domenica 31 maggio 2009

LA SINISTRA S'È FERMATA A CASORIA

da Ragionpolitica.it del 30 maggio 2009

Un tempo, diciamo fino a circa quindici anni fa, la sinistra in Italia era una cosa seria. Comunista, certo. Rivolta con lo sguardo verso Mosca, certo. Non pienamente democratica, certo. Però seria. Non seriosa, come i suoi leader che dal 1994 in poi si sono candidati alla guida del paese, col volto troppo teso e imbronciato per essere vero. Una volta c'erano la causa per cui combattere, il proletariato, la classe operaria, le lotte sindacali, la battaglia contro il capitalismo, le feste dell'Unità affollate in ogni ordine di posti per qualsiasi dibattito politico avesse luogo. Insomma, c'era quello che Giorgio Gaber, nella sua canzone Qualcuno era comunista, ha chiamato «uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di sentirsi due persone in una». Mosca era lontana, un mito e un miraggio per tanti. Di vicino c'era solo il compagno di fabbrica, o di casa, c'era solo la sezione in cui ritrovarsi, non soltanto per parlare di politica. Essere comunisti, votare Partito Comunista, per molti in Italia ha voluto dire identificarsi, appartenere, perfino credere in qualcosa nonostante l'ateismo ufficialmente imposto dalla dottrina.

Oggi anche questo qualcosa è svanito. Evaporato. Dissolto. Caduto non soltanto sotto il peso delle macerie del Muro di Berlino, ma anche a causa dell'incapacità della classe dirigente ex Pci di fare i conti fino in fondo col passato, rimanendo in una terra di mezzo, anzi di nessuno, con il solo risultato da un lato di umiliare il popolo comunista e, dall'altro, di non sapere proporre ai cittadini una ricetta nuova, diversa, che scaturisse da una sincera presa d'atto della verità. Del resto, da chi era stato educato alla doppiezza della verità non ci si poteva certo aspettare un repentino cambio di rotta. E così è stato. Con la differenza che, dopo il crollo del Muro, si è passati dalla doppia verità a nessuna verità.

Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti: della sinistra non è rimasto che il nome, a cui ora non corrisponde più la cosa. E se è vero quello che diceva Chesterton, ossia che «quando l'uomo non crede più in niente finisce col credere a tutto», allora si capisce l'ultima svolta degli eredi di Togliatti e Berlinguer: dismesso l'impegno sui grandi temi cosiddetti «di sistema» (le riforme, il welfare, le pensioni, il lavoro, ecc...), la battaglia si è spostata su quanto di più evanescente ed effimero possa esserci, cioè la chiacchiera, il pettegolezzo, il gossip. Lo vediamo in questi giorni di campagna elettorale in vista delle votazioni del 6 e 7 giugno, con l'accanimento morboso sulle vicende private di Berlusconi, con la ricerca dello scoop che possa mettere in difficoltà il Cavaliere non più sul piano politico, ma su quello della privacy. Salvo scoprire che i presunti «testimoni autorevoli» a cui si fa affidamento (in questo caso l'ex fidanzato di Noemi Letizia) sono in realtà personaggi in cerca d'autore e di celebrità, disposti anch'essi a tutto pur di trarre profitto mediatico da quanto sta accadendo.

In quest'ultima settimana sono giunti alla nostra redazione molti commenti di elettori della sinistra, delusi dalle scelte e dal tenore della campagna elettorale condotta dai dirigenti dei loro partiti di riferimento, in particolare del Pd. Si sentono orfani e capiscono, molto prima dei vari Franceschini e D'Alema, e molto meglio dell'intellighenzia schierata a difesa degli ultimi bastioni antiberlusconiani, che tutto questo polverone su Noemi, sulle feste a Villa Certosa e via gossippando si ritorcerà come un boomerang sulla sinistra nel momento in cui i suoi sostenitori dovranno trovare un buon motivo per andare alle urne il prossimo fine settimana. Siamo solidali con questi militanti delusi e traditi, abbandonati da una classe dirigente che ha chiuso con la Politica con la P maiuscola e vaga come un'anima persa tra le pagine di Novella 2000 alla ricerca di un argomento da spendere contro Berlusconi. Per parte nostra, possiamo solo osservare, parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Carlo Levi, che oggi la sinistra «s'è fermata a Casoria», la patria di Noemi Letizia e Gino Flaminio.

Gianteo Bordero

venerdì 29 maggio 2009

MORALE DELLA FAVOLA

da Ragionpolitica.it del 28 maggio 2009

«Un lupo vide un agnello vicino a un torrente che beveva, e gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto. Standosene là a monte, cominciò quindi ad accusarlo di intorbidare l'acqua, così che egli non poteva bere. L'agnello gli fece notare che, per bere, sfiorava appena l'acqua e che, d'altra parte, stando a valle non gli era possibile intorbidire la corrente a monte. Venutogli meno quel pretesto, il lupo allora gli disse: "Ma tu sei quello che l'anno scorso ha insultato mio padre!". E l'agnello a spiegargli che a quella data non era ancora nato. "Bene - concluse il lupo - se tu sei così bravo a trovare delle scuse, io non posso mica rinunciare a mangiarti"».

Mutatis mutandis, le parole della celebre favola di Esopo vengono alla mente in questi giorni osservando gli attacchi rivolti dai partiti di opposizione al presidente del Consiglio in merito alla vicenda di Noemi Letizia. Dicono i capi del centrosinistra: «Invece che occuparsi dei problemi del paese e concentrare le sue energie sull'attività di governo, il premier dedica il suo tempo a curare le sue vicende private. E' un'offesa nei confronti del paese». Ora, tutti sanno che, in tutta questa storia di gossip, chiacchiere e pettegolezzi, chi ha gettato per primo il proverbiale sasso nello stagno non è stato di certo Berlusconi, il quale, semmai, si è visto costretto a rintuzzare gli assalti diretti contro la sua persona, cercando di far emergere la verità in mezzo a tante insinuazioni morbose. Il fatto che oggi il giornale-partito La Repubblica e i vari Franceschini e Di Pietro cerchino di far passare l'idea opposta, e cioè che sia stato il Cavaliere a mettere in piedi tutto questo popo di confusione al fine di distrarre il famigerato «paese» dai veri problemi che l'attanagliano, la dice lunga sul livello a cui sono giunti i principali protagonisti dell'opposizione, disposti a tutto pur di gettare fango sull'immagine pubblica del presidente del Consiglio, nella speranza di fargli perdere consensi in vista delle prossime scadenze elettorali.

