finita la cerimonia funebre in San Paolo fuori le mura, ha incontrato a pranzo, a casa del sottosegretario Gianni Letta, Gianfranco Fini, per diradare le nubi nel rapporto con il co-fondatore del Popolo della Libertà dopo le recenti burrasche estive. Schiarite nel cielo del centrodestra, dunque, e meteo che volgeva al peggio nelle redazioni degli antiberlusconiani in servizio permanente, che sognavano un imminente affondamento del governo in carica per mano di un gruppo di congiurati guidati dal presidente della Camera. Pie illusioni da riporre nel cassetto.

Come mettere in pagina, dunque, la quotidiana dose di antiberlusconismo? Le ultime speranze dei nemici del Cavaliere erano affidate nientepopodimeno che al cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani (lo stesso che in passato è stato preso tante volte di mira per le sue posizioni definite «conservatrici» e «retrograde»), che alle 17.30 doveva tenere la sua prolusione al Consiglio permanente della Conferenza Episcopale. Una relazione che già nei giornali della mattina veniva preannunciata, dai soliti noti, come di ferro e fuoco contro il governo, contro il presidente del Consiglio, contro il centrodestra. Persino contro la stessa Santa Sede, rea - a detta dei commentatori e dei vaticanisti sinistrorsi - di berlusconismo più o meno sotterraneo, poco incline a imbracciare l'arma della scomunica nei confronti dell'eresiarca Silvio. Scattata l'ora X e finito l'embargo sul testo della prolusione, i gazzettieri gauchisti hanno scoperto che i retroscena e le anticipazioni del giorno prima avevano la stessa consistenza della panna montata. Il cardinale, è vero, ha ripetuto il richiamo - già fatto altre volte - alla «sobrietà» dei comportamenti da parte di chi riveste cariche politiche, ma lo ha fatto dopo aver affermato che «il criterio fondamentale per una onesta valutazione dell'agire politico è la capacità di individuare le obiettive esigenze delle persone e delle comunità, di analizzarle e di corrispondervi con la gradualità e nei tempi compatibili. È, in altre parole, il criterio della reale efficacia di ogni azione politica rispetto ai problemi concreti del paese». In sostanza: la Chiesa italiana adotta come primo metro di giudizio dell'operato del governo la qualità dei provvedimenti in relazione alle necessità del paese e alla ricerca del «bene comune».

Ma non finisce qui. Perché il cardinale, nel suo intervento, ha anche espresso giudizi positivi sull'operato dell'esecutivo, in almeno due passaggi: il primo è stato un plauso al ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, per la decisione di ricorrere al Consiglio di Stato avverso la sentenza del Tar del Lazio che aveva negato all'insegnamento della religione nelle scuole pari dignità rispetto alle altre materie («Opportunamente - ha affermato il presidente della CEI - il ministero della Pubblica Istruzione ha già avanzato ricorso al Consiglio di Stato, ribadendo con altro suo atto la validità della presenza dell'insegnamento di religione nel curriculum scolastico»); il secondo passaggio è stato quello riguardante la legge sul «fine vita» approvata dal Senato e ora in procinto di essere discussa alla Camera («Il lavoro già compiuto al Senato - ha detto Bagnasco - è prezioso, perché dice la volontà di assicurare l'indispensabile nutrimento vitale a chiunque, quale che sia la condizione di consapevolezza soggettiva»). E pure nel momento in cui l'arcivescovo di Genova ha sottolineato i punti su cui vi sono discussioni aperte tra la Chiesa italiana e il governo (come ad esempio la questione dell'immigrazione), non ha mancato di ricordare che «anche quando annuncia una verità scomoda, la Chiesa resta con chiunque amica. Essa infatti non ha avversari, ma davanti a sé ha solo persone a cui parla in verità. Questo servizio, che consegue alla nostra missione di Pastori, non può non essere colto nel suo intreccio di verità e carità, e rimane vivo e libero da qualsiasi possibile strumentalizzazione di parte». Come dire: è inutile cercare di tirare la CEI per la tonaca, da una parte o dall'altra, perché essa prima di tutto svolge la sua missione ecclesiale e formula giudizi sulle cose della politica con tempi, modi e criteri che non sono quelli della polemica quotidiana tra schieramenti.

