da Ragionpolitica.it del 19 settembre 2009
Finché si continuerà a ridurre la questione della presenza dei nostri soldati in Afghanistan a un mero problema di strategia (sia militare che politica), il livello del dibattito su un tema così drammatico e spinoso rimarrà giocoforza basso. E monco. E nessuno, alla fine, capirà perché i nostri uomini continuino a rimanere in una terra lontana e irta di pericoli, mettendo a rischio ogni giorno l'incolumità e la vita. Se c'è una cosa che si può dire dopo la tragedia di Kabul è che, di fronte alla morte, alla violenza e al terrore, di fronte all'esistenza spezzata dei nostri militari, le discettazioni strategiche non bastano. Perché non si dà la vita per una strategia. E i soldati italiani morti a Kabul, come emerge dal racconto commosso dei loro cari e dei loro famigliari, non erano in Afghanistan per amor di strategia. Ma per amor di patria. Hanno dato la vita per la patria. La nostra e quella di un popolo che faticosamente cerca la piena, vera libertà.
Gli analisti, gli esperti e i professori di geopolitica ci hanno spiegato ieri, e ci spiegheranno nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, ogni aspetto tecnico, tattico e strategico della questione afghana, metteranno sul bilancino i pro e i contro della prosecuzione della nostra missione. Disegneranno scenari, indicheranno possibilità, consiglieranno mosse e contromosse. Ma al popolo italiano, alle mogli, ai figli, ai padri e alle madri, ai parenti delle vittime in primis, ciò che innanzitutto interessa è scoprire il senso più profondo, le ragioni più grandi che giustifichino - nella misura in cui ciò è possibile - il sacrificio della vita nel fiore dell'età, in un paese straniero, in una guerra contro un nemico invisibile. Se esiste, questo senso, se esistono, queste ragioni, che esse vengano dette, ricordate, proclamate dinnanzi all'intera nazione, che ha sete di ascoltare una parola che riporti al centro della scena ciò che veramente conta: il significato di una morte come quella di Roberto, Andrea, Davide, Matteo, Gian Domenico e Massimiliano.
Eroi, si è detto. Ma eroi innanzitutto nella vita, prima ancora che nella morte. Eroi nella normalità e nella generosità del servizio alla loro patria. Eroi e patria, dunque. Ritornano le parole dell'epopea italiana. Le parole del Piave, delle trincee, delle pietraie del Carso, le parole che una dozzinale ideologia internazionalista, pseudo-pacifista e antinazionale ha cancellato per decenni dal vocabolario della nostra storia, della nostra comune coscienza di italiani. Ma che sono scritte, e oggi lo vediamo, nel nostro DNA di popolo, e non possiamo scrollarcele di dosso come se niente fosse, salvo perdere un pezzo di noi stessi, della nostra identità, del nostro essere nazione. Non si tratta di esaltare la guerra, di addolcirne la brutalità, ma di riscoprire che l'uomo non è un mucchio d'ossa senza significato e senza scopo, non è un ammasso di cellule destinate al degrado e alla decomposizione, non è un meccanismo cerebrale finalizzato al calcolo e alla misura del tangibile, ma è capace dell'Ideale, è capace di porre al di sopra della sua stessa esistenza un principio più grande al quale offrire il proprio tempo, il proprio cuore, la propria vita. Ideale - si badi - e non ideologia: tra l'Ideale e l'ideologia c'è la stessa differenza che intercorre tra amore e odio. Sono due principi opposti, perché l'Ideale è qualche cosa che non si sceglie a priori, ma che fa parte delle corde più profonde del nostro essere, e viene a galla come in un'alba di verità e di scoperta di sé, mentre l'ideologia è l'applicazione di uno schema mentale alla realtà, che alla realtà finisce per fare violenza.
E allora, se c'è un motivo valido, in fondo l'unico, per onorare i nostri caduti e per rimanere in Afghanistan, è proprio questo: l'Ideale, la patria, la nazione, l'amore per la propria terra e per i valori che il popolo a cui si appartiene ha trasmesso, e l'impegno per affermare questo ideale, questo amore e questi valori in un paese per troppo tempo schiacciato dalla violenza, dall'oppressione e dal fanatismo. Solo chi è libero può portare la libertà. Questo ci dice la tragedia di Kabul. Questa è la ragione per restarci.
Gianteo Bordero
sabato 19 settembre 2009
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