da Ragionpolitica.it del 4 luglio 2009
Benedetto XVI sta combattendo una battaglia campale per contrastare l'idea secondo la quale i problemi che la Chiesa deve affrontare in questo frangente storico possano essere risolti con un surplus di organizzazione o, peggio, con concessioni alla mentalità del secolo. Uno di questi problemi è senza dubbio quello delle vocazioni e della cosiddetta «carenza» di sacerdoti. Molti, nella Chiesa, ritengono che le cose non siano destinate a migliorare col passare del tempo e, per questo, pensano che la migliore risposta da dare sia quella di aprire ai «laici» l'accesso a determinate funzioni fino ad ora riservate ai presbiteri. Altri addirittura propongono di abolire il celibato ecclesiastico e di concedere ai preti, come accade in altre confessioni cristiane, la possibilità di essere anche mariti e padri di famiglia. Ma queste, a ben guardare, non sono vere risposte alla questione: sono semplicemente due modi per eluderla, per non prendere sul serio le sue cause ultime.
Benedetto XVI lo sa, e per questo ha deciso di afferrare il toro per le corna, di andare alla radice del problema. E lo ha fatto, ancora una volta, a modo suo, con l'indizione di uno speciale anno sacerdotale in occasione del 150° anniversario della morte del santo Curato d'Ars, per rilanciare in grande stile il significato più profondo della missione sacerdotale. Che non è, come il Papa ha ben spiegato nel corso dell'udienza generale dello scorso mercoledì, una missione innanzitutto sociale, ma spirituale. Il prete, cioè, è chiamato innanzitutto ad una immedesimazione totale col Cristo che lo ha scelto per esercitare nella Chiesa lo speciale «ministero dell'altare». Mercoledì Benedetto XVI, per meglio descrivere tutto ciò, si è servito di una frase dello stesso Curato d'Ars: «Oh, come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia». Per questo l'accento deve essere posto in primis sull'iniziativa di Dio nei confronti del sacerdote, sulla predilezione divina per coloro che sono scelti per rinnovare nella celebrazione del sacramento il sacrificio stesso di Cristo, il suo offrire se stesso per la redenzione dell'uomo. «Il dono della grazia divina - ha quindi affermato il Papa - precede ogni possibile umana risposta e realizzazione pastorale».
Negli ultimi decenni questa prospettiva indicata da Benedetto XVI è stata spesso trascurata, e la conseguenza di ciò è stata una esiziale separazione tra la missione spirituale del sacerdote e la sua missione pastorale. Dimenticata di fatto la prima, soltanto la seconda è stata ritenuta degna di attenzione e di considerazione, come se ad essa potesse ridursi tutta la ricchezza della vocazione presbiterale e la sua importanza per la vita della Chiesa e del mondo. In anni nei quali la cultura dominante poneva l'accento solo sul «sociale» e sulla «comunità», è sembrata non immediatamente «utile» una figura che si «limitava» a celebrare la Messa e a chiudersi nella penombra del confessionale. Il Papa, lo scorso mercoledì, lo ha detto chiaramente: «Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l'impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società».
Per questo Benedetto XVI ha ritenuto necessaria l'indizione dell'Anno Sacerdotale: per restituire alla figura del prete la grandezza che le spetta; per affrontare il problema delle vocazioni non attraverso qualche sofisticata «strategia pastorale» o qualche cedimento alle richieste dei «modernizzatori», ma con la riproposizione della solida dottrina tradizionale sul sacerdozio e con l'indicazione di Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars, il santo dell'adorazione e della confessione, quale modello di vita presbiterale. Non più l'efficienza al primo posto, dunque, ma la cura della vita spirituale, il sacramento, la preghiera, il dialogo incessante con Dio. E' da qui che discende tutto il resto. Senza questo, l'unica conseguenza possibile è un'aridità che non può non avere pesanti ripercussioni anche sulla vita della Chiesa.
Gianteo Bordero
domenica 5 luglio 2009
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