E allora via col refrain delle «dieci domande» rivolte al premier dal quotidiano diretto da Ezio Mauro, presente martedì sera negli studi di Ballarò come icona dell'antiberlusconismo morale da contrapporre all'immorale berlusconismo. Domande che, come ha fatto osservare nel corso della stessa trasmissione il direttore di Panorama, Maurizio Belpietro, «non sono domande dirette, sono domande allusive, oblique, sono domande provocatorie, non sono domande per accertare la verità... Sono domande marginali, secondarie, per dimostrare che c'è qualche cosa di misterioso o di strano». Dunque: in mancanza di altre armi con cui colpire politicamente il presidente del Consiglio, ecco che l'opposizione insinua, sottintende, suscita dubbi sulla sua dirittura morale, sulle sue frequentazioni private, sui suoi comportamenti sessuali. Senza, come ha sottolineato Belpietro, avere a cuore la verità, ma con il solo scopo di costruire di fronte agli occhi degli italiani un velo di sospetto, di opacità, di torbido.

Ha dichiarato il ministro Sandro Bondi, anch'egli ospite martedì sera di Ballarò: «Non avevamo mai assistito, nella storia della Repubblica italiana, ad una campagna elettorale dominata da questioni come queste, che non dovrebbero farne parte. I temi veri della campagna elettorale sono totalmente assenti». Il perché è presto detto: «Da quindici anni una parte politica cerca di combattere con tutte le armi possibili Silvio Berlusconi... Ora lo si vuole combattere sul piano delle vicende di carattere personale. Repubblica ha rovistato nella pattumiera per cercare di trovare qualche cosa contro Silvio Berlusconi e la sinistra l'ha seguita».

Dunque, tornando alla favola di Esopo e trasponendola nelle vicende italiane di questi giorni, è ben chiaro chi, in questa storia, abbia scelto di recitare la parte del lupo smanioso di trovare una scusa qualsiasi per fare dell'agnello un sol boccone e soddisfare così i suoi appetiti. Coloro che accusano Berlusconi di aver intorbidato le acque della campagna elettorale sono gli stessi che hanno gettato quintali di melma alla fonte, e ora, come il lupo, dicono, di fronte alla difesa opposta dal capo del governo («In tutta questa vicenda non c'è nulla che non sia più che pulito»): «Se tu sei così bravo a trovare delle scuse, io non posso mica rinunciare a mangiarti». La morale della favola, alla fine, è la stessa prevista dall'autore greco: «Contro chi ha deciso di far un torto non c'è giusta difesa che valga».

Gianteo Bordero

martedì 26 maggio 2009

«FAMIGLIA CRISTIANA» TRA MORALISMO E GOSSIP

da Ragionpolitica.it del 26 maggio 2009

Famiglia Cristiana ci ha abituati a tutto, e non bisognerebbe più stupirsi per certe sue roboanti «uscite». Ma anche stavolta c'è da rimanere allibiti. C'è da restare senza parole leggendo i due articoli (l'editoriale e il commento politico) che il settimanale dei Paolini dedica, nel numero in edicola da domani, alla vicenda «veline» in politica e dintorni. Un condensato di luoghi comuni, disinformazione, banalità. Il tutto condito da un moralismo degno di miglior causa.

Obiettivo mai nominato, ma ben identificato, degli strali della rivista è, come spesso accaduto in passato, Silvio Berlusconi. Stavolta, però, ad essere prese di mira non sono le sue scelte politiche, l'operato del suo governo, il suo programma per guidare il paese. No. Oggi è il cattivo esempio, l'assenza di moralità, la mancanza di educazione che trasuderebbero dallo stile di vita berlusconiano, lo stesso propagandato con successo dalla tv commerciale: è - leggiamo nell'editoriale - il «modello delle veline», «di Amici e del Grande Fratello», «dove conta ciò che appare, il corpo esposto e una certa disinvoltura. La meta è raggiungere la notorietà e per essa non ci si nega niente e si accetta tutto, perfino la foto in pose forti o volgari, dipende dai punti di vista». E la cosa peggiore - scrive il settimanale - è che «è sparita dall'orizzonte pure quella che si riteneva una zona franca, il luogo dei minori, tempo protetto una volta dai genitori e dagli adulti, al riparo dalle proiezioni del desiderio». Ogni riferimento a fatti o persone è, come si suol dire, puramente casuale. Leggiamo ancora: «La prima volgarità che va denunciata è quella degli adulti e non quella, supposta, delle ragazzine... Lo scandalo è in chi sostiene il sistema delle veline, meteorine e quant'altro, facendone un modello di vita e di successo, o strumento di consenso, liquidando con rabbia chi pone la questione». Anche qui, ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. Più che un articolo di un settimanale, ancorché cattolico, sembra uno di quei fervorini moraleggianti di non eccelsa qualità come talvolta se ne sentono nelle chiese italiane durante le messe domenicali.

Toni analoghi anche nella nota politica del solito Beppe del Colle. «Se c'è una cosa - scrive - che colpisce nell'attuale situazione italiana è l'abissale distanza che separa la politica dalla realtà. La politica vive oggi degli effetti di una causa lontana negli anni, e che si chiama irruzione del relativismo morale nella società». Qui siamo veramente al più sfrenato «luogocomunismo», senza alcuna cura per l'accertamento dei fatti. Siamo - qui sì - al trionfo di ciò che appare su ciò che è. Smanioso di fare anch'egli il predicozzo agli attuali governanti, del Colle finisce con lo scomunicare anche i governati, colpevoli di aver ceduto e di cedere di fronte alle lusinghe del consumismo etico, evidentemente ben rappresentato dal modus vivendi del presidente del Consiglio in carica e dal modello di vita da lui proposto. Che sarebbe lo stesso che domina nel nostro paese ormai da qualche decennio: «Da quarant'anni, più o meno, gli italiani hanno avuto conferma, attraverso leggi ad hoc o ad personam, che nella loro vita privata possono fare tutto quello che vogliono, il che hanno sempre fatto ma con qualche ritegno o, se vogliamo proprio usare un termine scomparso dal loro linguaggio, con qualche "pudore"». Italiani immorali e spudorati, dunque, e in ciò ben rappresentati dal loro premier.