Un messaggio che il capofila dei giornali antiberlusconiani, La Repubblica, perennemente intenta a dipingere un mondo in cui tutti sono contro il Cavaliere, ha fatto finta di non sentire. Leggere, per credere, la prima pagina di oggi e l'articolo di commento affidato al vicedirettore Massimo Giannini («La scelta dei vescovi»), in cui si scopre che il vero senso delle parole del cardinale non è quello che egli stesso ha illustrato, bensì consisterebbe in un attacco a tutto campo contro il governo e contro il presidente del Consiglio, oltre che contro la Santa Sede, alleata di Berlusconi in una fantomatica guerra contro la libertà e l'autonomia dei vescovi. Dopo la fantapolitica a cui ci ha abituato Repubblica, ora siamo al fantavaticanismo. Al peggio non c'è mai fine.

Gianteo Bordero

INTITOLAZIONE DI UNA VIA AI SOLDATI ITALIANI CADUTI IN AFGHANISTAN

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

GRUPPO CONSILIARE

“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”


OGGETTO: MOZIONE


I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI COMUNALI


Gianteo BORDERO, Giuseppe IANNI, Marco CONTI, Giancarlo STAGNARO


CHIEDONO


Che venga inserita all’Ordine del Giorno della prossima seduta di Consiglio Comunale la seguente mozione:


“Intitolazione di una via ai soldati italiani caduti in Afghanistan”


E PROPONGONO


Di sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno:


IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE


In seguito al sanguinoso attentato terroristico che il 17 settembre 2009, a Kabul, ha causato la morte di sei soldati italiani impegnati nella missione internazionale ISAF (International Security Assistance Force) in Afghanistan;


Ritenuto necessario onorare la memoria dei militari italiani caduti nell’adempimento del loro dovere all’interno di una missione finalizzata ad instaurare la pace e a garantire la sicurezza in Afghanistan su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.


IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA


Ad intitolare una via, strada o piazza del territorio comunale ai soldati italiani caduti in Afghanistan.

domenica 20 settembre 2009

UNA VIA DI SESTRI LEVANTE PER I CADUTI IN AFGHANISTAN

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE

“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”


COMUNICATO STAMPA DEL 19 SETTEMBRE 2009


In seguito all’attentato terroristico del 17 settembre a Kabul, nel quale hanno perso la vita sei soldati italiani, ed in risposta alle vergognose scritte ingiuriose apparse a Genova in questi giorni, che calpestano la dignità, l’onore e il valore dei giovani militari deceduti in Afghanistan, e che rappresentano di fatto un’apologia del terrorismo, depositeremo lunedì negli uffici comunali la richiesta di intitolazione di una strada di Sestri Levante ai caduti in Afghanistan. Con ciò vogliamo onorare la memoria dei nostri connazionali che hanno testimoniato fedelmente, fino al sacrificio della vita, il loro amore per la patria, per la democrazia, per la libertà.

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

sabato 19 settembre 2009

L'IDEALE E LA PATRIA

da Ragionpolitica.it del 19 settembre 2009

Finché si continuerà a ridurre la questione della presenza dei nostri soldati in Afghanistan a un mero problema di strategia (sia militare che politica), il livello del dibattito su un tema così drammatico e spinoso rimarrà giocoforza basso. E monco. E nessuno, alla fine, capirà perché i nostri uomini continuino a rimanere in una terra lontana e irta di pericoli, mettendo a rischio ogni giorno l'incolumità e la vita. Se c'è una cosa che si può dire dopo la tragedia di Kabul è che, di fronte alla morte, alla violenza e al terrore, di fronte all'esistenza spezzata dei nostri militari, le discettazioni strategiche non bastano. Perché non si dà la vita per una strategia. E i soldati italiani morti a Kabul, come emerge dal racconto commosso dei loro cari e dei loro famigliari, non erano in Afghanistan per amor di strategia. Ma per amor di patria. Hanno dato la vita per la patria. La nostra e quella di un popolo che faticosamente cerca la piena, vera libertà.


Gli analisti, gli esperti e i professori di geopolitica ci hanno spiegato ieri, e ci spiegheranno nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, ogni aspetto tecnico, tattico e strategico della questione afghana, metteranno sul bilancino i pro e i contro della prosecuzione della nostra missione. Disegneranno scenari, indicheranno possibilità, consiglieranno mosse e contromosse. Ma al popolo italiano, alle mogli, ai figli, ai padri e alle madri, ai parenti delle vittime in primis, ciò che innanzitutto interessa è scoprire il senso più profondo, le ragioni più grandi che giustifichino - nella misura in cui ciò è possibile - il sacrificio della vita nel fiore dell'età, in un paese straniero, in una guerra contro un nemico invisibile. Se esiste, questo senso, se esistono, queste ragioni, che esse vengano dette, ricordate, proclamate dinnanzi all'intera nazione, che ha sete di ascoltare una parola che riporti al centro della scena ciò che veramente conta: il significato di una morte come quella di Roberto, Andrea, Davide, Matteo, Gian Domenico e Massimiliano.


