venerdì 31 ottobre 2008

IL VIZIETTO RIVOLUZIONARIO DEI POST-COMUNISTI

da Ragionpolitica.it del 31 ottobre 2008

Come il lupo perde il pelo ma non il vizio, così la sinistra postcomunista italiana perde consensi ma non il suo istinto primordiale: la rivoluzione contro lo Stato e contro l'ordine costituito. Nonostante tutti gli sforzi di cambiare faccia, di darsi un volto «riformista» presentabile di fronte all'elettorato moderato, la sinistra, appena sente il proverbiale richiamo della foresta che proviene dalle piazze in subbuglio e annusa l'odore acre della rivolta, non riesce a resistere e mette in mostra la sua vera natura, la sua vera identità. Lo abbiamo visto dopo i giorni drammatici del G8 2001, quando gli eredi del Pci si schierarono, di fatto, non dalla parte dello Stato e del carabiniere Mario Placanica, ma dalla parte dei contestatori e dei devastatori. E lo vediamo nuovamente oggi, in occasione degli scontri tra studenti a Piazza Navona.

Da qui il giornale-portavoce della sinistra, La Repubblica, con il suo inviato Curzio Maltese, trasmette su internet una cronaca che qui riportiamo nei suoi passaggi principali: «Ho visto un gruppo non di studenti, di neonazisti, arrivare con un camion pieno di spranghe e di armi. Dopo aver picchiato per strada un paio di ragazzi, sono arrivati qua totalmente non voglio dire scortati, ma ignorati dalla Polizia e hanno incominciato a provocare, ad attaccare e a picchiare degli studenti che erano qui, al grido "Duce, duce". Un gruppo di studenti di Roma 3 e di insegnanti di liceo è andato a protestare col funzionario di Polizia addetto alla sicurezza e questo gli ha detto: "Ma quelli sono di sinistra", poi subito dopo ha smentito, secondo l'usanza, di averlo detto... Mi sembra una cosa molto sospetta, molto negativa... Gli incidenti non vengono dalla manifestazione studentesca: sono stati provocati ad arte, temo... La Polizia ha sistematicamente usato le manganellate con gli studenti senza armi e ignorato gli altri. La scena mi ha ricordato per certi versi i momenti peggiori del G8. Spero non sia una strategia su larga scala».

Eccolo qua, bell'è pronto, il nuovo teorema da cavalcare e propagandare in ogni angolo della Penisola: per gettare fango sul movimento studentesco e per delegittimare la pacifica protesta dei giovani lo Stato manda un gruppo di neo-nazi a picchiare i contestatori sotto l'occhio vigile (e complice) della Polizia. A differenza del G8, qui il lavoro sporco viene dato in appalto a quelli di estrema destra e gli uomini in divisa non si sporcano le mani, ma la sostanza è la stessa: è lo Stato autoritario che reprime con la violenza la rivoluzione, che spegne con l'abuso della forza il raggiante «sol dell'avvenire», che invece di ascoltare le ragioni dei manifestanti usa il manganello per tacitare la contestazione. In sostanza: è ancora una volta il ritorno dello Stato fascista, quello che, giorno dopo giorno, toglie spazio alla democrazia e alla libertà per instaurare un regime oppressivo all'interno del quale non è più possibile pensarla in modo diverso e dissentire dal nuovo, ennesimo Duce.

E' da un po' di settimane che il ritornello, dalle parti del Pd, è questo: c'è il rischio di una deriva «putiniana», di uno scivolamento autoritario, di un prosciugamento delle regole democratiche. Lo ha detto anche il segretario Walter Veltroni in più occasioni, da ultimo durante il suo discorso al termine della manifestazione al Circo Massimo, lo scorso sabato, quando ha affermato, rivolgendosi idealmente a Silvio Berlusconi: «L'Italia, signor presidente del Consiglio, è un paese antifascista. A chi le chiedeva se anche lei potesse definirsi così, "antifascista", lei ha risposto con fastidio che non ha tempo da perdere, che ha cose più importanti di cui occuparsi, rispetto all'antifascismo e alla Resistenza». E oggi lo stesso Veltroni, di fronte ai fatti di Piazza Navona, commenta: «I disordini sono stati solo l'aggressione di una parte politica sull'altra». Ovviamente: della destra sulla sinistra.

