da Ragionpolitica.it del 21 maggio 2009
Per quanto paradossale possa apparire, a pagare il dazio politico più pesante dopo la sentenza Mills e a rischiare un significativo calo dei consensi in vista delle prossime elezioni del 6 e 7 giugno non sono il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il Popolo della Libertà, bensì il Partito Democratico. Come faceva notare martedì sera a Ballarò il sondaggista Nando Pagnoncelli, una sentenza come quella emessa dai giudici milanesi non produce spostamento di voti da uno schieramento all'altro, ma ha soltanto l'effetto di radicalizzare ancor di più lo scontro attorno alla figura del Cavaliere. Ergo: se travaso di consensi vi sarà, esso avverrà all'interno dello schieramento di opposizione. E va da sé che avrà la meglio chi urlerà più forte contro il capo del governo, soddisfacendo l'atavico e mai domo antiberlusconismo che ancora alberga in larga parte della sinistra italiana.
Ci vuole poco per capire chi uscirà vincitore da questa battaglia per spartirsi i voti destinati a quel che resta della gauche italiana: colui che dall'inizio della legislatura si è presentato come l'unico in grado di fare vera opposizione al Caimano; come l'unico che non avrebbe ceduto alle lusinghe della «nuova stagione» veltroniana del dialogo e non si sarebbe sporcato le mani (pulite) cercando accordi con il nemico sui grandi temi della politica nazionale; come colui che non avrebbe messo nel cassetto la lotta alla Casta, la retorica grillante, la guerra ai privilegi; come l'unico che avrebbe resistito, senza se e senza ma, di fronte all'incedere del nuovo regime.
Antonio Di Pietro queste cose le disse in modo chiaro già nel suo primo discorso alla Camera dei deputati in occasione del dibattito sulla fiducia al Berlusconi IV, e non c'è dunque da stupirsi se oggi le riafferma in maniera se possibile ancor più radicale di fronte alla sentenza Mills, che è per lui come la famosa trippa per gatti o come il sangue per il conte Dracula. Quello che semmai deve, più che stupire, preoccupare, è la totale incapacità degli altri partiti di opposizione - Partito Democratico in primis - di assumere, di fronte a casi come quello in oggetto, un atteggiamento ben distinto e distante da quello forcaiolo, giustizialista e giacobino del leader dell'Italia dei Valori. Un'incapacità che è tutta nelle parole del segretario del Pd, Dario Franceschini, che prova nella sostanza a scimmiottare Di Pietro, ma non ci riesce fino in fondo, perché se l'Idv ha subito chiesto con voce ferma e tonante, dopo la sentenza, le dimissioni immediate del premier, i Democratici si sono limitati più timidamente a sollecitare la rinuncia, da parte dello stesso, allo scudo protettivo del lodo Alfano. Insomma, nella gara a chi è più antiberlusconiano, Tonino è destinato ad avere sempre la meglio nei confronti di un Pd ondivago, tentennante e indeciso sulla strategia di opposizione da adottare nei confronti del governo. Segno che la questione del rapporto con Berlusconi non ha ancora avuto risposta chiara da parte dei Democratici.
Così, nel vuoto politico a sinistra,il capo dell'Idv si trova dinanzi nuove terre di conquista, e può dichiarare con piglio da condottiero, di fronte a microfoni e telecamere, che ormai l'unica sinistra è lui; può presentarsi come la vera alternativa al Cavaliere ed evocare la nascita di un inedito bipolarismo Berlusconi-Di Pietro. Quello dell'ex pm è il tipico atteggiamento del cannibale, e lascia sbalorditi il fatto che le vittime predestinate facciano finta di niente o cerchino persino di mostrarsi condiscendenti con gli appetiti del loro carnefice, facilitandogli così il lavoro. Nessun accenno di rivolta, nessun tentativo di arginare lo strapotere di Tonino. I dirigenti del Partito Democratico dimenticano persino che le parole e i toni oggi usati dal leader Idv nei confronti di Berlusconi sono gli stessi che egli usò per molti mesi, sul finire del 2008, nei confronti di quegli amministratori locali del Pd finiti nel mirino dei magistrati. La ghigliottina che oggi Di Pietro vorrebbe azionare contro il presidente del Consiglio è la stessa che egli avrebbe volentieri azionato, sino a ieri, contro sindaci ed assessori democratici caduti nella rete delle inchieste giudiziarie. Ma mentre il premier tiene duro e ribatte colpo su colpo tanto ai magistrati politicizzati quanto al loro mentore Di Pietro, il Partito Democratico collabora volentieri all'opera e porge docile la testa al boia.
Di Pietro ha riscosso molto successo alla Fiera del Libro di Torino, assieme al suo ideologo Marco Travaglio, e tanti intellettuali della sinistra storica italiana hanno dichiarato di voler combattere al suo fianco la battaglia dell'antiberlusconismo. Abbandonato anche dall'intellighenzia dopo essere stato abbandonato dal popolo, il Partito Democratico sembra ormai totalmente passivo di fronte agli eventi, li subisce, incapace di esprimere quel coraggio e quell'ardore politico che fanno grandi i partiti, non solo dal punto di vista numerico. La vera vittima della sentenza Mills, in fondo, rischia di essere proprio il Pd.
Gianteo Bordero
giovedì 21 maggio 2009
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