Eroi, si è detto. Ma eroi innanzitutto nella vita, prima ancora che nella morte. Eroi nella normalità e nella generosità del servizio alla loro patria. Eroi e patria, dunque. Ritornano le parole dell'epopea italiana. Le parole del Piave, delle trincee, delle pietraie del Carso, le parole che una dozzinale ideologia internazionalista, pseudo-pacifista e antinazionale ha cancellato per decenni dal vocabolario della nostra storia, della nostra comune coscienza di italiani. Ma che sono scritte, e oggi lo vediamo, nel nostro DNA di popolo, e non possiamo scrollarcele di dosso come se niente fosse, salvo perdere un pezzo di noi stessi, della nostra identità, del nostro essere nazione. Non si tratta di esaltare la guerra, di addolcirne la brutalità, ma di riscoprire che l'uomo non è un mucchio d'ossa senza significato e senza scopo, non è un ammasso di cellule destinate al degrado e alla decomposizione, non è un meccanismo cerebrale finalizzato al calcolo e alla misura del tangibile, ma è capace dell'Ideale, è capace di porre al di sopra della sua stessa esistenza un principio più grande al quale offrire il proprio tempo, il proprio cuore, la propria vita. Ideale - si badi - e non ideologia: tra l'Ideale e l'ideologia c'è la stessa differenza che intercorre tra amore e odio. Sono due principi opposti, perché l'Ideale è qualche cosa che non si sceglie a priori, ma che fa parte delle corde più profonde del nostro essere, e viene a galla come in un'alba di verità e di scoperta di sé, mentre l'ideologia è l'applicazione di uno schema mentale alla realtà, che alla realtà finisce per fare violenza.


E allora, se c'è un motivo valido, in fondo l'unico, per onorare i nostri caduti e per rimanere in Afghanistan, è proprio questo: l'Ideale, la patria, la nazione, l'amore per la propria terra e per i valori che il popolo a cui si appartiene ha trasmesso, e l'impegno per affermare questo ideale, questo amore e questi valori in un paese per troppo tempo schiacciato dalla violenza, dall'oppressione e dal fanatismo. Solo chi è libero può portare la libertà. Questo ci dice la tragedia di Kabul. Questa è la ragione per restarci.

Gianteo Bordero

venerdì 18 settembre 2009

SUL CASO DEI CLOCHARD A SESTRI LEVANTE LA GIUNTA LAVARELLO SBAGLIA SU TUTTI I FRONTI

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE

“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”


COMUNICATO STAMPA DEL 18 SETTEMBRE 2009


Che il sindaco lasci in pace i frati cappuccini, che con la loro mensa svolgono un insostituibile servizio di carità e di vera accoglienza umana nei confronti dei poveri, degli ultimi e dei reietti, e inizi finalmente a fare il suo dovere di fronte alle situazioni di degrado, incuria, insicurezza e sporcizia che affliggono importanti aree della nostra città. Ricordiamo al sindaco che il suo dovere primario non è quello di perdersi in analisi e discettazioni sociologiche, bensì quello di far rispettare la legge servendosi dei poteri che lo Stato mette a sua disposizione.


E qui non c’è discorso che tenga: è compito dell’autorità comunale garantire che gli spazi pubblici, come ad esempio i giardini “Mariele Ventre”, possano essere frequentati da tutti i cittadini in totale sicurezza e tranquillità. E’ compito dell’autorità comunale assicurare il decoro, la pulizia e la vivibilità di tali spazi. E’ compito dell’autorità comunale verificare e sanzionare comportamenti che siano in palese violazione della legge nazionale vigente. Ed è compito dell’autorità comunale, infine, tramite i Servizi Sociali ed in collaborazione con le associazioni caritative e di volontariato presenti sul territorio - e non tramite qualche improvvisato “educatore di strada” - provvedere affinché le persone bisognose non siano abbandonate a se stesse.


Quello che non può essere in alcun modo tollerato, in chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica, è il menefreghismo, la non curanza, il lasciar correre, il chiudere un occhio (quando non tutti e due) pensando che i problemi si risolvano da soli. Ciò denota sia una mancanza di autorevolezza di fronte ai cittadini, sia una mancanza di sensibilità nei confronti di chi è nel bisogno. Purtroppo già molte volte, in Consiglio Comunale, abbiamo ascoltato il sindaco e gli esponenti della maggioranza mettere in contrapposizione l’aspetto della pubblica sicurezza e l’aspetto del sostegno agli ultimi, come se l’una cosa escludesse automaticamente l’altra. Evidentemente non è nelle corde di questa maggioranza la capacità di conciliare queste due dimensioni. Il risultato è che la Giunta Lavarello finisce col non fare né la prima cosa né la seconda.


