giovedì 30 luglio 2009

IL BOOMERANG DEL GIUSTIZIALISMO

da Ragionpolitica.it del 30 luglio 2009

«I carabinieri si sono presentati giovedì mattina in cinque sedi di partiti del centrosinistra (Pd, Socialisti, Sinistra e Libertà, Prc e Lista Emiliano) a Bari. I militari hanno acquisito i bilanci dei partiti della Regione Puglia nell'ambito dell'indagine del pm Desirè Digeronimo sul presunto intreccio tra mafia, politica e affari nella gestione degli appalti pubblici nel settore sanitario. Indagate 15 persone tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore del Pd» (Corriere della Sera, edizione on line del 30 luglio 2009). Se non fossimo garantisti e se usassimo lo stesso metro di giudizio che usa la sinistra italiana, dalle notizie provenienti in questi giorni da Bari dovremmo dedurne che praticamente tutta la gauche pugliese è una collaudata e ben oliata associazione a delinquere. Ma siccome siamo fieramente e fermamente garantisti, prima di emettere un giudizio attendiamo con pazienza la conclusione processuale della vicenda, come dovrebbe accadere in ogni paese civile e in ogni democrazia compiuta.

Sarebbe facile - e la sinistra ben lo sa - partire lancia in resta e affibbiare patenti di disonestà, corruzione e immoralità a questo o a quel politico. Sarebbe facile mettere sul banco degli imputati i partiti oggetto di indagine. Sarebbe facile soffiare sul fuoco del sempre vivo giustizialismo forcaiolo. Ma siccome, a differenza di tanti esponenti della sinistra, cerchiamo di fare il più possibile uso della memoria e siamo consapevoli di come, in passato, siano bastati un avviso di garanzia, una notizia di processo a carico, un'anticipazione di stampa sulle azioni dei magistrati per gettare nel totale discredito protagonisti più o meno in vista della politica italiana poi usciti prosciolti, preferiamo usare la cautela e la prudenza di fronte alle notizie pugliesi. E' un atteggiamento responsabile - questo - che dovrebbe servire da esempio a chi, per tanti anni, ha cercato di lucrare politicamente sulle disgrazie giudiziarie dei dirigenti dei partiti avversi alla sinistra, marchiando d'infamia chiunque fosse oggetto di indagini, di inchieste, di iniziative giudiziarie.

Mentre noi non abbiamo alcun problema a tenere dritta la barra del nostro garantismo liberale, chi dovrebbe mettere in discussione il suo passato più o meno recente sono tutti coloro che si sono serviti del più becero e infame giustizialismo per collaborare a distruggere la classe dirigente della prima Repubblica all'inizio degli anni Novanta e per tentare di abbattere Silvio Berlusconi dopo il suo ingresso in politica, nel 1994. Tutti costoro dovrebbero essere coscienti di aver contribuito a diffondere nel paese un pestilenziale qualunquismo antipolitico e un deleterio moralismo d'accatto, al quale si è accompagnata una inquietante ideologia anti-democratica e potenzialmente eversiva, secondo la quale la magistratura è per ciò stesso la detentrice unica della pubblica moralità, e deve perciò svolgere la sua azione alla stregua della nuova ghigliottina del XXI secolo, che taglia la testa (nella forma meno cruenta ma più crudele del pubblico sputtanamento) al notabile di turno. La sinistra italiana, che per decenni è stata la detentrice unica e pressoché incontrastata del linguaggio (e forse anche del pensiero) politico, dovrebbe sapere che gli errori politici, se non riconosciuti, analizzati, rielaborati per tempo, possono diventare macigni che, giorno dopo giorno, ingrossano, fino a diventare causa di morte per soffocamento.

La sinistra oggi tace, ed è costretta a subire l'onta dell'inchiesta barese senza più possedere un linguaggio e gli anticorpi necessari per difendersi. Perché quel linguaggio e quegli anticorpi li ha persi ormai sedici anni fa, quando un ignoto magistrato di nome Antonio Di Pietro iniziava a far crollare uno dopo l'altro i partiti democratici della prima Repubblica e la gauche nostrana preferì cavalcare l'onda in vista della presa del potere, senza comprendere che quell'onda avrebbe, prima o poi, potuto travolgere anche lei. Oggi i nodi vengono al pettine.

Gianteo Bordero

PERPLESSITÀ E DELUSIONE PER IL PASSAGGIO DELL'ONOREVOLE MONDELLO DAL PDL ALL'UDC

COMUNICATO STAMPA DEL 30 LUGLIO 2009

Apprendo con sorpresa e delusione la notizia del passaggio dell’onorevole Gabriella Mondello dal Popolo della Libertà all’Unione di Centro. Una decisione che lascia perplesso chi, come me, ha aderito con entusiasmo al progetto politico di Silvio Berlusconi in Forza Italia prima e ora nel Popolo della Libertà, e che oggi vede il deputato del suo collegio (finché i collegi sono esistiti) abbandonare il partito nelle cui fila era stato eletto.

Pur rimanendo ferma l’assenza di vincolo di mandato, ossia la libertà di un parlamentare di iscriversi al gruppo ritenuto più confacente alle sue idee politiche, fa comunque specie la scelta di non proseguire il cammino nel partito grazie al quale si è divenuti rappresentanti degli italiani.

Penso che la mia delusione sarà condivisa, a Sestri Levante, da tutti coloro che hanno conosciuto la Gabriella Mondello fiera militante di Forza Italia e convinta sostenitrice di Silvio Berlusconi; da tutti coloro che hanno visto e vedono nella nascita del Popolo della Libertà non soltanto un passo in avanti nella direzione di un moderno bipolarismo di stampo europeo, ma anche la creazione di una vera casa dei moderati, la casa comune di chi si riconosce nei valori dei grandi partiti popolari che hanno fatto la storia dell’Italia e dell’Europa.

Gianteo Bordero
(Capogruppo del "Popolo della Libertà" nel Consiglio Comunale di Sestri Levante)

martedì 28 luglio 2009

L'IDENTITÀ DELLA NAZIONE

da Ragionpolitica.it del 28 luglio 2009

Festeggiare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia non vuol dire soltanto organizzare eventi, mostre, convegni, ma significa anche e soprattutto rimettere al centro dell'attenzione la questione dell'identità nazionale, dell'essere patria, dell'appartenere ad una storia comune. Ridurre tutto il dibattito al problema del calendario delle iniziative e ai relativi finanziamenti significa restringere l'orizzonte al «fare» dimenticandosi dell'«essere», perdendo di vista, in ultima analisi, l'oggetto stesso delle celebrazioni. E' questo il senso dell'intervento (Il Giornale, 26 luglio) con cui il ministro dei Beni Culturali e coordinatore del Popolo della Libertà, Sandro Bondi, ha voluto prendere posizione nel dibattito innescato dall'articolo di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera il 20 luglio e intitolato «Noi italiani senza memoria», di cui ha già trattato su queste pagine Raffaele Iannuzzi, il 23 luglio.

Ciò che è prevalso in questo dibattito, accanto ad alcune analisi superficiali e ad altre improntate alla riproposizione di luoghi comuni sulle presunte colpe del «leghismo» nel processo di disgregazione della patria, è stato un pessimismo diffuso circa lo stato di salute del sentimento nazionale degli italiani, dediti - a detta dei più - a coltivare il proprio «orticello» senza curarsi dell'insieme, lasciando campo libero alle tendenze particolaristiche ed egoistiche. Un'analisi che, se da un lato contiene elementi di verità, dall'altro lato rischia - come si suol dire - di gettare via il bambino con l'acqua sporca, non cogliendo gli elementi che ancora oggi consentono di pronunciare la parola «Italia» non come un mero flatus vocis, ma come espressione di una realtà comune e condivisa.

Perciò il ministro Bondi ha sottolineato, nel suo intervento, che se per un verso occorre essere consapevoli «dei nodi insoluti che restano nella storia italiana dalla sua fondazione, tanto che l'identità degli italiani si fortifica per contrasti», per l'altro verso è necessario riconoscere che «nonostante i lai degli intellettuali, l'Italia comunque esiste... Esiste perché trova radici in ambiti prepolitici, come la lingua e il patrimonio culturale e spirituale che abbiamo alle spalle». Insomma, «questa identità è complessa e spesso si fonda per antinomie, ma non per questo è meno solida e non a caso permette da 150 anni che il patto sociale tra italiani ricchi e poveri, del nord e del sud, giovani e vecchi, colti e incolti, resista». Al di là di ogni pessimismo e di ogni disfattismo di maniera sui difetti degli italiani e sulle contraddizioni della loro storia, tutti sono chiamati a prendere atto che persiste, seppur spesso in maniera inconsapevole e non tematizzata, un sentimento d'appartenenza nazionale, l'orgoglio di fare parte di una storia che viene da lontano, la certezza della bontà dei valori che questa storia ci ha trasmesso. Lo abbiamo visto di recente, secondo Bondi, nel dopo-terremoto in Abruzzo, quando sono venuti e galla «segni concreti di un'appartenenza comunitaria a un determinato luogo», con una «solidarietà che spiega e rinnova più di qualunque dichiarazione il sentimento di unità nazionale».