Così si chiude il cerchio e, in assenza di altri argomenti sui quali costruire un'opposizione che assomigli almeno lontanamente alla sinistra riformista europea, si può continuare a lanciare l'SOS antifascista, credendo con ciò di riuscire a far perdere la bussola non soltanto alla maggioranza e al presidente del Consiglio, ma anche agli italiani che li hanno votati. E' un gioco che alla sinistra postcomunista riesce bene, quello di dissotterrare il suo spirito rivoluzionario e anti-Stato per abbattere nel nome della democrazia governi democraticamente eletti. Per questo occorre che il centrodestra sia vigile e fermo di fronte a chi non ha scrupoli nel soffiare sul fuoco della rivolta per trarne vantaggio politico, costi quel che costi.

Gianteo Bordero

martedì 28 ottobre 2008

PIAZZA SENZA POLITICA

da Ragionpolitica.it del 28 ottobre 2008

La piazza crea una militanza. Ma, anche quando essa è piena, non crea per ciò stesso una politica. E' una regola, questa, confermata in pieno dalla manifestazione del Pd al Circo Massimo. Certo, la piazza riscalda, dà il senso della comune appartenenza, gratta via la ruggine da un impegno partitico spesso burocratizzato e ripetitivo. Eppure, tutto ciò non basta a trasformare la piazza in luogo di creazione della politica. Perché se mancano da un lato l'idea-guida e dall'altro l'indicazione di una direzione verso cui marciare, allora l'ardore, l'entusiasmo, la voglia di partecipazione che la piazza esprime rischiano di tramutarsi nello specchio di un'impotenza politica altrettanto forte quanto le passioni che fanno battere all'unisono i cuori di coloro che manifestano.

La piazza, quando è colorata e pacifica, è bella. Ma se chi la guida non è in grado di plasmare dalla massa un corpo politico, allora è soltanto una bellezza frustrata, anticamera della delusione e della disillusione. Per compiere quest'opera plasmatrice ci vorrebbe un modello di riferimento, un'immagine così potente da trasformare l'idea in realtà, una forza creativa capace di dare forma compiuta a una «materia» che altro non chiede se non diventare qualcosa di definito. Invece all'ordine del giorno non c'è la navigazione in mare aperto, il grande slancio verso un obiettivo compiutamente politico, ma le solite, piccole beghe attorno alle quali si arrovella una nomenklatura attenta più alla conservazione dell'esistente, di un equilibrio instabile sempre pronto a dissolversi alla prima folata di vento, che al coraggioso viaggio verso il futuro.

E allora eccolo, il piccolo timoniere del Circo Massimo, ripetere parole che altro non indicano se non il disperato tentativo di rimanere aggrappato per l'oggi a una poltrona che traballa dopo mesi di sconfitte, quotidiani ripensamenti, piroette da far venire il capogiro, svolte annunciate ma mai realizzate. Come può, ad esempio, scaldare i cuoi e dare una motivazione politica degna di tal nome il ripetere come un mantra il vocabolo «riformista», come se esso avesse la stessa potenza evocativa delle parole storiche della sinistra italiana - «proletariato», «lotta di classe», «diversità morale»? E' come pensare di dissetare un popolo intero con una bottiglietta da mezzo litro d'acqua. O di attraversare l'Oceano con una zattera di fortuna: imprese che possono riuscire soltanto se si possiedono doti magiche (nel primo caso) o una capacità di navigazione quasi sovrumana (nel secondo). Non è il caso di Veltroni. Il quale non può fare altro, oggi, che scegliere il piccolo cabotaggio, non potendosi allontanare troppo dalla riva a causa dei venti e dei marosi che lo travolgerebbero in mare aperto, là dove lo attendono al varco i suoi avversari.