Una politica saggia chiederebbe da un lato di rafforzare i controlli nelle zone a rischio, implementando i pattugliamenti e gli strumenti di deterrenza, denunciando e allontanando chi viola la legge e, dall’altro lato, chiederebbe di rafforzare (secondo il principio di sussidiarietà) le strutture già esistenti, come quella dei frati cappuccini, dotandole magari di altri servizi che a un tempo possano rendere più dignitosa la vita dei barboni, più sicure molte aree della città e più tranquilli coloro che le frequentano.

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni

Marco Conti

Giancarlo Stagnaro

giovedì 17 settembre 2009

ONORE AI NOSTRI MILITARI CADUTI A KABUL

IL SOGNO IMPOSSIBILE DI «REPUBBLICA»

da Ragionpolitica.it del 17 settembre 2009

Dal cilindro magico di Repubblica spunta fuori il nuovo coniglio con cui rimpiazzare Silvio Berlusconi e il suo governo democraticamente eletto dagli italiani il 13 e 14 aprile 2008. Il coniglio si chiama «governo di salvezza nazionale», ed è un avanzato prodotto della sperimentazione genetica applicata alla politica: infatti nasce, secondo Massimo Giannini, vice direttore del giornale scalfariano, dall'incrocio in provetta del DNA di quattro figure di primo piano della politica nostrana: Gianfranco Fini, Giulio Tremonti, Massimo D'Alema e Pier Ferdinando Casini. Sarebbero loro - sostiene Repubblica - gli «anelli della catena» pronta a soffocare il premier, facendolo fuori una volta per tutte dall'agone politico. Lo scopo del progetto - scrive Giannini - è «offrire al paese un'alternativa nel 2013, nel caso in cui questo governo riuscisse miracolosamente a superare le colonne d'Ercole del Lodo Alfano, delle elezioni regionali, dei nuovi guai giudiziari e dei vecchi vizi personali del premier. Oppure tenersi pronti all'emergenza immediata, nel caso in cui la legislatura incappasse in un traumatico incidente di percorso». Ovviamente è quest'ultima ipotesi ad essere caldeggiata dal quotidiano di Largo Fochetti, secondo il quale esisterebbe già un programma bell'è pronto per questo nuovo esecutivo: «Riforma del sistema politico, con abbattimento del numero di parlamentari, consiglieri regionali e comunali; riforma del welfare, con radicale riforma dei contratti di lavoro sul modello Ichino-Boeri; riforma della spesa pubblica, con massicci tagli e dirottamento di risorse verso la scuola, la ricerca e l'innovazione».


Sognare è lecito, ma a tutto c'è un limite. Tant'è vero che, concludendo il suo articolo dopo essersi risvegliato madido di sudore in seguito alla visione onirica del governissimo post Cavaliere, Giannini ammette - bontà sua - che quanto da lui stesso scritto «sembra fantapolitica», salvo poi precisare che «di questi scenari, sia pure costruiti a tavolino, si discute in questi giorni». E qui casca l'asino. Perché a «discuterne» sarebbe - udite, udite! - nientepopodimeno che... Massimo D'Alema, il quale - scrive il vice direttore di Repubblica - avrebbe detto a Fini, qualche giorno fa: «Il tuo premier, ormai, non è più nelle condizioni, politiche e psicologiche, per negoziare alcunché». E' proprio vero che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, perché Giannini, dopo aver preparato con cura per i lettori la succulenta pietanza del super governo Fini-Tremonti-D'Alema-Casini, al momento di servirla in tavola ci svela il segreto della ricetta, cosa che un buon cuoco non dovrebbe mai fare. E il segreto si chiama, appunto, Massimo D'Alema. E' lui, cioè, il vero «suggeritore» del novello cuoco Giannini, il quale, evidentemente, non fa altro che riportarne gli auspici, le previsioni, le - chiamiamole così - analisi strategiche.


Ora, che Baffino sia un esperto conoscitore delle trame di Palazzo per far cadere i governi scelti dal popolo e sostituirli con altri che soddisfino i desiderata dei poteri forti è cosa nota sin dal 1998, quando lui stesso defenestrò da Palazzo Chigi Romano Prodi e si insediò al timone di un esecutivo messo in piedi grazie ad un'astuta operazione di trasformismo parlamentare. Ma ora D'Alema, se è vero - e non ne dubitiamo - quanto riportato da Giannini in coda al suo articolo, esagera veramente, perché un conto era organizzare la caduta di un esecutivo debole (come quello del Professore) da posizioni di forza (segretario del più grande partito della maggioranza), un altro conto è organizzare la caduta di un governo forte (come quello di Berlusconi) da posizioni di debolezza (sponsor di uno dei candidati alla segreteria del maggior partito dell'opposizione).