Del resto, se oggi questo sentimento risulta talvolta affievolito, se la parola «patria» viene ritenuta da molti ormai inservibile, è perché negli ultimi decenni la storiografia di sinistra e non solo, in modo del tutto funzionale al mantenimento dell'assetto politico che aveva preso forma in Italia dopo la guerra civile e dopo la Liberazione (con la reciproca legittimazione di democristiani e comunisti imposta da Yalta), ha diffuso la vulgata secondo la quale parlare di nazione e di patria significava perpetrare i fantasmi del Ventennio fascista, e quindi significava minare nelle fondamenta i presupposti dell'arco costituzionale su cui si reggeva il sistema politico post-bellico. Come ha osservato Gianni Baget Bozzo su queste pagine nel gennaio 2007, è stato per merito della «discesa in campo» di Silvio Berlusconi e grazie alla sua decisione di chiamare il nuovo partito «Forza Italia» se il sentimento dell'identità nazionale ha potuto riemergere a un livello politico dopo lunghi anni nei quali esso era stato confinato a un livello privato, da tenere ben nascosto tra le quattro mura di casa: «Quando, nell'82, l'Italia vinse i Mondiali di Spagna, il tricolore si levò spontaneo in molte case e apparve da molti balconi, segno che qualcosa era rimasto di un sentimento che non si riduceva all'ideologia e ai partiti, ma che aveva carne e sangue. Proprio questo fatto indica come il sentimento della propria identità nazionale fosse così delegittimato in Italia da nascondersi dietro il pallone» (detto per inciso, queste parole mostrano chiaramente l'errore di coloro che imputano al Popolo della Libertà una scarsa attenzione al tema dell'identità nazionale).

Per tutti questi motivi il primo compito che spetta agli storici, agli intellettuali, ai politologi in questo frangente, in vista del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, dovrebbe essere, secondo il ministro Bondi, quello di «individuare i simboli» dell'identità nazionale, al fine di giungere ad una «memoria condivisa». E' una sfida che va raccolta fino in fondo, mettendo da parte l'idea che bastino i convegni e una pioggia di fondi pubblici a onorare nel migliore dei modi la nostra amata patria.

Gianteo Bordero

sabato 25 luglio 2009

LA CRISI DELLA SINISTRA VISTA DA DE GIOVANNI

da Ragionpolitica.it del 25 luglio 2009

Intervistato giovedì da Il Giornale, il filosofo della politica Biagio De Giovanni, già deputato europeo del PCI e poi del PDS, fissa quattro punti fermi per l'analisi dello stato della sinistra nel nostro paese.

Primo punto: «La sinistra italiana si ostina a non interpretare Berlusconi come un fenomeno politico reale e per questo spera di poterlo battere con strumenti e mezzi che non sono politici (il riferimento è alla recente campagna di stampa, capitanata da La Repubblica, riguardante la vita privata del presidente del Consiglio, ndr). E' un errore che aggraverà la sconfitta che è già avvenuta». Insomma, passano gli anni ma la sinistra non riesce a liberarsi da quella sindrome antiberlusconiana che le ha impedito e tuttora le impedisce di comprendere le ragioni dei ripetuti successi del Cavaliere. Ragioni che, secondo De Giovanni, sono eminentemente politiche, fondate sulla capacità del leader del centrodestra di interpretare le esigenze e i bisogni del popolo italiano per poi trarre da essi una proposta di governo credibile.

Da qui discende il secondo punto: quell'ampia fetta della sinistra che si riconosce nel giornale-partito La Repubblica, e che a partire dagli anni Novanta ha affidato la definizione di sé a Eugenio Scalfari, è una sinistra «pseudo-moralista, da salotto, senza un progetto per l'Italia... Una sinistra che ormai è senza popolo». Avendo seguito Scalfari nella sua interpretazione del fenomeno Berlusconi come simbolo antipolitico del presunto degrado civile e morale dell'Italia, come concentrato di tutti i vizi e di tutte le contraddizioni degli italiani, la sinistra si è arroccata in una lettura elitaria, settaria, intellettualoide e radical-chic del paese, finendo col perdere il contatto con la realtà e coi mutamenti che avvenivano anno dopo anno nella società. Insomma, oggi la sinistra «è senza popolo, mentre la destra oggi ha questa dimensione». La conferma di ciò sta, ad esempio, nelle accuse di «populismo» che diversi rappresentanti della sinistra muovono a Berlusconi in maniera ossessiva e senza soluzione di continuità da quindici anni a questa parte. Commenta De Giovanni: «Obama non è forse un populista, cioè un politico che si mette direttamente in contatto con il popolo?». Più chiaro di così...

Terzo punto: pur chiamandosi fuori dalla contesa e dal dibattito interno al Partito Democratico in vista del Congresso di ottobre, De Giovanni sottolinea che, se fosse costretto a scegliere, «sarebbe meglio Dario Franceschini di Pierluigi Bersani, perché si colloca nella scia di una visione del partito che tende ad avere in se stesso la maggioranza politica». Tradotto dal linguaggio politologico: se la spuntasse Bersani, si tornerebbe indietro, alle coalizioni extra-large che comprendono tutto e il suo contrario pur di sconfiggere il nemico, senza però possedere quella coesione interna in grado di reggere la sfida del governo; se vincesse Franceschini, invece, rimarrebbe comunque intatto il principio secondo cui può esistere, nel nostro paese, un partito di sinistra capace di elaborare al proprio interno un progetto politico di governo potenzialmente in grado di competere con quello presentato dalla destra. E' chiaro che al popolo della sinistra non servono più Unioni in stile prodiano, ma un partito all'altezza delle aspettative e delle domande poste dai cittadini.

Quarto e ultimo punto sottolineato da De Giovanni: per rilanciare la sfida della sinistra in Italia di tutto c'è bisogno fuorché di Antonio Di Pietro. Anzi, l'ex pm «è quanto di più negativo sia emerso nella vicenda politica italiana». Qui troviamo una conferma a quanto scritto giovedì su queste stesse pagine: il leader dell'Italia dei Valori rappresenta la negazione di ogni progettualità politica degna di tal nome, essendone piuttosto il «distruttore» sin dai tempi di Mani Pulite. Quindi, meglio per la sinistra starne alla larga e pensare piuttosto a ritrovare se stessa dopo i tanti errori commessi negli ultimi tre lustri.

Gianteo Bordero

giovedì 23 luglio 2009

IL DISTRUTTORE

da Ragionpolitica.it del 23 luglio 2009

Fino a poco tempo fa, nel vocabolario politologico italiano la definizione di «forza anti-sistema» era appannaggio pressoché esclusivo della Lega Nord. Negli anni ruggenti del secessionismo, del padanismo esasperato, della «Roma ladrona», vi era qualche motivo oggettivamente fondato per catalogare in questo modo il partito di Bossi. Oggi le cose sono profondamente mutate, e il Carroccio, passo dopo passo, si è «istituzionalizzato», divenendo, da semplice forza di lotta, di piazza e di protesta, anche una responsabile forza di governo: negli Enti locali, nei Comuni, nelle Province, su su fino al potere centrale romano. Pur non perdendo l'originaria spinta «rivoluzionaria», e senza rinunciare ai suoi cavalli di battaglia, la Lega ha saputo, grazie all'abilità politica e strategica del suo leader da un lato, e all'intelligenza lungimirante di Silvio Berlusconi dall'altro, inserirsi da protagonista nella vita istituzionale del paese, assumendo una dimensione nazionale e non più soltanto «padana». Prova ne è stata, da ultimo, la scelta di presentare, alle recenti elezioni europee ed amministrative, liste che andassero oltre i semplici confini del Settentrione. E i risultati non possono certo essere definiti deludenti. Quindi, parlare oggi - come molti osservatori ancora si ostinano a fare - del Carroccio come di un «partito anti-sistema» significa continuare a non comprendere la realtà, utilizzando schemi ormai vetusti a soli fini propagandistici. Del resto, che la Lega sarebbe potuta diventare un perno del sistema politico e istituzionale non lo aveva compreso soltanto Silvio Berlusconi, ma anche, nell'opposto schieramento politico, Massimo D'Alema, che provò in più occasioni a corteggiare Bossi, contribuendo di fatto a quello «sdoganamento» che ora è realtà compiuta.