Da qui il paradosso di una piazza piena di gente ma vuota di politica, di una prova di forza che, quanto più può servire al leader per ancorarsi alla sua posizione, tanto meno può servire al partito per prendere il largo nell'avventura della politica vera, quella capace di indicare il grande obiettivo, la grande meta, il termine del grande cammino. Dopo tutto - dopo il bagno di folla, dopo lo sventolio di bandiere, dopo il comizio «obameggiante», dopo i leggii invisibili, dopo le ovazioni e gli applausi - quello che resta della manifestazione al Circo Massimo è l'afasia sulle questioni essenziali della politica, quelle che possono trasformare la piazza in popolo, la militanza in milizia, un partito liquido in un partito in carne ed ossa. Quello che ancora manca al Pd non sono tanto i numeri, quanto quelle che Gaber chiamava, nella sua canzone Qualcuno era comunista, «le ali per volare». Le ali che Veltroni non ha saputo costruire per coloro che sabato sono accorsi ad ascoltarlo.

Gianteo Bordero

venerdì 24 ottobre 2008

PROTESTA IN NOME DEL NULLA

da Ragionpolitica.it del 23 ottobre 2008

Faceva impressione, domenica, vedere al Tg4 delle 13.30 le interviste agli studenti delle superiori che protestano contro la riforma Gelmini: quasi nessuno, tra loro, ne conosce il contenuto, neppure per sommi capi. Ripetono slogan come automi. Qualcuno, addirittura, pensa che il maestro unico non sia quello delle elementari, ma un fantomatico «professore unico» di licei e istituti tecnici. L'ignoranza al potere, dunque. A cui si somma una totale assenza di giudizio critico su ciò che accade. Ma non sarebbe compito proprio della scuola quello di combattere tale ignoranza e di far sviluppare la suddetta capacità di giudizio? Se c'è una ragione per sostenere le iniziative del ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, essa è insita proprio in questa insanabile contraddizione di fondo che viene a galla in questi giorni di proteste, scioperi, manifestazioni e cortei: si grida allo smantellamento della scuola proprio mentre si fornisce la prova provata del fatto che tale smantellamento è già avvenuto. Non a livello di strutture, numeri e burocrazia. Ma al livello dell'anima della scuola, che da lunga pezza ha abdicato alla sua missione principale: quella educativa.

La scuola è cioè diventata, da un lato, un parcheggio dove depositare ragazzi che arrivano a 8 anni già sazi di tutto e assetati di niente, senza quella sana curiosità che è alla base di ogni grande esperienza conoscitiva, relazionale e formativa. Dall'altro lato, è stata trasformata dalla politica, in special modo da quella statalista e assistenzialista, in uno dei tanti ammortizzatori sociali attraverso i quali «creare» nuovi posti di lavoro e nuove sacche di consenso, con somma gioia pure dei sindacati. L'insegnante, così, non è stato più pensato come un grande compagno d'avventura che spalanca gli orizzonti dell'alunno sul mare immenso della realtà, ma come un freddo burocrate incaricato di gestire una delle tante macchine statali. Senza più passione. Senza più cuore. Senza più dedizione umana.

Coloro che protestano oggi, dunque, lo fanno contro una scuola che ancora non c'è (quella della Gelmini) e per difendere una scuola che c'è - ma che non è più tale. E' l'esatto contrario di quello che accadeva nel Sessantotto, dove la ribellione era a favore di una scuola diversa e per abbattere quella esistente. Delle due cose, solo una è riuscita: è stato distrutto il buono che c'era e non è stato creato nulla che possa neanche lontanamente essere definito come «scuola». E' questo nulla che i contestatori di oggi, seppur inconsapevolmente, difendono. Per il resto, il paragone col Sessantotto è più uno svago intellettuale che un fatto reale: la Valla Giulia cantata da Venditti come simbolo di quei giorni e di quelle passioni non è più quella dove «ancora brilla la luna», quella delle «albe cinesi di seta indiana», ma solo uno dei tanti piccoli teatri dove va in scena una commedia già vista, già scritta, già giudicata.