Evidentemente, a D'Alema - e a Repubblica - sfugge la differenza tra le due cose e il loro opposto grado di realizzabilità. In sostanza, gli sfugge la realtà. Come tutta la sinistra, egli - per riprendere un'immagine usata da Giulio Tremonti nell'intervista rilasciata martedì al Corriere della Sera - vive ancora nella caverna di Platone, all'interno della quale «gli uomini non vedono la realtà, ma le ombre della realtà proiettate sulle pareti. Vedono immagini, profili, stereotipi, imitazioni della realtà. Il mondo esterno, la realtà, è una cosa; l'immagine della realtà, vista dal profondo della caverna, è un'altra. C'è una drammatica asimmetria tra la realtà del paese e del governo e la rappresentazione che se ne fa. Dal lato della realtà, c'è la realtà, certo con tutte le sue complessità: negatività ma anche positività, crisi ma anche crescente coesione sociale. Dal lato della caverna, è l'opposto o il diverso. Non solo non si vede l'essere, ma a volte si confonde l'essere (quello che è) con il dover essere (quello che si immagina debba essere); o con il voler essere, cioè quello che per proprio conto e tornaconto si vorrebbe fosse».


Gianteo Bordero

martedì 15 settembre 2009

GLI SCENARI E LA REALTÀ

da Ragionpolitica.it del 15 settembre 2009

Tutti coloro che in questi giorni s'ingegnano a ipotizzare nuovi scenari e a descrivere come imminente un mutamento sostanziale del quadro politico italiano partono da due premesse fallaci, che conducono inevitabilmente a formulare deduzioni del tutto prive di fondamento in re. L'inconsistente sillogismo formulato dai novelli cultori della sfera di cristallo risulta così schematizzabile: premessa maggiore: «E' iniziato il declino di Silvio Berlusconi»; premessa minore: «In parlamento esiste una maggioranza alternativa a quella attuale». Conseguenza: «Occorre tenersi pronti per dare vita a un nuovo governo sostenuto da una nuova aggregazione di stampo centrista, che raccolga frammenti del Pdl e del Pd e li unisca ai voti dell'Udc, togliendo di mezzo la Lega Nord».


Per capire che le possibilità di riuscita di un simile disegno fantapolitico sono nulle ci vuol poco. Primo: se sono attendibili tutti gli ultimi sondaggi riguardanti il tasso di gradimento che riscuote tra gli italiani il presidente del Consiglio (il più recente registra il 68,6% di fiducia), è evidente che il suddetto «declino di Berlusconi» esiste soltanto nella mente di coloro che ne parlano, e che, evocandolo a ogni piè sospinto, sperano di trasformare l'acqua dell'analisi politologica nel vino della realtà politica. I fatti dicono tutt'altro: dicono che il premier continua a lavorare alacremente per portare a realizzazione il programma di governo presentato agli elettori e per fronteggiare le emergenze che l'esecutivo si è trovato dinanzi nell'ultimo anno - crisi economica e ricostruzione in Abruzzo su tutte. I risultati positivi di tale azione sono sotto gli occhi di tutti: basti ad esempio pensare che oggi, a soli cinque mesi dal sisma che ha colpito l'Aquila e i borghi limitrofi, il presidente del Consiglio consegnerà le prime nuove case ai terremotati.


Secondo: affermare, come ha fatto Pier Ferdinando Casini domenica a Chianciano, che «ci vogliono dieci minuti per mettere in piedi una maggioranza senza la Lega», significa non rendersi conto di quanto le cose, nel sistema politico italiano, siano cambiate rispetto ai tempi della prima Repubblica, quando la guida dell'esecutivo non era decisa dagli elettori, ma era affidata alle mediazioni tra partiti, i quali chiedevano il voto ai cittadini per poi poterne disporre a proprio uso e consumo nel chiuso delle stanze del potere, facendo e disfacendo a proprio piacimento governi (spesso balneari) e maggioranze (il più delle volte variabili). Il 13 e 14 aprile 2008 gli elettori si sono trovati sulla scheda un'alleanza che comprendeva due partiti, il Popolo della Libertà e la Lega Nord, che si presentavano insieme per ottenere la fiducia necessaria per attuare un programma comune. Perciò non sono immaginabili, nell'attuale legislatura, né un governo né una maggioranza diversi da quelli attuali: ciò rappresenterebbe un chiaro tradimento della volontà popolare e un regresso verso quella «Repubblica dei partiti» che ha lasciato il passo, con l'ingresso sulla scena politica di Silvio Berlusconi, alla «Repubblica dei cittadini», le cui fondamenta sono il rispetto del voto espresso dagli elettori e del programma di governo ad essi proposto.