Se oggi, dunque, si vuole rintracciare nel panorama italiano dei partiti una forza antisistema, bisogna volgere lo sguardo altrove. Perché esiste un movimento che a tutti gli effetti rappresenta una rivolta generale contro le istituzioni, una protesta radicale contro la configurazione dei poteri politici prevista dalla Costituzione, una critica sostanziale alla democrazia rappresentativa su cui si regge la Repubblica italiana. Questo movimento, pur essendo presente in parlamento e pur avendo negli anni scorsi fatto parte di un governo di centrosinistra, incarna, allo stato attuale delle cose, il sentimento - sempre vivo in fasce della popolazione italiana, e oggi assai in voga - dell'inutilità delle procedure su cui si regge la vita delle istituzioni; dell'insensatezza delle garanzie previste dalla Carta costituzionale a difesa dei rappresentanti del popolo; della vacuità delle «liturgie» attraverso le quali si raggiunge un accordo tra partiti per la definizione delle leggi e dei provvedimenti governativi. Il tutto nel nome di una «democrazia diretta» in cui il processo decisionale è affidato senza filtri alla «rete» dei cittadini collegati tra loro da internet, dai blog, dai meet-up.

Questo è, in soldoni, il sostrato ideologico che sta alla base dell'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e del movimento anti-politico, guidato da Beppe Grillo, di cui l'ex pubblico ministero rilancia le parole d'ordine, gli appelli, le battaglie. Si tratta, in fondo, di un progetto assai più «anti-sistema» di quello portato avanti dalla Lega Nord nei suoi primi anni di attività, perché, se nel caso del Carroccio il problema era sostanzialmente quello di dare una degna rappresentanza a un Settentrione per troppo tempo dimenticato dal potere centrale a tutto vantaggio del Mezzogiorno, con l'Italia dei Valori ci troviamo di fronte una delegittimazione in piena regola della stessa organizzazione democratica dello Stato. Mentre la Lega delle origini era un partito ferocemente anti-statalista e anti-centralista, l'Idv appare a tutti gli effetti come un partito tout court anti-democratico, almeno secondo il senso che la parola «democrazia» ha assunto da tre secoli a questa parte.

Se questa lettura, come pensiamo, ha un qualche fondamento, allora è necessario riconsiderare sotto un'altra luce la storia politica italiana degli ultimi anni. A partire, certo, dal 1992-93, quando Di Pietro diviene il simbolo della cancellazione dei partiti democratici della prima Repubblica per via giudiziaria, con Mani Pulite, per finire con la caduta del governo Prodi e la successiva scelta di Walter Veltroni di far alleare il Partito Democratico con l'Italia dei Valori alle elezioni politiche del 2008. Per quanto riguarda la fine dell'esecutivo prodiano, diventa chiaro che il motivo ultimo della crisi non fu tanto la vicenda personale di Clemente Mastella, quanto l'incapacità, dovuta alla debolezza congenita nell'Unione, di reggere l'urto dell'ondata anti-politica, sposata da Di Pietro, che proprio nel 2007 ebbe il suo momento apicale. Infine, per quel che concerne la decisione di Veltroni di apparentare il Pd con l'Idv nel 2008, appare oggi evidente come quella scelta non soltanto ha segnato l'inizio della fine della segreteria veltroniana, ma anche e soprattutto ha impedito al nuovo soggetto di centrosinistra di elaborare una propria politica di opposizione diversa dall'antiberlusconismo fanatico e dal qualunquismo esasperato dell'ex pm. Al punto che ora il Pd annaspa su percentuali di consenso molto basse e si trova costretto, suo malgrado, a occupare gran parte del tempo cercando di non farsi fagocitare del tutto dall'Italia dei Valori. E la «questione Di Pietro», che lo si voglia o no, sarà uno dei più intricati nodi da sciogliere al congresso prossimo venturo.

Questa rapida disamina mostra che, da quando Di Pietro è sceso - più o meno direttamente - in politica, l'esito della sua azione è stato, a conti fatti, soltanto quello della distruzione dell'esistente, e mai la costruzione di qualche cosa di democraticamente più avanzato e maturo. Per questo oggi occorre che tutti, e in particolare chi non ha ancora compreso la vera natura del movimento dipietrista, trattino l'Idv - e ciò che le ruota attorno - per quello che è: un partito che rigetta le fondamenta comuni della democrazia italiana così come noi l'abbiamo conosciuta a partire dalla nascita della Repubblica. Il vero partito anti-sistema.

Gianteo Bordero

mercoledì 22 luglio 2009

L'ASSESSORE MONTI S'ARRAMPICA SUGLI SPECCHI

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

COMUNICATO STAMPA DEL 22 LUGLIO 2009

Durante l’ultimo Consiglio Comunale l’assessore all’Urbanistica Anna Monti, sulla mozione presentata dal nostro gruppo e riguardante Riva Trigoso e il Piano degli Arenili, si è esibita in uno spettacolare tentativo di arrampicamento sugli specchi pur di non riconoscere pubblicamente quanto rilevato con chiarezza dalla Regione Liguria, ossia che il Piano presentato dall’assessore va rivisto.

Prima Monti ha tirato le orecchie alla presidente del Consiglio Comunale, Gabriella Ferrando, perché - a suo dire - non avrebbe dovuto permettere che si discutesse la mozione, dichiarandola inammissibile. Poi se l’è presa con la Regione Liguria, che - sempre a suo dire - avrebbe giudicato il Piano attraverso funzionari “che non hanno adeguata cognizione”, e che, nella lettera inviata al Comune, avrebbero commesso “svarioni giuridici”.

L’assessore, dunque, ha provato a salire in cattedra e a fare la lezioncina sia alla presidente Ferrando sia alla Regione, che – giova ricordarlo, a scanso di equivoci – hanno entrambe la stessa colorazione politica della Monti. Per fortuna, alla fine è intervenuto il sindaco, che ha ribadito la disponibilità dell’Amministrazione a prendere in seria considerazione tutte le osservazioni al Piano degli Arenili, come chiedeva la nostra mozione.

All’assessore Monti ricordiamo, in conclusione, solo una riga della lettera inviata dalla Regione all’Ufficio Urbanistica del Comune: “E’ stata rilevata in via del tutto prioritaria la necessità di procedere ad una revisione della soluzione proposta”. Se le parole “prioritaria” e “revisione” hanno ancora un senso, ogni tentativo di arrampicamento sugli specchi è destinato a risolversi in un nulla di fatto.

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

domenica 19 luglio 2009

UNA SCELTA STRATEGICA

da Ragionpolitica.it del 18 luglio 2009

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, assieme ai ministri del Turismo (Michela Brambilla) e dell'Innovazione e Pubblica Amministrazione (Renato Brunetta) ha presentato mercoledì a Roma il portale ufficiale del turismo italiano, Italia.it. Un'iniziativa che il premier ha definito di «capitale importanza» per rilanciare il nostro sistema turistico e soprattutto per riuscire a far fruttare al meglio, anche in termini di ricadute sul Prodotto Interno Lordo, l'immenso patrimonio artistico, culturale, paesaggistico di cui il nostro paese gode.

La scelta del governo di riproporre un portale che era stato mal utilizzato dal precedente esecutivo di centrosinistra, peraltro dopo un ingente investimento di risorse pubbliche all'uopo dedicate, risponde però anche ad un'esigenza più specificamente politica, sentita come una necessità anche dagli stessi rappresentanti del settore. C'era bisogno, in sostanza, che il governo centrale ponesse un freno alla eccessiva frammentazione delle competenze in materia di turismo. Frammentazione che ha avuto luogo, nel nostro paese, in seguito alla sciagurata riforma del titolo V della Costituzione votata dal centrosinistra nel 2001. Essendo cioè entrato il turismo a far parte delle materie di esclusiva competenza regionale, alla fine è accaduto che si sono creati, in un unico Stato, ben 20 sistemi distinti e per certi versi distanti di promozione e valorizzazione turistica. Il risultato è stato che ogni Ente regionale si è interessato, come si suol dire, soltanto al proprio orticello, senza uno sguardo complessivo sull'Italia.