E la colpa più grossa non è neppure imputabile agli studenti, che possono trovare una giustificazione nella giovane età, ma agli adulti, sia nelle vesti di genitori che in quelle di insegnanti: i primi, molte volte, hanno finito con lo scaricare sulla scuola compiti e responsabilità che erano innanzitutto di loro spettanza, i secondi hanno spesso usato il loro spazio come luogo non più di formazione, ma di pura conservazione di un sistema sindacalizzato e politicizzato, che poco o punto aveva a che fare con l'insegnamento e la trasmissione del sapere. Tutto ciò ha creato un corto circuito educativo che ha fatto saltare per aria i concetti di responsabilità, di rispetto, di merito - i cardini su cui da sempre si regge, oltre che la scuola, la stessa società umana. Il risultato non poteva che essere lo sfascio. Che ben si riassume, oggi, nelle immagini dei bambini usati da genitori e insegnanti come carne da propaganda contro il ministro e in quelle dei ragazzi delle superiori che protestano assieme ai professori contro ciò che neppure conoscono. Altro che '68! A Valle Giulia la luna è tramontata.

Gianteo Bordero

mercoledì 22 ottobre 2008

L'ERRORE CAPITALE DI VELTRONI

da Ragionpolitica.it del 21 ottobre 2008

A conti fatti, l'errore più grave che Walter Veltroni ha commesso nel suo anno alla guida del Partito Democratico è stata l'alleanza con Antonio Di Pietro. Oggi che i nodi di un matrimonio che «non s'aveva da fare» vengono inesorabilmente al pettine, con il proverbiale lancio degli stracci tra i due partner, la domanda che sorge spontanea è: «Caro Walter, chi te l'ha fatto fare?». L'impressione, infatti, è che quello tra Pd e Idv sia stato un connubio nel quale a guadagnarci sia stato, sin dall'inizio, soltanto uno dei contraenti: è grazie all'apparentamento con i Democratici che il partito di Di Pietro ha ottenuto un numero di parlamentari tale da consentire la formazione di gruppi autonomi sia alla Camera che al Senato; è grazie alla decisione di Veltroni di rifiutare l'alleanza con gli altri partiti della sinistra che l'ex pm ha potuto presentarsi, sin dal suo primo discorso tenuto a Montecitorio, come l'unico, vero oppositore al governo Berlusconi; è grazie alla mancanza di chiarezza programmatica e strategica del segretario del Pd che l'Italia dei Valori ha potuto, giorno dopo giorno, capitalizzare in termini di consenso il proprio radicalismo ideologico, il giustizialismo duro e puro, l'antiberlusconismo «senza se e senza ma».

Oggi, a sei mesi dall'inizio della legislatura, Veltroni scopre l'acqua calda e va a dire davanti alle telecamere di Che tempo che fa, come se niente fosse e come se non avesse responsabilità in materia, che «l'alleanza con Di Pietro è finita nel giorno in cui egli ha stracciato l'impegno di costituire un gruppo unico, perché, visto che aveva il numero dei parlamentari necessario per fare un gruppo in proprio, è venuto da noi e ha detto: "Quell'impegno preso non vale più"». Non domo, aggiunge: «Quando si va ai problemi di merito, si vedono grandi differenze tra noi e l'Italia dei Valori». E, rivolto a Fabio Fazio: «Prenda il tema dell'integrazione e chieda a Di Pietro opinioni su questo: troverà cose molto lontane dall'alfabeto della cultura democratica di centrosinistra». Domanda del conduttore: «Allora è pentito di quell'alleanza?». Risposta del segretario del Pd: «No, perché Di Pietro aveva firmato il nostro programma».