Oggi la realtà, che lo si voglia o no, è che esistono sia un governo autorevolmente ed efficacemente guidato dal suo capo, sia una maggioranza parlamentare solida e affiatata: entrambi hanno dimostrato, in questi sedici mesi, di bene operare, lasciando poco spazio al chiacchiericcio inconcludente, tanto caro ai retroscenisti, e concentrandosi invece sui veri problemi del paese. Se riaffiorano ora strampalate ipotesi di grandi centri, governissimi trasversali, esecutivi istituzionali e chi più ne ha ne metta, non è certo perché sia alle porte una crisi dell'asse politico uscito vincitore nel 2008, ma semmai perché tale asse continua il suo cammino e non dà segni di cedimento nonostante gli attacchi quotidiani al suo leader e al suo fedele alleato e nonostante le campagne mediatico-giudiziarie orchestrate ad arte, segno della mai sopita tentazione di imporre all'Italia il giogo di un governo non scelto dagli elettori e di una maggioranza studiata a tavolino dai poteri forti, da qualche gruppo editoriale, da settori politicizzati della magistratura.


Gianteo Bordero

giovedì 10 settembre 2009

LA LEGGE SUL FINE VITA RAFFORZERÀ I RAPPORTI TRA GOVERNO E CHIESA

da Ragionpolitica.it del 9 settembre 2009

Lunedì 7 settembre sono giunte, nel giro di poche ore, due autorevoli conferme riguardo all'ottimo stato delle relazioni tra governo italiano e Chiesa cattolica, che molti commentatori avevano presentato come irrimediabilmente compromesso dopo il «caso Boffo». Dapprima è stato il presidente del Consiglio, nel corso della trasmissione Mattino 5, a ribadire che «i rapporti del governo e miei personali con chi guida con prestigio e con autorevolezza la Chiesa cattolica sono eccellenti, da sempre. Sono stati alimentati da un dialogo continuo e tali continueranno ad essere». Poi è stata la volta del direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, il quale, in un editoriale dedicato alla visita del Papa a Viterbo, descrivendo il clima «cordiale» in cui le autorità civili (tra cui il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta) hanno accolto Benedetto XVI, ha parlato di «un quadro di evidente serenità istituzionale». Dunque, tutti coloro che, sia sul fronte mediatico che su quello politico, hanno tentato di strumentalizzare la vicenda delle dimissioni di Dino Boffo dalla direzione di Avvenire per propagandare una crisi dei rapporti tra l'esecutivo e la Chiesa devono riporre nel cassetto le loro speranze.


Del resto, come abbiamo già sottolineato su queste pagine, è interesse comune del governo e dei vertici ecclesiali mantenere un sereno clima di dialogo e collaborazione, nel rispetto delle reciproche competenze e sfere d'azione. Per l'esecutivo non si tratta soltanto di una questione «elettorale», riguardante la tenuta di quel «voto cattolico» che alle ultime elezioni si è diretto principalmente proprio verso il centrodestra, ma anche culturale, visto che l'attenzione ai temi bioetici, la difesa del ruolo sociale ed educativo della famiglia, la valorizzazione delle radici cristiane dell'Italia appartengono al DNA delle forze che compongono l'attuale maggioranza, Popolo della Libertà in primis. Per ciò che concerne invece l'altra sponda del Tevere, dopo i due anni difficili e tormentati del governo Prodi, che con le sue iniziative in materia di coppie di fatto, con le dichiarazioni di suoi ministri a favore di una rottura del Concordato, con lo spirito anti-cattolico di molti partiti dell'Unione aveva fatto incrinare le buone relazioni tra Stato e Chiesa, è chiaro che si guardi con maggiore fiducia e stima alla compagine berlusconiana, che già in passato ha dimostrato in modo tangibile (si vedano, ad esempio, la legge sulla procreazione assistita e il «no» al divorzio breve sul modello francese) di volersi impegnare nella difesa dei valori che stanno alla radice dell'identità italiana e che sono ormai patrimonio comune di laici e credenti.