E' venuta meno, in sostanza, una politica turistica nazionale degna di tal nome, con conseguenze negative anche sul piano economico, che il presidente del Consiglio ha sottolineato nel corso della conferenza stampa di mercoledì. Attenuatasi ora la sbronza regionalista che per molti anni ha impedito al nostro paese di mettere in campo politiche organiche in materie strategiche per il futuro dell'Italia, è giunto il tempo di ragionare in termini di sistema-paese e non più di singolo sistema territoriale. Tutti sono chiamati a comprendere che se il turismo funziona in una Regione non è soltanto grazie ai meriti e alle iniziative più o meno originali di questo o quel «governatore», ma anche e soprattutto perché ad attrarre visitatori, alla fine, è sempre il «marchio» Italia in quanto tale e l'aggettivo «italiano» come sinonimo e garanzia di bellezza, qualità, gusto.

E' proprio per rispondere a questa necessità strategica che il governo Berlusconi ha deciso dapprima di creare un ministero ad hoc per il turismo, affidato a Michela Vittoria Brambilla, e ora di ridare nuova linfa al portale Italia.it, nel cui nome è già contenuto il programma: proporre un punto capace di dare unità e coerenza a ciò che, in questi ultimi anni, non di rado è stato pensato come avulso dal sistama-paese, come una monade autosufficiente. Ora, grazie alle iniziative del governo, si passa da una visone particolaristica ad una visione incentrata sull'interesse nazionale, in coerenza con quanto affermato dal Popolo della Libertà nel programma presentato agli elettori nell'aprile del 2008. Far «rialzare l'Italia» significa anche tornare a ragionare di turismo in una logica di sistema, l'unica capace di rispondere alla sfida della competitività all'interno del mercato globale e la sola a poter far fruttare al meglio l'immenso patrimonio di bellezza che è stato dato in dote al nostro paese, come ha scritto il presidente nel Consiglio nel messaggio di presentazione del portale: «L'Italia è il paese del cielo, del sole, del mare. Un paese magico, capace di incantare e di conquistare il cuore non solo di chi ci vive, ma anche di chi lo visita, di chi lo scopre per la prima volta. Un paese che regala emozioni profonde attraverso i suoi paesaggi, le sue città, i suoi tesori d'arte, i suoi sapori, la sua musica. Un viaggio in Italia, per noi italiani e per chiunque arrivi da ogni parte del mondo, è un viaggio nell'arte e nel bello. L'Italia è magica. Scopritela. Nascerà un grande amore».

Gianteo Bordero

mercoledì 15 luglio 2009

MOZIONE URGENTE SULLA BALNEABILITÀ A SESTRI LEVANTE

15 LUGLIO 2009

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

OGGETTO: MOZIONE URGENTE

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI COMUNALI

Ai sensi dell’articolo 19, comma 1, del vigente Regolamento per lo svolgimento del Consiglio Comunale, il quale prevede che: “In apertura di seduta, prima che abbia inizio la trattazione dell’ordine del giorno, è data facoltà ai Consiglieri di illustrare mozioni urgenti che si differenziano da quelle ordinarie di cui all’art. 48 del presente Regolamento per il loro oggetto caratterizzato da problemi o fatti di notevole urgenza e gravità o comunque fatti su cui la discussione non posa essere differita ad altra seduta, stanti i motivi di particolare rilevanza sotto il profilo di pubblico interesse e che abbiano la precisa finalità di provocare una manifestazione di sentimento del Consiglio e che non comportino l’adozione di provvedimenti amministrativi durante la trattazione delle stesse”.

CHIEDONO

Che venga inserita all’Ordine del Giorno della prossima seduta di Consiglio Comunale la seguente mozione urgente:

“La situazione della balneabilità a Sestri Levante
in seguito agli ultimi rilevamenti dell’ARPAL”

E PROPONGONO

Di sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno:

IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

• Venuto a conoscenza dell’ordinanza con la quale il vice-sindaco Giorgio Calabrò ha stabilito, in data 14 luglio 2009, il divieto di balneazione nella Baia delle Favole, nel tratto tra la spiaggia del “Balin” ed il pontile Margherita.

• Preso atto che tale decisione si è resa necessaria in seguito alle ultime analisi condotte dall’ARPAL (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure), le quali hanno rilevato, nel tratto di mare interessato e sopra menzionato, una presenza oltre la norma di coliformi, tale da consigliare l’immediata assunzione, da parte della Civica Amministrazione, del provvedimento di cui sopra.

• Considerato che, come emerge dalla tabella riguardante la “Situazione della balneabilità delle coste Liguri 2009”, pubblicata sul sito dell’ARPAL (www.arpal.org) e costantemente aggiornata, il Comune di Sestri Levante risulta l’unico tra quelli limitrofi e il solo di tutto il Golfo del Tigullio ad essere attualmente interessato da situazioni di non balneabilità delle acque marine.

• Considerati altresì i potenziali pericoli alla salute dei bagnanti che possono derivare da una cattiva qualità delle acque di balneazione, così come rilevata dall’ARPAL.

• Considerati infine i danni economici e più in generale di immagine che possono derivare a Sestri Levante dall’impossibilità di balneazione in piena stagione estiva, e per di più in una delle zone ritenute di pregio nel territorio comunale.

IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA

• A riferire immediatamente al Consiglio Comunale circa lo status quaestionis e circa le cause finora accertate della presenza di coliformi sopra la norma nello specchio acqueo della Baia delle Favole;

• A mettere in atto, nel più breve tempo possibile, tutte le misure necessarie per sanare la situazione di non balneabilità della zona in questione;

• Ad attivarsi, di concerto con gli Enti competenti in materia, per mettere in atto tutte le misure necessarie affinché nel futuro sia garantita una qualità delle acque tale da consentire la piena fruizione, da parte dei residenti e dei turisti, del mare di Sestri Levante.


Gianteo Bordero
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

LA STRATEGIA ESTREMISTA DI ANTONIO DI PIETRO

da Ragionpolitica.it del 14 luglio 2009

Antonio Di Pietro ha respinto al mittente l'appello del presidente della Repubblica per un «clima più civile, corretto e costruttivo tra governo ed opposizione». L'ex pm ha risposto a muso duro all'invito del capo dello Stato con un post pubblicato sul suo blog, nel quale afferma: «Non so cosa ci trovi Lei, signor presidente, ma noi non ci troviamo nulla di "civile, corretto e costruttivo" nei comportamenti del governo e della sua maggioranza parlamentare e per questa ragione continueremo a fare opposizione senza sconti alcuno, dentro e fuori del parlamento».

Che i rapporti tra il leader dell'Italia dei Valori e l'inquilino del Colle non fossero dei migliori - per usare un eufemismo - è cosa nota da tempo: più volte, a partire dalla manifestazione di Piazza Navona di qualche mese fa, Di Pietro ha accusato Napolitano di non esercitare fino in fondo il suo compito, che, secondo le curiose teorie costituzionali del capo dell'Idv, dovrebbe essere quello di impedire al governo Berlusconi di svolgere il suo mandato bloccandone ogni provvedimento. Da ultimo, basti ricordare le parole rivolte dall'ex pm al presidente della Repubblica, sempre tramite il suo blog, la settimana scorsa, in seguito al mancato stop di Napolitano al ddl intercettazioni: «Signor presidente, lei sta usando una piuma d'oca per difendere la Costituzione dall'assalto di un manipolo piuttosto numeroso di golpisti». Secondo Di Pietro, dunque, il Quirinale sarebbe in ultima analisi complice, con i suoi «silenzi», di un disegno eversivo finalizzato a smantellare le garanzie democratiche sancite dalla Carta costituzionale. Ne dobbiamo dedurre, quindi, che anche gli appelli presidenziali per un «clima più civile» fanno parte di questa complicità della prima carica dello Stato con il governo Berlusconi.