Si capisce perché, con questa carica di moralismo dalle sfumature fondamentaliste, Famiglia Cristiana sia da tempo in crisi di gradimento tra lo stesso popolo cattolico, il quale non ne può più di una rivista che non soltanto ha ridotto il cristianesimo a un codice di buona condotta, a quello che il cardinal Ratzinger definiva come «un seguito di leggi morali», ma che spesso si è anche trasformata in uno spazio di propaganda politica a senso unico, con giudizi molte volte ripresi pedissequamente dalla vulgata dominante, senza alcun doveroso vaglio critico. Così è stato anche stavolta, perché i due citati editoriali del prossimo numero mutuano senza filtri quanto scritto dal solito giornale antiberlusconiano e lo trattano come oro colato, come se fosse la bocca della verità, finendo - seppur involontariamente - con l'alimentare quello stesso gossip che, secondo i Paolini, «sta inquinando ogni cosa». Anche la redazione di Famiglia Cristiana.


Gianteo Bordero

domenica 24 maggio 2009

LA MEMORIA CORTA DEL PD

da Ragionpolitica.it del 24 maggio 2009

Una (discutibile) regola non scritta della politica è quella secondo cui in campagna elettorale tutto è permesso. Virulenti attacchi contra personam, intrusioni nella vita privata dei candidati, rivelazioni piccanti su questo o quell'aspirante parlamentare o sindaco, e via degradando... Ma ad essere violato, spesso, non è soltanto il sacro confine della privacy, ma anche e soprattutto l'altrettanto sacro confine della verità. Verità storica e verità politica. Prendiamo la campagna elettorale - se così si può definire - condotta dai dirigenti del Partito Democratico in vista della prossima consultazione del 6 e 7 giugno. Smaniosi di attaccare Berlusconi su tutto, finiscono non tanto col diventare ripetitivi, noiosi e prevedibili nelle loro quotidiane dichiarazioni, quanto col fare letteralmente a pezzi ciò che essi stessi hanno detto, scritto e solennemente ribadito fino a poco tempo fa.

Si consideri, ad esempio, il capitolo giustizia. Oggi che, con un timing perfetto, la procura milanese ha reso note le motivazioni della sentenza Mills, dalle parti del Pd è tutto un mulinare di parole contro il presidente del Consiglio e in difesa dei magistrati a 360 gradi. Ma come dimenticare che fino a pochi mesi fa, quando ad essere nel mirino dei pm erano presidenti di Regione, sindaci e amministratori locali democrats, improvvisamente dai vertici del partito giunsero non soltanto aperte critiche all'operato delle toghe, ma anche la disponibilità a discutere, senza il paraocchi del solito antiberlusconismo forcaiolo, di riforma della giustizia. Insomma: quando i magistrati colpiscono il nemico, viva i magistrati; quando i magistrati colpiscono l'amico, abbasso i magistrati. Memoria corta e la vecchia, cara doppiezza di comunista memoria.

Ma il culmine della smemoratezza i capi del Partito Democratico lo hanno raggiunto giovedì, dopo le dichiarazioni del premier all'assemblea di Confindustria in merito alla riduzione del numero dei parlamentari e alla necessità di snellire le procedure decisionali e di dotare di maggiori poteri l'esecutivo. Cose che Berlusconi ha già detto e ridetto molte volte, in questi ultimi mesi. Ma oggi, nel pieno della campagna elettorale, è diverso: bisogna raccogliere qualche voto in più, e per farlo è necessario distorcere e drammatizzare ogni parola che esce dalla bocca del presidente del Consiglio. Così si può dire agli italiani, come ha fatto ieri Franceschini, che quello del 6 e 7 giugno «è anche un voto per la democrazia», cioè per difendere la democrazia dalla minaccia rappresentata dalla volontà del Cavaliere di sfoltire il numero di deputati e senatori e dare più forza al governo. Così, ancora, si può inviare una missiva ai capigruppo di Idv e Udc per una risposta comune di fronte alla «reiterata manifestazione di ostilità e disprezzo verso le prerogative del parlamento» da parte del premier.

Democrazia in pericolo, dunque. Ostilità e disprezzo per il parlamento. Peccato soltanto che le stesse proposte avanzate da Berlusconi facciano capolino non nello statuto di qualche neonato partito fascista, bensì nel programma elettorale del Partito Democratico, anno 2008. Punto 11, dedicato alla «democrazia governante»: «La democrazia governante richiede anzitutto il pieno esercizio della sovranità popolare. E' inaccettabile ritenere gli elettori italiani, solo sul piano nazionale, dei minorenni incapaci di scelte chiare e dirette. Per questo appare necessaria la scelta diretta di soli 470 deputati... Il Senato rinnovato di 100 membri scelti dalle autonomie regionali e locali è la sede della collaborazione tra lo Stato e tali autonomie». E ancora: «Quanto alla forma di governo, si tratta di verificare quale tra i modelli delle grandi democrazie contemporanee possa incontrare il maggiore consenso. In ogni caso, qualora si convenisse di muoversi nel solco dell'attuale assetto parlamentare, il presidente del Consiglio, nominato dal capo dello Stato sulla base dei risultati della Camera, dovrebbe ricevere da solo la fiducia esclusivamente dalla Camera, dovrebbe poter richiedere al capo dello Stato la revoca dei ministri; e i disegni di legge approvati dal governo dovrebbero essere votati entro una data certa, comunque non oltre due mesi». Per non dire che la famosa «bozza Violante», così cara al Pd, assegnava al premier anche il potere di nomina e revoca dei ministri.

E' chiaro che se le proposte di riforma istituzionale di Berlusconi sono, come sembrano lasciar intendere i dirigenti del Partito Democratico in questi giorni, l'anticamera del ritorno del fascismo nel nostro paese, allora una bella camicia nera va assegnata anche a chi proposte simili le ha messe nere su bianco nel suo programma elettorale e le ha più volte ribadite fino all'altro ieri. La verità è che il Pd sa che quelle dette dal presidente del Consiglio sono cose di buon senso, necessarie al buon funzionamento dello Stato. Il problema è che, in mancanza di argomenti e progetti alternativi, ad urne «calde» e a sondaggi «freddi» può fare cilecca anche la memoria. Quella dei dirigenti del Pd, non quella degli italiani.

