giovedì 2 luglio 2009

LA LEGGE DELLA SICUREZZA

da Ragionpolitica.it del 2 luglio 2009

Ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria. E' un principio della dinamica, ma è anche una delle leggi della politica, un'arte in cui l'equilibrio non si raggiunge mai perché le forze in campo sono ferme e poltriscono nella palude dello status quo, ma perché ad una mossa compiuta dal partito di Tizio può opporsi una contromossa del partito di Caio, appunto «uguale e contraria» in termini di impatto sulla realtà. E' il caso del ddl sulla sicurezza divenuto quest'oggi legge al Senato. Si tratta di un provvedimento che nasce da uno stato di necessità: rimediare alle politiche in materia di immigrazione portate avanti dai governi di sinistra, ispirate dal principio secondo il quale l'Italia ha da essere, in sostanza, un territorio senza frontiere, aperto a chiunque vi voglia accedere per i più disparati motivi, un laboratorio in cui sperimentare l'incrocio tra culture le più diverse tra loro, costi quel che costi.

Era necessario reagire ad un modo di concepire l'immigrazione nel nostro paese che è stato definito, a seconda delle prospettive adottate e delle circostanze, «buonista», «solidarista», «multiculturalista». E che ha prodotto, nel corso soprattutto dell'ultimo decennio, un pericoloso scivolamento dell'attenzione generale dal tema della sovranità e dell'autorità dello Stato (e, per altri versi, della salvaguardia dell'identità nazionale) verso un sentimentalismo nei confronti dell'immigrato che, pur non privo di nobili motivazioni, non è stato in grado di generare, a conti fatti, nulla di buono né per l'Italia né, a ben vedere, per gli immigrati stessi. L'errore capitale commesso dalla cultura di cui sopra, e che ha avuto pesanti ripercussioni sociali e politiche, è stato quello di trasformare il caso del singolo immigrato, e quindi delle singole motivazioni che possono spingerlo verso i lidi della Penisola, nel caso del «migrante» come categoria generale e astratta, che andava accolta, abbracciata e sostenuta a prescindere, in forza del titolo stesso di «altro» e di «diverso».

Le conseguenze dell'ingresso e dell'accoglienza indiscriminati sono state l'aumento della criminalità, la cessione di fette del territorio alle diverse «mafie» straniere impegnate in una lotta senza quartiere per affermare il loro predominio in ampie zone delle nostre città, la crescita dell'insicurezza e della paura nei cittadini, il proliferare di centri di addestramento di fanatici disposti ad immolarsi per la causa del terrorismo di matrice islamica, per non parlare del verificarsi di casi come quello della povera Hina Salem, la ragazza pakistana condannata a morte da un improvvisato tribunale islamico e uccisa dal padre perché troppo incline a vivere «all'occidentale» e in contrasto con le norme della shari'a. Non è possibile pensare che tutto ciò sia frutto del caso, del destino «cinico e baro». No, questi sono i frutti di una cultura e di una politica dell'immigrazione irresponsabile, miope e infine anti-nazionale. Una cultura e una politica sulle quali ha influito in modo non secondario il diffondersi, nel nostro paese, di una forte ideologia terzomondista, nata dall'intreccio tra certo solidarismo cattolico post-conciliare, certi strascichi della teologia della liberazione e il comunismo nella sua versione utopistica.

Votando per il centrodestra alle elezioni politiche del 2008, la maggioranza degli italiani ha mostrato in modo chiaro di non poterne davvero più di questa overdose di buonismo che ha messo in serio pericolo la credibilità e l'efficacia dell'azione dello Stato nel contrasto all'illegalità e alla criminalità. Era necessario un cambio di rotta, o, per dirla con la metafora usata all'inizio, una forza «uguale e contraria» che riportasse in equilibrio una situazione ormai tutta sbilanciata a favore di una parte in causa (il «migrante»), a danno dell'altra parte (il cittadino italiano). Dopo il primo decreto legge sicurezza approvato dal governo Berlusconi, dopo (è importante non dimenticarlo) il fondamentale accordo con la Libia per il controllo «a monte» dei flussi migratori, dopo l'avvio della politica dei «respingimenti», ecco dunque arrivare a termine l'iter del disegno di legge che, tra le altre cose, introduce il reato di immigrazione clandestina, aumenta il tempo di permanenza nei Cie (centri di identificazione ed espulsione), punisce severamente chi favorisce l'ingresso dei clandestini. Si tratta dell'attuazione concreta, da parte del Popolo della Libertà e della Lega Nord, delle promesse fatte in campagna elettorale l'anno scorso. E, soprattutto, si tratta della benemerita opera di riaffermazione della cultura dello Stato, della nazione e della cittadinanza che la sinistra e le sue componenti post-comuniste e catto-progressiste avevano letteralmente fatto a pezzi e messo nel cassetto delle cose inutili.

Gianteo Bordero

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