Ora, è evidente a chiunque non sia accecato dall'odio antiberlusconiano che affiliare il presidente della Repubblica al presunto complotto antidemocratico del Cavaliere è una cosa semplicemente fuori dalla realtà, non soltanto perché non esiste alcun progetto di smantellamento della Costituzione da parte dell'attuale maggioranza, ma anche perché il capo dello Stato, da quando è in carica il Berlusconi IV, non ha certo mancato di intervenire in modo critico nei confronti dell'esecutivo quando ha ritenuto che ciò fosse conforme ai compiti assegnatigli dalla Carta. E, a volerla dire tutta, in un caso Napolitano è andato persino oltre le prerogative costituzionali in merito al giudizio sulla decretazione d'urgenza di iniziativa governativa: lo ha fatto nella vicenda di Eluana Englaro, quando dapprima è intervenuto con una inusuale missiva inviata a Consiglio dei ministri in corso per annunciare che, qualora l'esecutivo avesse percorso la strada del decreto per bloccare il protocollo medico di interruzione della nutrizione e dell'idratazione, egli avrebbe fatto mancare la sua controfirma; e poi, una volta che il decreto è stato approvato dal governo, lo ha rigettato sostenendo che nel caso in questione non sussistevano i requisiti di necessità ed urgenza previsti dalla Costituzione, entrando così in un campo di valutazione governativa e non presidenziale. Quindi, affermare che Napolitano regge il gioco dell'esecutivo è un'evidente assurdità.

A preoccupare, semmai, dovrebbero essere le idee sottese alle dichiarazioni di guerra di Di Pietro contro tutto e contro tutti. Come ha osservato Piero Ostellino (Corriere della Sera, 10 luglio) commentando l'«appello alla comunità internazione» dell'ex pm pubblicato su una pagina a pagamento dell'Herald Tribune, il leader dell'Idv mostra «sfiducia nelle istituzioni repubblicane alle quali, come parlamentare, ha giurato fedeltà». E, soprattutto, egli «ha un'idea della democrazia alquanto inquietante... Siamo di fronte a un parlamentare che delegittima - oltre che una maggioranza di governo liberamente eletta, la qual cosa rimane ancora nei limiti del confronto politico - anche il parlamento, il presidente della Repubblica e dubita persino della legittimità della Corte costituzionale... Uno spirito, quello di Di Pietro, autoritario che mal sopporta, oggi, di fare politica dentro il perimetro costituzionale, e che così facendo getta anche qualche ombra sul suo passato di magistrato».

Parole e concetti - quelli espressi da Ostellino - da sottoscrivere in pieno, e che bene spiegano perché il capo dell'Italia dei Valori abbia scelto di dire «no» all'appello di Napolitano per un clima politico «più civile»: con questa mossa Di Pietro, oltre a ribadire la sua strategia di presentarsi all'opinione pubblica come l'unica, vera opposizione, conferma di voler andare a pescare consensi in un'area estremista, dogmaticamente giustizialista, fanaticamente antiberlusconiana, in un elettorato che mal sopporta le garanzie democratiche a tutela della volontà espressa dai cittadini e non da qualche magistrato d'assalto.

Gianteo Bordero

MOZIONE SUL PIANO DEGLI ARENILI DI RIVA TRIGOSO

15 LUGLIO 2009

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI COMUNALI

CHIEDONO

Che venga inserita all’Ordine del Giorno del prossimo Consiglio Comunale la seguente mozione:

“Riva Trigoso e il piano degli arenili: problematiche e soluzioni”

E PROPONGONO

Di sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno:

IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

• Considerate le numerose osservazioni e obiezioni sollevate dai cittadini di Riva Trigoso in merito alla “Variante al Piano Particolareggiato di riqualificazione delle aree a mare di Riva Ponente e Riva Levante”, così come risultante da deliberazione del Consiglio Comunale del 7 maggio 2009.

• Considerato quanto rilevato dalla Regione Liguria, Dipartimento Pianificazione Territoriale e Urbanistica, in una comunicazione inviata all’Ufficio Urbanistica del Comune di Sestri Levante in data 3 luglio 2009, nella quale, in riferimento alla Conferenza di servizi in sede referente “per l’approvazione di istanza di variante al Piano Particolareggiato di riqualificazione delle aree a mare di Riva Ponente e Riva Levante, costituente altresì variante al PUC vigente”, si sottolinea che “il progetto di che trattasi è stato sottoposto ad un preliminare esame da parte delle strutture regionali a vario titolo coinvolte nel procedimento istruttorio. In tale sede, presa visione della documentazione progettuale ad oggi trasmessa e delle valutazioni a suo tempo svolte dalla Provincia di Genova nell’ambito dell’istruttoria relativa all’approvazione del P.P. degli arenili del 2001, è stata rilevata in via del tutto prioritaria la necessità di procedere ad una revisione della soluzione proposta”.

• Considerato ancora quanto rilevato dalla medesima Regione Liguria, Dipartimento Pianificazione Territoriale e Urbanistica, nella comunicazione di cui sopra, e cioè che si rendono necessari “approfondimenti e chiarimenti in merito alla necessità di addivenire all’integrale rielaborazione del P.P. delle aree a mare approvato dalla C.A. nel 2001 e tutt’ora vigente, nonché ad un ampliamento delle strutture fisse e del fronte mare di alcuni stabilimenti balneari. Quanto sopra anche in relazione ai criteri ed alle finalità individuate dall’art. 3 del Piano di Utilizzazione delle Aree Demaniali Marittime in merito al contemperamento delle esigenze di conservazione e di valorizzazione della integrità fisica e patrimoniale del bene spiaggia in rapporto sia al preponderante soddisfacimento degli interessi pubblici e di uso pubblico dello stesso che alle esigenze di ampliamento e sviluppo delle singole attività economiche esistenti”.

IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA

• A procedere, come da richiesta della Regione Liguria, ad una solerte e accurata revisione del Piano in oggetto, dopo adeguata consultazione con gli abitanti del borgo rivano, in modo da ottemperare alle esigenze di tutela dell’interesse pubblico e di salvaguardia del paesaggio sottolineate dalla medesima Regione Liguria.


Gianteo Bordero
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

domenica 12 luglio 2009

AVANTI, SILVIO!

da Ragionpolitica.it dell'11 luglio 2009

Chissà se i pubblici riconoscimenti ed apprezzamenti tributatigli da tutti i grandi del pianeta, a partire dal presidente americano Barack Obama, riusciranno a cancellare l'amarezza di Silvio Berlusconi per la campagna d'odio, chiacchiere e veleni di cui è stato oggetto negli ultimi due mesi... Perché le dosi industriali di fango - per usare un eufemismo - gettato addosso al presidente del Consiglio avrebbero fatto male a chiunque. In questo senso, il premier ha dimostrato una capacità di resistenza agli attacchi oggettivamente fuori dal comune.

Sia come sia, alla fine il vero vincitore del G8 dell'Aquila è lui, il Cavaliere, che esce dal vertice con cucita addosso un'immagine nitida di leader e di statista a tutto tondo, per la sua capacità di proposta e di mediazione, per le doti di «great coaching» di cui ha parlato il presidente americano, per il livello dell'accoglienza riservata ai colleghi, per la lungimiranza nella scelta della sede del summit, e l'elenco potrebbe proseguire...

Così il Berlusconi del G8 aquilano si ricollega idealmente con il Berlusconi del 25 aprile, quello del memorabile discorso di Onna che gli valse un'impennata nei sondaggi che lo portò a livelli di gradimento da lui stesso definiti «imbarazzanti». E non fu un caso se proprio dopo quella ricorrenza e dopo il salto in avanti nei sondaggi iniziò l'infame campagna contra personam che ha calamitato l'attenzione dell'opinione pubblica in questi due mesi. L'obiettivo di coloro che si sono adoperati per fiaccare il presidente del Consiglio per poi tentare di abbatterlo definitivamente come un pugile suonato durante il vertice dei grandi, in diretta mondiale come già accaduto nel '94, era proprio questo: fermare l'avanzata di Berlusconi e il rafforzamento della sua immagine di statista capace di unire il paese attorno ai suoi valori fondanti - un reato di lesa maestà agli occhi dei sacri custodi politicamente corretti dell'ordine repubblicano. Andava cioè fermato il tentativo del Cavaliere di porsi come un padre della patria in grado di rinnovare il patto costituzionale tra popolo e Stato, sanando la ferita della guerra civile del '43-'45 e della tragica lotta sul suolo nazionale di due eserciti combattenti ciascuno in nome dell'Italia.

Vedere Berlusconi a Onna, luogo simbolo della furia nazista, parlare di resistenza, di lotta per la libertà, elogiare tutti i movimenti (comunisti compresi) partigiani, per poi indossare il foulard della Brigata Maiella, è stato, agli occhi di coloro che da decenni si sono autonominati unici titolari della legittimità repubblicana, un affronto intollerabile, che andava al più presto vendicato, con tutti i mezzi a disposizione - gossip e spiate di vario genere compresi. Perché proponendo al paese un nuovo patto costituente fondato sulla libertà e su istituzioni ammodernate, finalmente al passo coi tempi, il presidente del Consiglio è entrato in un campo che non era più semplicemente quello della politica o dell'ideologia, ma il campo della religione tout court: la religione della Repubblica fondata sui dogmi dell'Antifascismo e della Liberazione. Che il fondatore della tv commerciale, il parvenu della politica, il leader di una destra ritenuta inguardabile si presentasse al paese come un nuovo padre della patria era davvero troppo.