Gianteo Bordero

giovedì 21 maggio 2009

DI PIETRO IL CANNIBALE

da Ragionpolitica.it del 21 maggio 2009

Per quanto paradossale possa apparire, a pagare il dazio politico più pesante dopo la sentenza Mills e a rischiare un significativo calo dei consensi in vista delle prossime elezioni del 6 e 7 giugno non sono il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il Popolo della Libertà, bensì il Partito Democratico. Come faceva notare martedì sera a Ballarò il sondaggista Nando Pagnoncelli, una sentenza come quella emessa dai giudici milanesi non produce spostamento di voti da uno schieramento all'altro, ma ha soltanto l'effetto di radicalizzare ancor di più lo scontro attorno alla figura del Cavaliere. Ergo: se travaso di consensi vi sarà, esso avverrà all'interno dello schieramento di opposizione. E va da sé che avrà la meglio chi urlerà più forte contro il capo del governo, soddisfacendo l'atavico e mai domo antiberlusconismo che ancora alberga in larga parte della sinistra italiana.

Ci vuole poco per capire chi uscirà vincitore da questa battaglia per spartirsi i voti destinati a quel che resta della gauche italiana: colui che dall'inizio della legislatura si è presentato come l'unico in grado di fare vera opposizione al Caimano; come l'unico che non avrebbe ceduto alle lusinghe della «nuova stagione» veltroniana del dialogo e non si sarebbe sporcato le mani (pulite) cercando accordi con il nemico sui grandi temi della politica nazionale; come colui che non avrebbe messo nel cassetto la lotta alla Casta, la retorica grillante, la guerra ai privilegi; come l'unico che avrebbe resistito, senza se e senza ma, di fronte all'incedere del nuovo regime.

Antonio Di Pietro queste cose le disse in modo chiaro già nel suo primo discorso alla Camera dei deputati in occasione del dibattito sulla fiducia al Berlusconi IV, e non c'è dunque da stupirsi se oggi le riafferma in maniera se possibile ancor più radicale di fronte alla sentenza Mills, che è per lui come la famosa trippa per gatti o come il sangue per il conte Dracula. Quello che semmai deve, più che stupire, preoccupare, è la totale incapacità degli altri partiti di opposizione - Partito Democratico in primis - di assumere, di fronte a casi come quello in oggetto, un atteggiamento ben distinto e distante da quello forcaiolo, giustizialista e giacobino del leader dell'Italia dei Valori. Un'incapacità che è tutta nelle parole del segretario del Pd, Dario Franceschini, che prova nella sostanza a scimmiottare Di Pietro, ma non ci riesce fino in fondo, perché se l'Idv ha subito chiesto con voce ferma e tonante, dopo la sentenza, le dimissioni immediate del premier, i Democratici si sono limitati più timidamente a sollecitare la rinuncia, da parte dello stesso, allo scudo protettivo del lodo Alfano. Insomma, nella gara a chi è più antiberlusconiano, Tonino è destinato ad avere sempre la meglio nei confronti di un Pd ondivago, tentennante e indeciso sulla strategia di opposizione da adottare nei confronti del governo. Segno che la questione del rapporto con Berlusconi non ha ancora avuto risposta chiara da parte dei Democratici.

Così, nel vuoto politico a sinistra,il capo dell'Idv si trova dinanzi nuove terre di conquista, e può dichiarare con piglio da condottiero, di fronte a microfoni e telecamere, che ormai l'unica sinistra è lui; può presentarsi come la vera alternativa al Cavaliere ed evocare la nascita di un inedito bipolarismo Berlusconi-Di Pietro. Quello dell'ex pm è il tipico atteggiamento del cannibale, e lascia sbalorditi il fatto che le vittime predestinate facciano finta di niente o cerchino persino di mostrarsi condiscendenti con gli appetiti del loro carnefice, facilitandogli così il lavoro. Nessun accenno di rivolta, nessun tentativo di arginare lo strapotere di Tonino. I dirigenti del Partito Democratico dimenticano persino che le parole e i toni oggi usati dal leader Idv nei confronti di Berlusconi sono gli stessi che egli usò per molti mesi, sul finire del 2008, nei confronti di quegli amministratori locali del Pd finiti nel mirino dei magistrati. La ghigliottina che oggi Di Pietro vorrebbe azionare contro il presidente del Consiglio è la stessa che egli avrebbe volentieri azionato, sino a ieri, contro sindaci ed assessori democratici caduti nella rete delle inchieste giudiziarie. Ma mentre il premier tiene duro e ribatte colpo su colpo tanto ai magistrati politicizzati quanto al loro mentore Di Pietro, il Partito Democratico collabora volentieri all'opera e porge docile la testa al boia.

Di Pietro ha riscosso molto successo alla Fiera del Libro di Torino, assieme al suo ideologo Marco Travaglio, e tanti intellettuali della sinistra storica italiana hanno dichiarato di voler combattere al suo fianco la battaglia dell'antiberlusconismo. Abbandonato anche dall'intellighenzia dopo essere stato abbandonato dal popolo, il Partito Democratico sembra ormai totalmente passivo di fronte agli eventi, li subisce, incapace di esprimere quel coraggio e quell'ardore politico che fanno grandi i partiti, non solo dal punto di vista numerico. La vera vittima della sentenza Mills, in fondo, rischia di essere proprio il Pd.


Gianteo Bordero

martedì 19 maggio 2009

L'IMPORTANZA DEL VOTO AMMINISTRATIVO DEL 6 E 7 GIUGNO

da Ragionpolitica.it del 19 maggio 2009

L'attenzione delle pagine politiche dei giornali nazionali sembra incentrarsi quasi esclusivamente, in questi ultimi giorni, sulle previsioni di voto in vista delle europee del 6 e 7 giugno prossimi. Esse rappresentano certamente un banco di prova importante per misurare la temperatura politica del paese a un anno dalle elezioni dell'aprile 2008. In particolare, si attende dalle urne un responso circa la crescita - finora certificata dai sondaggi - dei partiti che compongono la maggioranza di governo (il Popolo della Libertà e la Lega Nord); circa la quantificazione del calo dei consensi per il Partito Democratico rispetto al voto delle politiche; circa l'eventuale ridefinizione dei rapporti di forza all'interno degli schieramenti. In questo senso, le ultime rilevazioni del «Termometro politico» registrano un Pdl che naviga attorno al 40% (+2,5% rispetto allo scorso anno), una Lega al 9,5% (+1,3%), mentre il Pd si attesta sul 26,5% (-6,5%) e l'Italia dei Valori sul 6,6% (+2,3%).