Ora, delle due l'una: o Veltroni è ingenuo fino al punto di pensare che una firma apposta in calce ad un programma possa di colpo cancellare l'identità di un partito e del suo leader, oppure, ancora una volta, tenta una spericolata giravolta politica provando a far credere agli italiani che in realtà lui è fermo mentre sono gli altri a muoversi e cambiare posizione. Peccato che ormai il trucco non regga più. Poteva funzionare nelle prime settimane della legislatura, quando al solito Di Pietro barricadiero faceva da contraltare il Veltroni della «nuova stagione», quello che proponeva e perseguiva la civilizzazione dei rapporti tra maggioranza e opposizione. Ma ora, dopo le mille e una piroette del segretario del Pd (un giorno dialogante, l'altro guerreggiante; un giorno a braccetto con Silvio, l'altro con Tonino; un giorno di governo - ombra - e l'altro di lotta), tutti hanno ben compreso che Walter non sa proprio che pesci pigliare e che il numero dei suoi riposizionamenti è inversamente proporzionale a quello delle sue certezze in materia di linea politica.

Il risultato è che, mentre Veltroni annaspa, Di Pietro gongola. Mentre il Partito Democratico è ormai sceso nei sondaggi sotto la soglia del 30%, l'Italia dei Valori continua a veder aumentare i propri consensi. Insomma, quanto più il Pd è debole, tanto più l'Idv diventa forte e il suo leader può tranquillamente affondare il coltello nel burro dell'indecisionismo veltroniano: lo si vede in Abruzzo, dove Di Pietro ha già presentato il suo candidato alla presidenza della Regione mentre il Pd è ancora in alto mare, e lo si vede nelle piazze, dove in breve tempo l'ex pm ha fatto il pienone di firme per il referendum contro il lodo Alfano mentre l'ex sindaco di Roma sta ancora sudando sette camicie per radunare il suo elettorato e per dare un contenuto alla protesta del 25 ottobre. Morale della favola: Veltroni è impantanato mentre Di Pietro naviga col vento in poppa. E' l'inevitabile conseguenza della sciagurata alleanza dell'aprile scorso. Se veramente, come dice oggi il segretario del Pd, il connubio è finito, lo dimostri anche con i fatti, a partire dai nodi della Vigilanza Rai e della nomina del nuovo giudice della Corte Costituzionale. Di parole, da Veltroni, ne abbiamo sentito troppe. E contraddittorie.

Gianteo Bordero

sabato 11 ottobre 2008

ULTIMA FERMATA: LA PIAZZA

da Ragionpolitica.it dell'11 ottobre 2008

La piazza, un tempo orgoglio e vanto della sinistra, che in essa riscopriva e ritrovava il senso della militanza rossa e della comune fede ideologica, rischia oggi di diventare l'ultima fermata per gli eredi del Partito Comunista italiano. La benzina nel motore della sinistra è in rapido esaurimento, e non è detto che tutte le colpe siano da imputare all'autista di oggi: la verità è che è cambiato qualcosa nel paese. O, meglio, è cambiato il paese. Si è squagliato come neve al sole il cosiddetto «monopolio culturale», cioè la diffusa tendenza a considerare un'idea giusta e ragionevole per il solo fatto di essere stata pensata dall'intellighenzia gauchista. Le idee della sinistra si sono cristallizzate in dottrina, sono divenute simili ai fossili: è rimasta la forma, è scomparsa la sostanza. Così, inevitabilmente, la sinistra è stata abbandonata dal popolo, perché, invece che nutrire il popolo con parole vive, gli ha dato in pasto solo pietanze rancide e ammuffite. E il popolo ha detto «basta».