Questo impegno del governo, più recentemente, si è manifestato con chiarezza in occasione della vicenda di Eluana Englaro. Dopo aver tentato fino all'ultimo di salvare la vita della donna attraverso gli strumenti a sua disposizione, l'esecutivo ha lasciato alla maggioranza parlamentare la definizione di una legge sul fine vita che contenesse il principio-cardine enunciato con queste parole dal presidente del Consiglio il 6 febbraio 2009, durante la conferenza stampa di presentazione del decreto legge «salva-Eluana» poi rigettato dal presidente della Repubblica: «Tutti i cittadini italiani avranno la certezza, qualora cadessero in condizioni di vita vegetativa, di non essere privati della fornitura non di cure, ma degli elementi base della vita, che sono l'acqua e il cibo». Parole in linea con il testo del decreto: «L'alimentazione e l'idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi». La legge sul fine vita è stata approvata al Senato il 26 marzo 2009 e sarà a breve esaminata dalla Camera. Il testo prevede, come punto centrale, che nella dichiarazione anticipata di trattamento - quello che impropriamente viene chiamato «testamento biologico» - possa essere «esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato, o sperimentale», ma non possano invece essere inserite indicazioni relative alla possibilità di sospendere l'alimentazione e l'idratazione. Come si vede, si tratta di un testo pienamente coerente con quanto annunciato dal capo del governo e dai partiti di maggioranza nei drammatici ultimi giorni di vita di Eluana.


Non c'è da stupirsi, dunque, che il presidente del Consiglio abbia dichiarato, sempre nel corso dell'intervista a Mattino 5, che questa legge sarà uno dei punti attraverso i quali «consolideremo il rapporto con la Chiesa». Tutto ciò avverrà perché la normativa votata a Palazzo Madama, più che rispondere a una logica confessionalistica, ha fatto salvi due principi di civiltà nei quali si possono riconoscere sia i laici che i credenti, e dunque anche la Chiesa: la sacralità della vita umana e la dignità della persona. Dopo quella sulla fecondazione assistita, anche sul fine vita il centrodestra si appresta a votare un'altra buona legge, nata da un compromesso ragionevole e non al ribasso. Avanti così.


Gianteo Bordero

domenica 6 settembre 2009

CASO BOFFO E DINTORNI. ECCO QUAL È LA VERA POSTA IN GIOCO

da Ragionpolitica.it del 5 settembre 2009

Molti commentatori hanno scritto in questi giorni che «il caso Boffo ha riportato al centro dell'attenzione il tema dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica». Vero. Ed è ancor più vero se si inverte l'ordine dei due soggetti chiamati in causa. Per cui la frase andrebbe riformulata in tal modo: «Il caso Boffo ha riportato al centro dell'attenzione il tema dei rapporti tra Chiesa cattolica e Stato italiano». Ossia: il punto nevralgico della questione non è solo quello della qualità delle relazioni tra Repubblica italiana e Santa Sede, ma anche e soprattutto quello della posizione con cui la Chiesa si pone di fronte alla realtà politica del nostro paese e si rapporta con l'attuale maggioranza e l'attuale governo.


E' su questo punto che occorre focalizzare l'attenzione. Partendo da un'autorevole presa di posizione come quella del direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, il quale, intervistato il 31 agosto da Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, ha criticato l'Avvenire per essersi troppo esposto, nelle ultime settimane, nella battaglia politica italiana, e per aver assunto posizioni che hanno creato un certo imbarazzo Oltretevere. Non si è trattato soltanto dei giudizi espressi sulle vicende riguardanti la vita privata del presidente del Consiglio (Vian ha rivendicato con orgoglio la bontà della scelta dell'Osservatore, che, al contrario del quotidiano della CEI, non ha scritto «nemmeno una riga» in merito a tali vicende), ma anche di prese di posizione come quelle sull'immigrazione, culminate con l'editoriale del 21 agosto di Marina Corradi sulla tragedia degli eritrei morti in mare. Si è chiesto Vian: «Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito una editorialista del quotidiano cattolico? Anche nel mondo ebraico, ferma restando la doverosa solidarietà di fronte a questa tragedia, sono state sollevate riserve su questa utilizzazione di fatto irrispettosa della Shoah. E come dare torto al ministro degli Esteri italiano quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccorso più immigrati, mentre altri - penso per esempio a quello spagnolo - proprio sugli immigrati usano di norma una mano molto più dura?». Insomma, l'errore di Avvenire è stato quello di abbandonare una linea di prudenza ed equilibrio in materie che invece l'avrebbero richiesta, e di dare l'impressione di aver sposato la crociata di alcuni giornali italiani contro il premier e il governo. Mentre la verità - ha spiegato ancora Vian - è che «i rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti».