Minore attenzione è invece riservata al voto amministrativo che avrà luogo negli stessi giorni della consultazione europea. Andranno alle urne i cittadini di ben 4.200 Comuni, di cui 216 con popolazione superiore ai 15 mila abitanti (tra questi vi sono 27 capoluoghi di Provincia) e di 64 Province. Tra le città che si recheranno al voto vi sono Bologna, Firenze, Modena, Bari, Padova, Perugia, Cremona, Vercelli, Reggio Emilia, Livorno, Prato, Campobasso, Potenza, Ascoli Piceno, solo per citare le più importanti. Tra le Province: Milano, Torino, Napoli, Bologna, Firenze, Venezia, Padova, Verona, Pescara, Perugia, Brescia. E' evidente che i risultati in queste realtà potrebbero ridisegnare nel profondo la mappa del potere locale in Italia, spostando, in diverse zone del paese, il pendolo da sinistra a destra e consegnando nelle mani dell'alleanza Pdl-Lega, saldamente al comando sul piano del governo nazionale, le chiavi anche di buona parte dei governi territoriali.

Basti pensare, ad esempio, che tra le 64 amministrazioni provinciali da rinnovare ben 50 sono oggi guidate dal centrosinistra e che, come ricordava qualche settimana fa sul Corriere della Sera Paolo Franchi citando un'analisi condotta dal responsabile enti locali del Pd, Paolo Fontanelli, «se gli elettori si comportassero come nelle politiche sarebbe un disastro... Della cinquantina di amministrazioni provinciali attuali, al Pd ne resterebbero 15». Fermo restando che le logiche che presiedono al voto locale spesso non coincidono con quelle del voto nazionale, poiché nel primo caso entrano in gioco fattori che esulano dai grandi temi di interesse generale attorno ai quali ruotano le campagne elettorali per le politiche, è comunque chiaro che quello amministrativo del 6 e 7 giugno prossimi sarà un appuntamento che potrebbe segnare un ulteriore passo in avanti nel processo politico iniziato il 13 e 14 aprile 2008.

In sostanza, una buona performance del centrodestra e un corrispondente arretramento del centrosinistra proprio su quello che da sempre è un suo terreno di conquista - le amministrazioni locali - significherebbe che la crescita dell'alleanza Popolo della Libertà-Lega Nord non rappresenta più, come molti hanno detto e scritto dopo la vittoria dello scorso anno, una folata occasionale di «vento di destra» che spira su una nazione in preda alle paure e all'incertezza, ma è il frutto di un robusto e profondo processo politico in atto in Italia, da nord a sud. Un processo di radicamento sostanziale (e non solo strutturale) del centrodestra nella cosiddetta «pancia del paese» e di contestuale disgregazione della sinistra, divenuta minoranza non soltanto nei numeri, ma anche nello stesso linguaggio e nella stessa cultura politica prevalente.

E' quasi inutile sottolineare che si tratta, per i partiti che compongono l'attuale maggioranza di governo, di una sfida epocale: ad essere in ballo non vi è soltanto, infatti, l'elezione dei sindaci e dei presidenti provinciali, e quindi l'insediamento in spazi di potere prima inesplorati, ma anche e soprattutto la possibilità di consolidare una svolta di sistema impensabile fino a 2 anni fa. Nel 2004 le elezioni amministrative segnarono l'inizio del declino della maggioranza berlusconiana; oggi possono segnare il rafforzamento della sua egemonia politica nel paese.

Gianteo Bordero

venerdì 15 maggio 2009

DA BAGET BOZZO A DON GIANNI

da Ragionpolitica.it del 15 maggio 2009

Negli ultimi anni della sua vita don Gianni ha guardato il mondo dalle grandi finestre del salone della sua casa genovese di via Corsica, sulla collina di Carignano. Lo ha guardato attraverso i giornali, le riviste, i libri che egli quotidianamente divorava. Attraverso i tg che ogni giorno puntualmente seguiva, alle 13 e alle 19. Lo ha guardato, ancora, attraverso le parole e i racconti delle tante persone che venivano a fargli visita o che lo contattavano telefonicamente per confrontarsi con lui, e che sempre da lui ottenevano un consiglio, una dritta, un'indicazione di marcia. E, soprattutto, lo ha guardato attraverso gli occhi dei giovani collaboratori di Ragionpolitica.it, con cui egli aveva spesso incontri diretti o colloqui telefonici, che iniziavano con un'analisi del tema trattato nell'articolo inviato alla redazione e che molte volte finivano con un più intimo dialogo personale.

Così è stato anche per me, nei primi giorni di aprile del 2003. Avevo conosciuto da poco, grazie a un comune amico, Alessandro Gianmoena. Era il periodo in cui egli stava organizzando il passaggio di Ragionpolitica.it da semplice sito internet a vero e proprio settimanale on line. Per capire meglio chi ero, mi propose di scrivere un articolo nella materia in cui mi ero laureato, cioè la filosofia. Quando, la settimana successiva, tornai in via Corsica con il mio pezzo dedicato al nichilismo e al suo influsso sulla mentalità contemporanea, Alessandro dopo pochi minuti mi introdusse nel grande salone dove, seduto sulla sua poltrona e immerso nella lettura di qualche rivista di teologia, stava don Gianni, che mi accolse e mi fece sedere sulla poltrona blu a fianco alla sua.

Fino ad allora, per me Baget Bozzo era stato lo strano cognome del mio commentatore preferito, che leggevo avidamente su Il Giornale sin dagli ultimi anni delle scuole superiori. Mi piaceva perché non era mai banale, perché in ogni suo articolo riusciva ad intrecciare politica, storia, teologia, per poi distillare un giudizio che toccava sempre il fondo delle questioni. Inoltre, per me che frequentavo allora una parrocchia di marcato orientamento progressista, leggere Baget Bozzo mi forniva ogni volta qualche buon argomento da spendere nelle dispute che di solito prendevano campo sul sagrato dopo la Messa domenicale.

