da Ragionpolitica.it del 5 maggio 2009
E' probabile che, in cuor loro, i dirigenti del Partito Democratico e buona parte dell'intellighenzia di sinistra sperino che la vicenda Lario-Berlusconi noccia al presidente del Consiglio in termini di gradimento e di consenso popolare in vista delle elezioni del prossimo giugno. Basta scorrere le home page dei siti internet dei principali quotidiani nazionali e osservare i modi in cui è stato dato risalto alla notizia per rendersi conto che è ben viva la tentazione di trasformare le questioni familiari del premier in questioni politiche, capaci di incidere sull'immagine dell'uomo pubblico in modo tale da incrinarne la credibilità, l'affidabilità, l'autorevolezza. In un periodo nel quale l'appeal del capo del governo viaggia su percentuali da capogiro, a molti non sembra vero di poter disporre di un'arma - seppur impropria - per colpire il Cavaliere nel bel mezzo della campagna elettorale. L'occasione, come si suol dire, fa l'uomo ladro. Peccato che, almeno stando ai primi commenti dei maggiori esperti di sondaggi, l'operazione sembra destinata a non andare in porto. Renato Mannheimer, ad esempio, su Corriere.it dichiara che «la vicenda non sposta voti».
Resta da chiedersi, però, il perché di una presentazione mediatica di questa vicenda che, se da un lato è comprensibile tenendo conto dell'incarico pubblico ricoperto dal Cavaliere, dall'altro fuoriesce dal campo specifico della politica e va a intrecciarsi in modo radicale con la questione della rappresentazione dell'uomo Berlusconi in sé e di tutto ciò che, in questi ultimi quindici anni, è stato a lui collegato. Nella sua sostanza, tale rappresentazione ha puntato, il più delle volte, a dipingere il leader del centrodestra come simbolo di tutto quanto poteva essere marchiato con l'etichetta dell'immoralità, della rilassatezza etica, della mollezza dei costumi, del disvalore elevato a regola, del piacere come unico e ultimo fine dell'esercizio del potere. In questo senso, le parole della «signora» affidate all'Ansa qualche giorno fa a proposito delle candidature femminili del Pdl («Qualcuno ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell'imperatore. Condivido. Quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere») sono ben più che lo sfogo di una moglie delusa, ma rappresentano de facto una perfetta sintesi dell'iconografia anti-berlusconiana elaborata dalla cultura di sinistra negli ultimi tre lustri.
Le veline, le show-girl, le concorrenti del Grande Fratello, le annunciatrici, le bellezze dalle forme perfette e dalle sinuosità conturbanti, le ragazze avvenenti del piccolo schermo diventano per ciò stesso il simbolo del «berlusconismo», inteso come fenomeno di costume prima ancora che come fatto politico, pensato cioè come deviazione dalla morale consolidata, come corruzione del senso del pudore, come degrado della qualità civile del paese. In sostanza: come specchio di un'Italietta da avanspettacolo, da barzelletta osé, da sguaiato filmetto trash. Il «berlusconismo», dunque, come nuova egemonia culturale e come nuova «autobiografia della nazione», come auto-raffigurazione di una società che cede alle lusinghe della televisione commerciale e manda il cervello all'ammasso alla vista del corpo intrigante della miss di turno. Quello che rimane, in questa lettura del «berlusconismo», è l'immagine di un nichilismo del potere che fa leva sugli appetiti sensibili per alimentare il suo consenso. Insomma, il potere come nuda carne, senza spirito, senza valori, senza etica alcuna. Il potere come «divertimento dell'imperatore».
Per questo, agli occhi di certi mezzi di informazione e di certa sinistra, la vicenda privata della rottura tra Veronica Lario e Silvio Berlusconi (e soprattutto le dichiarazioni della prima per motivare il divorzio dal secondo) può trasformarsi nell'occasione d'oro per ridire in forma di cronaca rosa e di costume quello che non può più essere detto politicamente: la diversità morale, anzi la superiorità morale di quella parte d'Italia che non si piega all'immoralità del potere dominante, che cerca di porre un argine alla trasformazione del paese in un set da reality show, che prova ad alzare il tenore del dibattito pubblico salvaguardando le regole e i principi del vivere civile. Se il Partito Democratico e la sinistra trovassero il coraggio di dire queste cose e in questi termini nel corso della campagna elettorale, probabilmente riuscirebbero a riportare alle urne una parte dei loro simpatizzanti svogliati e annoiati da un'opposizione opaca e senza spunti di una qualche originalità ed efficacia. Se invece sorvoleranno, adducendo i più svariati motivi, non sarà di certo per rispetto nei confronti del Cavaliere e della sua vita privata, ma perché, in fondo, a questa lettura del berlusconismo - e dell'Italia - non credono più neanche loro.
Gianteo Bordero
martedì 5 maggio 2009
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