E che rimangano tali è interesse non soltanto del governo italiano, ma anche della stessa Chiesa cattolica, come ha ben spiegato con il suo solito stile pungente, sempre sul Corriere della Sera, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Alla domanda di Cazzullo sui rapporti tra Stato e Chiesa, il Picconatore ha risposto affermando che «l'Italia è uno Stato concordatario. E non c'è nessun motivo di bisticciare con uno Stato concordatario. Il Vaticano - ha proseguito - si occupa del mondo, e fronteggia una situazione drammatica. Benedetto XVI e Bertone si occupano di Obama, che nonostante le promesse si circonda di cattolici pro choice, cioè abortisti. Dell'America Latina, su cui si allunga l'ombra rossa di Chavez. Dell'Europa, dove persino i cattolici belgi si ribellano al Papa sul "no" ai preservativi. Del Ppe, che è in mano alla Merkel, protestante che si è sposata solo per obbedire a Kohl, ai popolari spagnoli, che introdussero i diritti per le coppie di fatto prima ancora dei socialisti, e a Sarkozy e Carla Bruni...». Conclusione: «L'unico che non dà problemi al Vaticano, anzi lo asseconda, è Berlusconi».


Per questo non è piaciuta Oltretevere la linea editoriale che in questi ultimi mesi è stata fatta propria dall'Avvenire, una linea che è apparsa appiattita sulla campagna anti-governativa proprio nel momento in cui sono in gioco alcuni importanti dossier che stanno particolarmente a cuore ai vertici ecclesiali: la legge sul fine vita, le agevolazioni per le famiglie, i finanziamenti alle scuole cattoliche, per non parlare della questione RU486 e di quella dello status degli insegnanti di religione dopo la recente sentenza del TAR del Lazio. Il quotidiano della CEI ha quindi scelto il momento meno opportuno per prendere posizioni così nette contro un governo che il Vaticano reputa «amico» e con il quale ha un rapporto di leale collaborazione e confronto.


Del resto, non è una novità il fatto che destino più di una preoccupazione, nel Palazzo Apostolico, le continue esternazioni anti-esecutivo da parte di singoli rappresentanti dell'episcopato italiano, che finiscono per essere presentate come la posizione ufficiale della Chiesa sulle materie che di volta in volta investono il dibattito pubblico. Il problema è che attualmente manca, all'interno della Conferenza Episcopale, un indirizzo unitario, e le parole pronunciate in modo ragionato ed autorevole dal cardinale Bagnasco in occasione delle Assemblee ufficiali della CEI, che dovrebbero essere fatte proprie, come punto di sintesi, da tutti i vescovi, finiscono purtroppo, non di rado, per essere sovrastate, dal punto di vista mediatico, dalle dichiarazioni ad effetto di questo o quel presule. Finita la lunga presidenza del cardinal Camillo Ruini, che con la sua abilità politica e il suo carisma era riuscito a comporre e superare le divisioni presenti nell'episcopato, facendo della CEI un soggetto attivo politicamente sui temi cari alla Chiesa ma mai schierato in modo dogmatico con un partito o con l'altro, oggi la situazione appare più magmatica e difficile da gestire. E non è un caso se, sin dal giorno dell'insediamento del cardinal Bagnasco alla presidenza della Conferenza Episcopale, il segretario di Stato di Benedetto XVI, cardinal Tarcisio Bertone, abbia manifestato al successore di Ruini l'intenzione della Santa Sede di voler assumere su di sé la guida dei rapporti con lo Stato italiano: «Per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche - scriveva il 25 marzo 2007 Bertone nella lettera di saluto al nuovo presidente della CEI - assicuro fin d'ora a Vostra Eccellenza la cordiale collaborazione e la rispettosa guida della Santa Sede, nonché mia personale».


Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni e delle dimissioni di Dino Boffo, è probabile che la Segreteria di Stato scelga di entrare in maniera decisa nella partita della nomina del nuovo direttore di Avvenire, per sistemare un altro tassello della strategia delineata dalle parole di Bertone a Bagnasco, secondo la quale i rapporti con lo Stato italiano devono essere gestiti in primis dalla Santa Sede e la CEI è tenuta almeno a non fare il controcanto alla linea vaticana. La critica all'eccessivo peso e potere dato alle Conferenze Episcopali nel post-Concilio, del resto, è da tempo uno dei «cavalli di battaglia» dell'attuale pontefice: ancora cardinale, Ratzinger ha più volte parlato in modo chiaro della necessità di ridimensionare tali organismi, che rischiano di appesantire burocraticamente la vita ecclesiale e di lasciar passare l'idea che le Conferenze abbiano in ogni singola nazione un'autorità dottrinale e canonica che spetta invece solo al Papa. Nessuno stupore, dunque, se nel futuro prossimo assisteremo a decisioni e provvedimenti che vanno in questa direzione.


Gianteo Bordero