E allora, oggi, dopo il successo indiscutibile del vertice abruzzese (perfino molti giornali italiani mai teneri col Cavaliere lo riconoscono senza giri di parole), andato in fumo il tentativo di mandare gambe all'aria il governo e il suo capo, il cammino riprende proprio da quell'immagine che sia il 25 aprile di Onna che il G8 dell'Aquila hanno consegnato prima all'Italia e poi al mondo: quella di un presidente del Consiglio autorevole, capace di interpretare al meglio i sentimenti, la storia, la tradizione del popolo che rappresenta; di uno statista credibile in campo internazionale; insomma, di un grande leader adatto ai tempi difficili che l'Italia e il mondo attraversano. Avanti, Silvio!

Gianteo Bordero

venerdì 10 luglio 2009

IL SUCCESSO DI BERLUSCONI

da Ragionpolitica.it del 9 luglio 2009

L'inizio del G8 dell'Aquila ha consegnato all'Italia e al mondo l'immagine di un Silvio Berlusconi saldamente e autorevolmente in sella a un governo capace di esercitare, sui temi al centro del dibattito dei «grandi», una «leadership forte e straordinaria», secondo le parole pronunciate mercoledì mattina dal presidente americano Barack Obama. La lunga campagna di stampa condotta da giornali italiani (con in testa La Repubblica) e stranieri (in gran parte riconducibili all'editore Murdoch) non ha dunque sortito gli effetti sperati: l'operazione di delegittimazione totale del presidente del Consiglio non è andata in porto. Due mesi di gossip, illazioni, calunnie, in cui tutto ciò che sapesse di pruriginoso nella vita privata del Cavaliere è stato dato in pasto all'opinione pubblica italiana e internazionale, non sono riusciti a modificare il quadro politico nazionale, a rovesciare il verdetto uscito dalle urne il 13 e 14 aprile 2008. Chi si aspettava l'imminente caduta di Berlusconi e l'arrivo del solito esecutivo tecnico (o - sarebbe meglio dire - tecnocratico) ha dovuto riporre le sue speranze nel cassetto dopo aver visto i leader riuniti nel capoluogo abruzzese esprimere vivo apprezzamento tanto per la persona del presidente del Consiglio quanto per l'operato del suo governo.

In altri tempi e altre circostanze, probabilmente un esecutivo italiano non avrebbe retto il peso esercitato dall'azione congiunta di certa stampa, di poteri più o meno forti, della parte più politicizzata della magistratura, con a ruota i partiti di opposizione: sarebbe capitolato, cedendo il passo ai fautori di una democrazia minore e sempre sotto tutela. In questo senso, occorre sottolineare che la tenuta del governo Berlusconi dopo gli attacchi concentrici di cui esso è stato oggetto nelle scorse settimane rappresenta anche una vittoria della democrazia e della sovranità popolare sui soliti noti del circolo mediatico-giudiziario.

Accanto a ciò, c'è un altro aspetto importante che va rimarcato: nell'attuale congiuntura mondiale, con una crisi che ha pesantemente colpito le economie nazionali, è interesse primario di ogni Stato avere un governo forte e credibile, che goda di quella legittimazione popolare indispensabile per mettere in campo le misure necessarie ad attraversare la tempesta, garantendo che la crisi economica non si trasformi in crisi sociale dagli esiti potenzialmente devastanti. Che il governo Berlusconi sia solido è, cioè, interesse primario del sistema-paese nel suo complesso: se all'instabilità economica si aggiungesse infatti l'instabilità politica, ne verrebbe fuori una miscela esplosiva e a farne le spese non sarebbero soltanto i partiti attualmente maggioritari, ma anche e soprattutto la nazione nel suo insieme e la sua autorevolezza in campo internazionale; l'Italia sarebbe nuovamente in balìa del caos, con sommo gaudio di chi, da tale caos, potrebbe trarre profitto dal punto di vista economico, politico e finanche geopolitico.

Alla luce di queste riflessioni, appare con ancora maggiore chiarezza quanto irresponsabile e contrario agli interessi del paese sia stato il comportamento di coloro che hanno organizzato e condotto la campagna antiberlusconiana degli ultimi mesi. Una campagna che, in forza di quanto detto, rappresenta in ultima analisi anche una battaglia antinazionale, contraria agli interessi dell'Italia. Il presidente del Consiglio, in queste settimane, è andato avanti con coraggio e determinazione; il suo governo ha saputo mettere in campo provvedimenti importanti come il secondo decreto anti-crisi e il ddl sviluppo che contiene misure finalizzate a rilanciare il sistema-paese; nel frattempo, Berlusconi in prima persona ha lavorato per preparare al meglio il vertice dell'Aquila, sia dal punto di vista organizzativo che nella definizione dei dossier oggetto di discussione tra i «grandi della Terra». E oggi può finalmente mietere i buoni frutti di un impegno che assume ancor più valore se si pensa al clima in cui esso è stato portato avanti. A mani vuote resta chi si aspettava «scosse» capaci di abbattere il Cavaliere; chi pensava di rovesciare, spiando dal buco della serratura nella stanza da letto del premier, il quadro politico sancito dal voto popolare.

Gianteo Bordero

mercoledì 8 luglio 2009

IL VUOTO E LA VIOLENZA

da Ragionpolitica.it del 7 luglio 2009

Abbiamo sempre sostenuto, su queste pagine, che dietro l'etichetta dell'«idealità» appiccicata sopra la battaglia dei movimenti antagonisti contro la globalizzazione si nascondeva soltanto uno spaventoso vuoto di idee, di principi e di valori. Abbiamo scritto che si trattava, in ultima istanza, di una pura espressione del nichilismo che sembra per molti versi dominare il nostro tempo. E abbiamo detto, infine, che l'unico esito possibile di questa rivolta sarebbe stato quello della violenza: distruggere per distruggere, senza altra motivazione oltre alla volontà perversa di fare a pezzi il reale in quanto tale.

La chiara conferma di tutto ciò l'abbiamo in questi giorni che precedono il G8 dell'Aquila, con gli arresti scattati lunedì (a Torino, Bologna, Padova, L'Aquila) per 21 protagonisti della guerriglia urbana che ebbe luogo lo scorso 19 maggio a Torino in occasione del G8 dell'Università; con il fermo, avvenuto martedì mattina nel capoluogo abruzzese, di 5 no global francesi che viaggiavano nei pressi della «zona rossa» su una ruolotte carica di mazze ferrate e mazze da baseball; con il blocco della tangenziale est di Roma da parte di circa 20 manifestanti con casco e volto coperto; con il fermo di 36 antagonisti dediti ad atti di vandalismo in Via Cilicia, Via Ostiense, in zona Tiburtina e sulle sponde del Tevere; infine con l'occupazione, da parte dell'Onda studentesca, di diversi rettorati (tra gli altri: Torino, Bologna, Napoli, Pisa, Venezia). Insomma, un piccolo bollettino di guerra il cui bilancio potrebbe, nelle prossime ore, salire ancora.

Come al solito, le reazioni scomposte dei leader no global non si sono fatte attendere. Luca Casarini ha guidato un corteo di protesta di fronte alla questura di Padova, dove è trattenuto un esponente del centro sociale «Pedro» accusato di essere tra gli organizzatori degli scontri con la Polizia del 19 maggio. Casarini ha affermato che si tratta di «arresti preventivi di stampo fascista, un'operazione politica fatta prima del G8», e che «dietro quanto accaduto c'è la mano dei servizi segreti italiani... Chiunque ci sia dietro pagherà molto caro quello che sta succedendo». Per Francesco Caruso, ex deputato di Rifondazione Comunista, gli arresti avrebbero come unico scopo quello di «criminalizzare il movimento no global, disperdere i gruppi che avevano già raggiunto L'Aquila... E' una tipica tattica fascista: durante il fascismo prima delle manifestazioni del Duce si arrestavano in città tutti gli antifascisti per liberarli il giorno dopo a giochi chiusi». Infine Vittorio Agnoletto, già europarlamentare rifondarolo, vede nelle azioni condotte dalla Digos «un chiaro messaggio da parte del governo, che così facendo alimenta ed esaspera il clima di tensione verso l'evento, come aveva fatto a Genova, otto anni fa». Tutte queste dichiarazioni rappresentano la riproposizione della trita e ritrita teoria della «strategia della tensione» attuata dallo Stato «fascista» per mettere a tacere i dissidenti che difendono la libertà di fronte all'autoritarismo del potere.