C'è stato però un momento, precedente all'incontro in via Corsica nell'aprile del 2003, in cui era in qualche modo già avvenuto, dentro di me, il passaggio dal Baget Bozzo editorialista al don Gianni amico e guida discreta ma insostituibile nelle cose dell'anima. Ero uscito letteralmente a pezzi da una storia con una ragazza. Ero immerso nel dolore e nello sconforto, mi sembrava di aver perso tutto e di incamminarmi per un sentiero buio, di cui non conoscevo la meta. Mi pareva che tutto il bene sperimentato con lei fosse ora cancellato, spazzato via da un'onda di male e di non senso. In queste condizioni, venni ospitato per qualche giorno, nella sua canonica, da un amico sacerdote. Egli mi mostrò la sua piccola biblioteca e mi disse di leggere quello che volevo. Vidi questo titolo: L'Anticristo. Credevo fosse un saggio di Nietzsche, che in quel periodo era diventato per me una sorta di nuova Bibbia, di profeta in cui annegare le mie delusioni e la mia amarezza. Invece era Baget Bozzo. E parlava della potenza del Demonio e di Satana che entra nella Chiesa attraverso le fessure del Concilio. Non era propriamente quello che cercavo. Ma trovare, al posto del precipizio nichilista di Nietzsche, pagine da cui emergevano l'amore per Dio e un monito contro il male - e non una resa di fronte ad esso -, fu per me l'inizio di un percorso che mi avrebbe portato, tra mille fatiche, dolori e contraddizioni, a riavere in dono l'amore per la vita e la fede. Fu allora, forse, che Baget Bozzo divenne per me don Gianni, o, più semplicemente, Gianni.

Oggi, guardandomi indietro, rileggo questi accadimenti sotto una luce nuova, e osservando gli ultimi sei anni della mia vita, e la vicinanza quotidiana con lui, capisco quanto la sua presenza sia stata per me non soltanto importante dal punto di vista del mestiere, ma anche decisiva per le scelte grandi che ho dovuto compiere, su tutte quella di un nuovo fidanzamento e poi del matrimonio. Ricordo le sue parole, i suoi sguardi, e forse anche la sua gioia nel vedermi felice dopo l'inizio della nuova relazione. Ho davanti a me, mentre scrivo, la lettera che mi spedì lo scorso anno il giorno prima delle nozze. E posso dire con certezza che mai nessuno mi ha guardato così nel profondo come ha fatto lui sin dal nostro primo incontro, quel pomeriggio d'aprile, in quel salone pieno di luce.


Gianteo Bordero

venerdì 8 maggio 2009

L’AMICO PIÙ GRANDE

da Ragionpolitica.it dell'8 maggio 2009

Don Gianni ci ha lasciati questa notte, e, come direbbe lui, «è andato al piano di sopra». Perdiamo non soltanto il nostro direttore responsabile, ma anche e soprattutto un amico, che ci ha guidati ogni giorno con la sua discrezione e il suo amore per la libertà. La sua disponibilità all'ascolto, la sua schiettezza, la sua dedizione e la sua passione per la realtà della Chiesa e della politica, la sua curiosità quotidiana per i fatti dell'Italia e del mondo e la capacità di interpretarli secondo uno sguardo profondo e profetico ci mancheranno, come mancheranno a tutti coloro che gli hanno voluto bene, che lo hanno seguito ed hanno avuto la grazia di poter percorrere accanto a lui un tratto del cammino di vita. Un grazie di cuore, Don Gianni, per tutto quello che ci hai dato e che sarà per noi il bagaglio con cui continueremo il nostro percorso e con cui affronteremo il nostro futuro. Dopo il lungo viaggio nella patria terrena, che tu hai amato tanto, sei ora nella patria celeste, che hai amato e ami ancora di più.

Alessandro Gianmoena
Gianteo Bordero
Aurora Franceschelli
e tutti i collaboratori di Ragionpolitica.it

giovedì 7 maggio 2009

IL FONDO DEL BARILE

da Ragionpolitica.it del 7 maggio 2009

Priva di solidi argomenti con cui presentarsi agli italiani in vista della tornata elettorale del prossimo 6 giugno, a secco di qualsiasi proposta politica degna di tal nome da sottoporre all'attenzione dei cittadini, la sinistra (Partito Democratico in primis) sceglie di andare a grattare il fondo del barile per riuscire a sopravvivere al responso delle urne, che si prevede funesto. Così si rifugia nel solito, trito e ritrito, bolso e scontato antiberlusconismo, stavolta ammantato di rosa dalla vicenda del divorzio da Veronica Lario, dalla polemica sulle veline alla corte di Silvio, su Noemi la diciottenne che chiama «papi» il presidente del Consiglio, sulle avvenenti candidate presenti nelle liste del Popolo della Libertà e via gossippando.

La sinistra italiana, un tempo sacra custode della cultura politica, luogo per eccellenza dell'elaborazione del pensiero politico, insomma vera nutrice della Politica con la maiuscola, si ritrova oggi a un tale punto di crisi da aggrapparsi alle sventure famigliari del premier e al chiacchiericcio sulle sue passioni amorose per raccattare qualche voto in più. Se la misura dello stato di consunzione politica e culturale della gauche nostrana è direttamente proporzionale allo spazio dato dai suoi dirigenti, dai suoi giornali di riferimento, dai suoi blog al caso Lario e a tutto il contorno di falsi scoop, maldicenze e morbosità varie, allora veramente si possono usare le parole di Eliot per descrivere la condizione in cui la sinistra versa: deserto e vuoto.

Walter Veltroni, che oggi quasi rimpiangiamo avendo sotto gli occhi la mediocrità politica del suo successore, aveva provato a dare una sterzata alle sfiancate truppe post-comuniste e post-democristiane di sinistra, incamminate diritte sulla strada del baratro assieme a Romano Prodi e al suo antiberlusconismo di stampo dossettiano. Purtroppo non ci è riuscito. Troppo forte il richiamo della foresta. E troppo faticoso riconoscere quindici anni di errata e fallimentare interpretazione del fenomeno Berlusconi. Così oggi, messi nel cassetto il progetto del Lingotto, la fine della guerra civile contro il Cavaliere, l'abbandono dell'odio anti-Silvio come unico criterio per formare le alleanze, la creazione di un partito autenticamente riformista e moderno, la sinistra ritorna al passato, e al passato più becero, stavolta in nome di una presunta difesa della morale sessuale dagli attacchi berlusconiani, una difesa che si commenta da sola se soltanto si pensa che tra i suoi promotori ci sono i paladini del Sessantotto, del libero amore, della libertà sessuale, del divorzio, ecc...