Se vogliamo dirla senza giri di parole, la verità è esattamente l'opposto di quella che sostengono con foga degna di miglior causa i vari capi no global: chi alimenta la tensione, in questi giorni, non è certo lo Stato, bensì i vari movimenti antagonisti che ormai considerano il G8 l'appuntamento principe non per esporre idee e progetti alternativi a quelli dei «grandi della Terra», ma per devastare, sfasciare, aggredire, distruggere. Per sfogare una rabbia che non nasce di certo da motivazioni politiche, ma da una profonda noia esistenziale che i centri sociali, invece che attenuare, esasperano all'ennesima potenza. Un nichilismo, come dicevamo all'inizio, che viene dirottato verso i lidi della contestazione fine a se stessa contro il mondo in quanto tale, di cui i capi delle nazioni più importanti divengono, loro malgrado, simbolo supremo.

Non può quindi esservi giustificazione alcuna per gli atti di vandalismo, di violenza, di devastazione a cui stiamo assistendo, e bene hanno fatto e fanno i responsabili della sicurezza nazionale a tenere alta la guardia di fronte agli episodi di cui abbiamo parlato in precedenza, messi in atto da bande «organizzate in modo paramilitare», secondo le parole del procuratore di Torino, Caselli. La storia recente dei vertici del G8, ben esposta in un articolo apparso martedì su Il Velino, impone la massima allerta dinanzi a chi non si è dato altra missione oltre a quella della distruzione dell'esistente in nome non più dell'utopia e del «mondo migliore», bensì del nulla assoluto.

Gianteo Bordero

domenica 5 luglio 2009

BENEDETTO XVI E LA VERA MISSIONE DEL PRETE

da Ragionpolitica.it del 4 luglio 2009

Benedetto XVI sta combattendo una battaglia campale per contrastare l'idea secondo la quale i problemi che la Chiesa deve affrontare in questo frangente storico possano essere risolti con un surplus di organizzazione o, peggio, con concessioni alla mentalità del secolo. Uno di questi problemi è senza dubbio quello delle vocazioni e della cosiddetta «carenza» di sacerdoti. Molti, nella Chiesa, ritengono che le cose non siano destinate a migliorare col passare del tempo e, per questo, pensano che la migliore risposta da dare sia quella di aprire ai «laici» l'accesso a determinate funzioni fino ad ora riservate ai presbiteri. Altri addirittura propongono di abolire il celibato ecclesiastico e di concedere ai preti, come accade in altre confessioni cristiane, la possibilità di essere anche mariti e padri di famiglia. Ma queste, a ben guardare, non sono vere risposte alla questione: sono semplicemente due modi per eluderla, per non prendere sul serio le sue cause ultime.

Benedetto XVI lo sa, e per questo ha deciso di afferrare il toro per le corna, di andare alla radice del problema. E lo ha fatto, ancora una volta, a modo suo, con l'indizione di uno speciale anno sacerdotale in occasione del 150° anniversario della morte del santo Curato d'Ars, per rilanciare in grande stile il significato più profondo della missione sacerdotale. Che non è, come il Papa ha ben spiegato nel corso dell'udienza generale dello scorso mercoledì, una missione innanzitutto sociale, ma spirituale. Il prete, cioè, è chiamato innanzitutto ad una immedesimazione totale col Cristo che lo ha scelto per esercitare nella Chiesa lo speciale «ministero dell'altare». Mercoledì Benedetto XVI, per meglio descrivere tutto ciò, si è servito di una frase dello stesso Curato d'Ars: «Oh, come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia». Per questo l'accento deve essere posto in primis sull'iniziativa di Dio nei confronti del sacerdote, sulla predilezione divina per coloro che sono scelti per rinnovare nella celebrazione del sacramento il sacrificio stesso di Cristo, il suo offrire se stesso per la redenzione dell'uomo. «Il dono della grazia divina - ha quindi affermato il Papa - precede ogni possibile umana risposta e realizzazione pastorale».

Negli ultimi decenni questa prospettiva indicata da Benedetto XVI è stata spesso trascurata, e la conseguenza di ciò è stata una esiziale separazione tra la missione spirituale del sacerdote e la sua missione pastorale. Dimenticata di fatto la prima, soltanto la seconda è stata ritenuta degna di attenzione e di considerazione, come se ad essa potesse ridursi tutta la ricchezza della vocazione presbiterale e la sua importanza per la vita della Chiesa e del mondo. In anni nei quali la cultura dominante poneva l'accento solo sul «sociale» e sulla «comunità», è sembrata non immediatamente «utile» una figura che si «limitava» a celebrare la Messa e a chiudersi nella penombra del confessionale. Il Papa, lo scorso mercoledì, lo ha detto chiaramente: «Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l'impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società».

Per questo Benedetto XVI ha ritenuto necessaria l'indizione dell'Anno Sacerdotale: per restituire alla figura del prete la grandezza che le spetta; per affrontare il problema delle vocazioni non attraverso qualche sofisticata «strategia pastorale» o qualche cedimento alle richieste dei «modernizzatori», ma con la riproposizione della solida dottrina tradizionale sul sacerdozio e con l'indicazione di Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars, il santo dell'adorazione e della confessione, quale modello di vita presbiterale. Non più l'efficienza al primo posto, dunque, ma la cura della vita spirituale, il sacramento, la preghiera, il dialogo incessante con Dio. E' da qui che discende tutto il resto. Senza questo, l'unica conseguenza possibile è un'aridità che non può non avere pesanti ripercussioni anche sulla vita della Chiesa.

Gianteo Bordero

giovedì 2 luglio 2009

LA LEGGE DELLA SICUREZZA

da Ragionpolitica.it del 2 luglio 2009

Ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria. E' un principio della dinamica, ma è anche una delle leggi della politica, un'arte in cui l'equilibrio non si raggiunge mai perché le forze in campo sono ferme e poltriscono nella palude dello status quo, ma perché ad una mossa compiuta dal partito di Tizio può opporsi una contromossa del partito di Caio, appunto «uguale e contraria» in termini di impatto sulla realtà. E' il caso del ddl sulla sicurezza divenuto quest'oggi legge al Senato. Si tratta di un provvedimento che nasce da uno stato di necessità: rimediare alle politiche in materia di immigrazione portate avanti dai governi di sinistra, ispirate dal principio secondo il quale l'Italia ha da essere, in sostanza, un territorio senza frontiere, aperto a chiunque vi voglia accedere per i più disparati motivi, un laboratorio in cui sperimentare l'incrocio tra culture le più diverse tra loro, costi quel che costi.

Era necessario reagire ad un modo di concepire l'immigrazione nel nostro paese che è stato definito, a seconda delle prospettive adottate e delle circostanze, «buonista», «solidarista», «multiculturalista». E che ha prodotto, nel corso soprattutto dell'ultimo decennio, un pericoloso scivolamento dell'attenzione generale dal tema della sovranità e dell'autorità dello Stato (e, per altri versi, della salvaguardia dell'identità nazionale) verso un sentimentalismo nei confronti dell'immigrato che, pur non privo di nobili motivazioni, non è stato in grado di generare, a conti fatti, nulla di buono né per l'Italia né, a ben vedere, per gli immigrati stessi. L'errore capitale commesso dalla cultura di cui sopra, e che ha avuto pesanti ripercussioni sociali e politiche, è stato quello di trasformare il caso del singolo immigrato, e quindi delle singole motivazioni che possono spingerlo verso i lidi della Penisola, nel caso del «migrante» come categoria generale e astratta, che andava accolta, abbracciata e sostenuta a prescindere, in forza del titolo stesso di «altro» e di «diverso».

Le conseguenze dell'ingresso e dell'accoglienza indiscriminati sono state l'aumento della criminalità, la cessione di fette del territorio alle diverse «mafie» straniere impegnate in una lotta senza quartiere per affermare il loro predominio in ampie zone delle nostre città, la crescita dell'insicurezza e della paura nei cittadini, il proliferare di centri di addestramento di fanatici disposti ad immolarsi per la causa del terrorismo di matrice islamica, per non parlare del verificarsi di casi come quello della povera Hina Salem, la ragazza pakistana condannata a morte da un improvvisato tribunale islamico e uccisa dal padre perché troppo incline a vivere «all'occidentale» e in contrasto con le norme della shari'a. Non è possibile pensare che tutto ciò sia frutto del caso, del destino «cinico e baro». No, questi sono i frutti di una cultura e di una politica dell'immigrazione irresponsabile, miope e infine anti-nazionale. Una cultura e una politica sulle quali ha influito in modo non secondario il diffondersi, nel nostro paese, di una forte ideologia terzomondista, nata dall'intreccio tra certo solidarismo cattolico post-conciliare, certi strascichi della teologia della liberazione e il comunismo nella sua versione utopistica.