Siamo veramente all'ipocrisia più sfacciata, con Dario Franceschini - lo stesso che si fece promotore di una lettera di parlamentari cattolici del Pd contro la presidenza della Cei che si era espressa contro il progetto di legge sulle unioni di fatto ai tempi del governo Prodi - che va a Ballarò e fa la morale al presidente del Consiglio in nome della vecchia teoria di don Giuseppe Dossetti, che primo fra tutti additò Berlusconi come il fautore della distruzione dei costumi e dell'etica attraverso la televisione commerciale, aprendo così la strada al giudizio di delegittimazione pre-politica e teologica del Cavaliere che ha accompagnato per tanti anni, ed evidentemente accompagna tuttora, il percorso della sinistra italiana. Scrive, ad esempio, Michele Serra su La Repubblica del 7 maggio: «L'ostilità politica è certamente un ingrediente del cosiddetto "antiberlusconismo"... Ma il suo ingrediente costitutivo non è politico, è civile ed etico. È il sentimento di umiliazione per i modi e i toni, per il servilismo della claque, per il codazzo di girls, per l'ostentazione di denaro e di potere, per lo stile greve, i regali indecorosi, il dileggio al quale si è sottoposti, come italiani, appena fuori dai confini».

E' con questo moralismo peloso, che fa il paio con il giustizialismo giacobino di Antonio Di Pietro, che il Partito Democratico tenta di mascherare la sua totale inconsistenza politica, la mancanza di un progetto e di un programma, e pensa di poter strappare a Berlusconi una fetta di consensi, riportando a casa tanti suoi elettori delusi e oggi schierati al fianco del premier e dei partiti che lo sostengono. Mentre il centrodestra ha scelto di impostare la campagna elettorale sulle realizzazioni del governo e di chiedere la fiducia ai cittadini sulla base della sua azione politica, il centrosinistra, non sapendo che cosa dire e che cosa concretamente proporre agli italiani, si è aggrappato a quella che gli è apparsa come un'imprevista ancora di salvezza. Ma non è detto che quest'ancora non si possa trasformare nella zavorra che spinge definitivamente a fondo un'imbarcazione con troppe falle interne e ormai priva di rotta.


Gianteo Bordero

martedì 5 maggio 2009

TENTAZIONE SINISTRA

da Ragionpolitica.it del 5 maggio 2009

E' probabile che, in cuor loro, i dirigenti del Partito Democratico e buona parte dell'intellighenzia di sinistra sperino che la vicenda Lario-Berlusconi noccia al presidente del Consiglio in termini di gradimento e di consenso popolare in vista delle elezioni del prossimo giugno. Basta scorrere le home page dei siti internet dei principali quotidiani nazionali e osservare i modi in cui è stato dato risalto alla notizia per rendersi conto che è ben viva la tentazione di trasformare le questioni familiari del premier in questioni politiche, capaci di incidere sull'immagine dell'uomo pubblico in modo tale da incrinarne la credibilità, l'affidabilità, l'autorevolezza. In un periodo nel quale l'appeal del capo del governo viaggia su percentuali da capogiro, a molti non sembra vero di poter disporre di un'arma - seppur impropria - per colpire il Cavaliere nel bel mezzo della campagna elettorale. L'occasione, come si suol dire, fa l'uomo ladro. Peccato che, almeno stando ai primi commenti dei maggiori esperti di sondaggi, l'operazione sembra destinata a non andare in porto. Renato Mannheimer, ad esempio, su Corriere.it dichiara che «la vicenda non sposta voti».

Resta da chiedersi, però, il perché di una presentazione mediatica di questa vicenda che, se da un lato è comprensibile tenendo conto dell'incarico pubblico ricoperto dal Cavaliere, dall'altro fuoriesce dal campo specifico della politica e va a intrecciarsi in modo radicale con la questione della rappresentazione dell'uomo Berlusconi in sé e di tutto ciò che, in questi ultimi quindici anni, è stato a lui collegato. Nella sua sostanza, tale rappresentazione ha puntato, il più delle volte, a dipingere il leader del centrodestra come simbolo di tutto quanto poteva essere marchiato con l'etichetta dell'immoralità, della rilassatezza etica, della mollezza dei costumi, del disvalore elevato a regola, del piacere come unico e ultimo fine dell'esercizio del potere. In questo senso, le parole della «signora» affidate all'Ansa qualche giorno fa a proposito delle candidature femminili del Pdl («Qualcuno ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell'imperatore. Condivido. Quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere») sono ben più che lo sfogo di una moglie delusa, ma rappresentano de facto una perfetta sintesi dell'iconografia anti-berlusconiana elaborata dalla cultura di sinistra negli ultimi tre lustri.

Le veline, le show-girl, le concorrenti del Grande Fratello, le annunciatrici, le bellezze dalle forme perfette e dalle sinuosità conturbanti, le ragazze avvenenti del piccolo schermo diventano per ciò stesso il simbolo del «berlusconismo», inteso come fenomeno di costume prima ancora che come fatto politico, pensato cioè come deviazione dalla morale consolidata, come corruzione del senso del pudore, come degrado della qualità civile del paese. In sostanza: come specchio di un'Italietta da avanspettacolo, da barzelletta osé, da sguaiato filmetto trash. Il «berlusconismo», dunque, come nuova egemonia culturale e come nuova «autobiografia della nazione», come auto-raffigurazione di una società che cede alle lusinghe della televisione commerciale e manda il cervello all'ammasso alla vista del corpo intrigante della miss di turno. Quello che rimane, in questa lettura del «berlusconismo», è l'immagine di un nichilismo del potere che fa leva sugli appetiti sensibili per alimentare il suo consenso. Insomma, il potere come nuda carne, senza spirito, senza valori, senza etica alcuna. Il potere come «divertimento dell'imperatore».

Per questo, agli occhi di certi mezzi di informazione e di certa sinistra, la vicenda privata della rottura tra Veronica Lario e Silvio Berlusconi (e soprattutto le dichiarazioni della prima per motivare il divorzio dal secondo) può trasformarsi nell'occasione d'oro per ridire in forma di cronaca rosa e di costume quello che non può più essere detto politicamente: la diversità morale, anzi la superiorità morale di quella parte d'Italia che non si piega all'immoralità del potere dominante, che cerca di porre un argine alla trasformazione del paese in un set da reality show, che prova ad alzare il tenore del dibattito pubblico salvaguardando le regole e i principi del vivere civile. Se il Partito Democratico e la sinistra trovassero il coraggio di dire queste cose e in questi termini nel corso della campagna elettorale, probabilmente riuscirebbero a riportare alle urne una parte dei loro simpatizzanti svogliati e annoiati da un'opposizione opaca e senza spunti di una qualche originalità ed efficacia. Se invece sorvoleranno, adducendo i più svariati motivi, non sarà di certo per rispetto nei confronti del Cavaliere e della sua vita privata, ma perché, in fondo, a questa lettura del berlusconismo - e dell'Italia - non credono più neanche loro.

Gianteo Bordero

venerdì 1 maggio 2009

FATTI E PREGHIERE

da Ragionpolitica.it del 1° maggio 2009

Su Facebook, nei giorni scorsi, sono comparsi tre gruppi di discussione intitolati «Meno preghiere, più fatti». In essi è contenuto un invito rivolto al Papa e alla Chiesa affinché, di fronte al dramma abruzzese, aiutino «concretamente» - come usa dire - le popolazioni colpite dal sisma invece che elevare orazioni a Dio. Evidentemente, gli animatori del gruppo sono nella più totale disinformazione e si divertono a creare pagine web quanto meno inopportune di fronte ai tragici fatti accaduti all'Aquila e dintorni. Non sanno, ad esempio, che sin dal 6 aprile la Chiesa si è attivata in molti modi e forme per fornire in maniera e immediata e - ripetiamolo - «concretamente» aiuti di ogni genere ai terremotati. Non si sono mobilitate soltanto le associazioni di volontariato, i gruppi e le organizzazioni di assistenza presenti nel variegato «mondo cattolico», ma gli stessi vertici ecclesiali. La Conferenza Episcopale italiana, tanto per fare un esempio, attraverso la sua presidenza ha messo a disposizione un fondo di 3 milioni di euro a cui se ne sono aggiunti in seguito altri 2; ha indetto una colletta nazionale il 19 aprile in tutte le parrocchie della Penisola; ha previsto che altri danari possano giungere dall'otto per mille. Altro esempio: il Papa ha inviato l'11 aprile una somma di denaro che si dice essere stata cospicua. Se a ciò si aggiunge l'impegno della Caritas in termini sia economici che di presenza sul terreno, il quadro che ne esce dimostra l'esatto contrario di quanto sostenuto dai malpensanti di turno.

I quali sbagliano anche su un altro punto e dimostrano così che quello che a loro sta a cuore non sono gli aiuti, i soccorsi e i «fatti concreti», né tanto meno gli uomini e le donne abruzzesi in carne ed ossa, bensì le solite stupide polemiche contro la Chiesa opulenta, contro la gerarchia che vive nell'oro e abbandona nella miseria i poveri, i deboli e i disagiati. Pur di dire male del Papa e dei vescovi, insomma, finiscono col non comprendere più nulla di quanto è accaduto e sta accadendo all'Aquila e nelle sue vicinanze. Finiscono, cioè, col non vedere che, oltre al sostegno materiale, chi è sopravvissuto al sisma ha un terribile bisogno anche di un cibo che, pur non sfamando la bocca, può però ristorare il cuore. Un cibo il cui nome è risuonato sulle labbra di tanti durante la visita di Benedetto XVI a Onna e all'Aquila: «Speranza». Lo hanno detti in molti, intervistati da tv e radio dopo il ritorno a Roma del pontefice: «Il Papa ci ha portato la speranza». E lo hanno detto con un filo di sorriso commosso negli occhi, perché oltre alle tende, al letto, all'acqua, c'è bisogno di qualcosa che ne faccia apprezzare il valore. Qualcosa che dia la forza per guardare a se stessi, al presente e al futuro non come ad un cumulo di macerie. Qualcosa che, penetrando nelle profondità del dramma e del dolore, faccia sgorgare dall'anima, dall'uomo interiore, la forza per riprendere il cammino e non arrendersi di fronte all'apparente vittoria della distruzione e della morte.

«Venendo qui - ha detto Benedetto XVI parlando nella tendopoli di Onna - posso immaginare tutta la tristezza e la sofferenza che avete sopportato queste settimane... Si potrebbe dire, cari amici, che vi trovate, in un certo modo, nello stato d'animo dei due discepoli di Emmaus. Dopo l'evento tragico della croce, rientravano a casa delusi e amareggiati, per la "fine" di Gesù. Sembrava che non ci fosse più speranza, che Dio fosse nascosto e non fosse più presente nel mondo. Ma, lungo la strada, Egli si accostò e si mise a conversare con loro. Anche se non lo riconobbero con gli occhi, qualcosa si risvegliò nei loro cuori: le parole di quello "Sconosciuto" riaccesero in loro quell'ardore e quella fiducia che l'esperienza del Calvario aveva spento». E ha proseguito: «Ecco, cari amici: la mia povera presenza tra voi vuole essere un segno tangibile del fatto che il Signore crocifisso vive; che è con noi, che è realmente risorto e non ci dimentica, e non vi abbandona; non lascerà inascoltate le vostre domande circa il futuro, non è sordo al grido preoccupato di tante famiglie che hanno perso tutto: case, risparmi, lavoro e a volte anche vite umane. Certo, la sua risposta concreta passa attraverso la nostra solidarietà, che non può limitarsi all'emergenza iniziale, ma deve diventare un progetto stabile e concreto nel tempo. Incoraggio tutti, istituzioni e imprese, affinché questa città e questa terra risorgano».

Così il Papa ha mirabilmente unito, nel suo breve, semplice ma toccante discorso di Onna, il significato dell'aiuto materiale e l'annuncio di una speranza che non muore neppure quando tutto sembrerebbe dimostrare il contrario: la solidarietà è essa stesso il primo segno di una positività di sguardo, della volontà di non fermarsi, dell'apertura fiduciosa al futuro. E la parola finale, «resurrezione», può in questo modo essere pronunciata da Benedetto sia in riferimento alle ferite materiali della terra che a quelle spirituali degli uomini, lasciando intendere che, quanto più i due aspetti procederanno uniti, tanto più dalla ricostruzione sorgerà uno spazio esemplare di umanità. La riedificazione di case «belle e solide» come segno della vittoria della speranza.


Gianteo Bordero