Votando per il centrodestra alle elezioni politiche del 2008, la maggioranza degli italiani ha mostrato in modo chiaro di non poterne davvero più di questa overdose di buonismo che ha messo in serio pericolo la credibilità e l'efficacia dell'azione dello Stato nel contrasto all'illegalità e alla criminalità. Era necessario un cambio di rotta, o, per dirla con la metafora usata all'inizio, una forza «uguale e contraria» che riportasse in equilibrio una situazione ormai tutta sbilanciata a favore di una parte in causa (il «migrante»), a danno dell'altra parte (il cittadino italiano). Dopo il primo decreto legge sicurezza approvato dal governo Berlusconi, dopo (è importante non dimenticarlo) il fondamentale accordo con la Libia per il controllo «a monte» dei flussi migratori, dopo l'avvio della politica dei «respingimenti», ecco dunque arrivare a termine l'iter del disegno di legge che, tra le altre cose, introduce il reato di immigrazione clandestina, aumenta il tempo di permanenza nei Cie (centri di identificazione ed espulsione), punisce severamente chi favorisce l'ingresso dei clandestini. Si tratta dell'attuazione concreta, da parte del Popolo della Libertà e della Lega Nord, delle promesse fatte in campagna elettorale l'anno scorso. E, soprattutto, si tratta della benemerita opera di riaffermazione della cultura dello Stato, della nazione e della cittadinanza che la sinistra e le sue componenti post-comuniste e catto-progressiste avevano letteralmente fatto a pezzi e messo nel cassetto delle cose inutili.

Gianteo Bordero

IL "PASTICCIACCIO BRUTTO" DELLE PISCINE DI SESTRI LEVANTE

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

COMUNICATO STAMPA DEL 2 LUGLIO 2009

La recente sentenza del Consiglio di Stato sulla gestione delle piscine comunali di Sestri Levante non sorprende. Anzi, è la conferma di un’incapacità amministrativa dell’attuale Giunta da tempo evidente. Lavarello e i suoi assessori, da molti anni, fanno il passo più lungo della gamba: progettano opere faraoniche che poi, per un motivo o per l’altro, divengono oggetto di ritardi o di ricorsi la cui conseguenza inevitabile è quella di un aggravio di costi che debbono essere sostenuti, in ultima istanza, col denaro che i cittadini versano nelle casse comunali. Così accadrà anche per le piscine e per il “pasticciaccio brutto” dell’assegnazione della gestione.

Del resto, è importante sottolineare che quello sulle aree ex Fit è un progetto nato male e finito peggio, condotto senza avere minimamente a cuore l’interesse generale della città, ma soltanto la soddisfazione dei “desiderata” dei poteri forti ai quali le giunte di sinistra, a partire dai primi anni Novanta, si sono inchinate. Hanno gettato a mare la possibilità di impiantare su quei terreni una serie di piccole e medie imprese che avrebbero garantito la continuità del tessuto industriale di Sestri, ed hanno invece preferito dare il via libera alla trasformazione della città in un’unica e grande seconda casa, con conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Le due piscine rientravano dentro a questo sciagurato progetto, a cui ci siamo sempre opposti chiedendo alla sinistra che rimanesse fedele a se stessa difendendo le realtà industriali poste sul territorio comunale: invece la sinistra ha tradito le fabbriche, gli operai e, più in generale, ha imposto alla città un turismo da seconda casa non corrispondente alla vocazione storica della Bimare. Ed ora cade la maschera anche delle piscine, presentate come uno dei grandi risultati ottenuti con gli oneri di urbanizzazione del piano di riqualificazione delle aree ex Fit: invece gli impianti natatori sono e saranno nel prossimo futuro, per i sestresi, l’ennesimo salasso da sborsare per riparare i danni compiuti dalla Giunta Lavarello.

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

mercoledì 1 luglio 2009

L'ALTOLÀ DI NAPOLITANO

da Ragionpolitica.it del 30 giugno 2009

Sono passati i tempi in cui il Quirinale era diventato il punto attraverso il quale passava ogni tentativo di ribaltare con manovre di Palazzo la volontà liberamente e democraticamente espressa dal corpo elettorale. Sono finiti gli anni in cui il Colle si era trasformato nella centrale operativa in cui prendeva forma compiuta ogni progetto finalizzato a defenestrare un presidente del Consiglio scelto dai cittadini ma sgradito ai poteri forti (della politica, dell'economia, dell'editoria). Se la presidenza della Repubblica appare oggi, agli occhi della stragrande maggioranza degli italiani, come garanzia del principio costituzionale secondo cui «la sovranità appartiene al popolo», lo dobbiamo a Giorgio Napolitano, che in tre anni è riuscito a spazzar via le nubi che nei passati tre lustri si erano più volte addensate sopra il palazzo del Quirinale e che avevano oscurato la fiducia e il consenso attorno alla figura del capo dello Stato. Se Oscar Luigi Scalfaro aveva fatto della più alta carica dello Stato un'istituzione che combatte al fianco di una parte politica per delegittimarne un'altra, Giorgio Napolitano l'ha restituita al prestigio e all'autorevolezza che le spettano, proiettando all'esterno l'immagine di un presidente che lavora per la concordia tra le istituzioni e per la civilizzazione di un clima politico che spesso e volentieri fuoriesce dai confini della pur aspra contesa tra schieramenti.

E' all'interno di questo quadro che va letto anche l'intervento con il quale ieri, da Capri, dove festeggiava il suo ottantaquattresimo compleanno, Giorgio Napolitano ha auspicato che, in vista di un appuntamento così importante per il nostro paese quale quello rappresentato dal G8 dell'Aquila, da parte dei media e della politica vi sia una «tregua nelle polemiche». Poche parole, ma chiare ed inequivocabili, che sottotraccia contengono altri due «avvisi ai naviganti» di cui dovrebbero far tesoro tutti coloro che, in quest'ultimo periodo, hanno deliberatamente lavorato per rendere incandescente oltre ogni misura il clima politico.

Primo avviso: quando è in gioco l'interesse generale del paese, e quando l'Italia ospita eventi che fanno puntare sulla Penisola i riflettori del mondo intero, come nel caso dell'appuntamento internazionale di luglio, è necessario che tutti gli attori della politica e dell'informazione mostrino di comprendere la posta in palio, al di là dei momentanei e transeunti interessi di schieramento. L'amor di patria deve unire tutti, destra e sinistra, così come la difesa e la promozione dell'interesse nazionale. Chi sceglie una strada diversa mostra di non voler condividere un terreno comune, una cornice di principi capace di unire il paese oltre le differenze partitiche.

Secondo avviso: quando c'è un governo in carica che gode di un'ampia e solida maggioranza parlamentare democraticamente eletta dai cittadini, è inutile che una parte politica e i suoi sostenitori tra i mezzi d'informazione continuino a sperare che dal Colle possa venire una qualche forma di aiuto per dare una spallata destabilizzatrice al quadro politico frutto di libere votazioni: ciò rappresenterebbe un vulnus inferto al nostro assetto costituzionale ed istituzionale. Un gioco a cui l'attuale presidente ha già più volte mostrato di non volersi prestare.

Il messaggio è dunque chiaro: se qualcuno (poteri politici, giudiziari, economici o quant'altro) pensa che Giorgio Napolitano possa legittimare più o meno esplicitamente una replica di quanto accaduto nel 1994, a Napoli, ai tempi del primo governo Berlusconi, quando, durante la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata, venne inviato al presidente del Consiglio, a mezzo stampa, un avviso di garanzia che ebbe effetti nefasti tanto per la tenuta dell'esecutivo quanto per l'immagine del nostro paese all'estero (per non parlare delle esiziali conseguenze istituzionali), ebbene questo qualcuno è meglio che riponga al più presto i suoi sogni nel cassetto e si impegni piuttosto a rasserenare un clima carico di veleni e collabori a fare del G8 non l'occasione per abbattere un governo, ma per rinforzare il prestigio e la credibilità dell'Italia fuori dai patrii confini.

Gianteo Bordero