Lo si vede oggi, clamorosamente, nella scuola, dove l'avamposto della sinistra nelle associazioni studentesche - ciò che resta del Sessantotto - non riesce a fermare l'onda riformatrice di Mariastella Gelmini, e l'unica cosa che può fare è ripetere e urlare in piazza slogan che altri hanno pensato, altri hanno detto, altri hanno scritto: «Ministro della Distruzione», «Scuola come prigione», «Ritorno al passato». Invece non si rendono conto che ormai ad essere fermi al «bel tempo che fu» sono loro, che esiste una maggioranza silenziosa di studenti e famiglie che ne ha le scatole piene dell'ineducazione elevata a sistema, del bullismo impunito e tollerato, dello scempio del sapere perpetrato per lustri nella scuola dalla sinistra e dal suo sindacato. La scuola della Gelmini guarda avanti perché merito, responsabilità, serietà sono le migliori garanzie per il futuro, per un'istruzione degna di tal nome, infine per una società migliore. La scuola della sinistra, invece, è ferma all'ignoranza e ai privilegi che hanno prodotto soltanto macerie.

Altro giorno, altra piazza. 25 ottobre. E' la data dell'adunata del Partito Democratico al grido di «Salviamo l'Italia». Uno titolo che è tutto un programma. Si evocano pericoli e minacce (alla democrazia, ai lavoratori, ai redditi degli italiani) per cercare di surriscaldare la temperatura, riunire il maggior numero di persone possibile e mostrare così che un'opposizione degna di tal nome ancora esiste - ecco il vero obiettivo della manifestazione. Ma qui la partita si gioca veramente sul ciglio del burrone, perché la stragrande maggioranza dei cittadini, di là dal loro schieramento politico, vede un governo che governa, che decide, che risolve i problemi, che mantiene i nervi saldi di fronte alla crisi finanziaria e al crollo delle borse (ricevendo pure il plauso di D'Alema), che va a mettere le mani in mali atavici come l'inefficienza della Pubblica Amministrazione e, come detto poc'anzi, lo sfascio della scuola. E così la presunta minaccia da cui occorrerebbe salvare l'Italia è invece percepita da tanti cittadini come una benedizione e, dai meno entusiasti, comunque come una medicina necessaria - anche l'elettore di sinistra, pensando agli ultimi disastri di Prodi, riconosce che, in fin dei conti, Berlusconi è il male minore. Risultato: la fiducia nei confronti del governo si attesta su cifre record (60%) e i partiti della maggioranza che lo sostiene vanno a gonfie vele (Pdl al 41%, Lega Nord al 9%), mentre il Partito Democratico è al 28% (alle elezioni di aprile aveva ottenuto il 33%).

In queste condizioni, si capisce che veramente il ricorso alla piazza è il richiamo dell'ultima spiaggia, la scelta di chi non sa più che pesci pigliare e dove sbattere la testa. Un tempo la piazza era la bombola d'ossigeno in grado di rianimare una militanza spenta ma pur sempre orgogliosa di sé. Era la riserva aurea della sinistra, il forziere da cui attingere nei momenti più duri e difficili, quando occorreva una prova di forza assieme al popolo. Oggi, finita l'egemonia nel paese oltre che nei Palazzi del potere, gli eredi del Pci potrebbero scoprire che anche quella cassaforte è ormai vuota.

Gianteo Bordero

mercoledì 8 ottobre 2008

UN'ALTRA OPPOSIZIONE

    L'appello lanciato lunedì dalle pagine del Riformista dal direttore Antonio Polito è chiaro e inequivocabile: in un momento di crisi economica come quello attuale, con gli italiani impauriti per i possibili effetti negativi sui loro risparmi e sui loro investimenti, con le banche che navigano a vista in una tempesta di cui nessuno ha ancora saputo quantificare con precisione l'entità e la durata, occorrerebbe un'opposizione responsabile, che collaborasse col governo «per servire l'interesse nazionale».

    Invece, che cosa ci troviamo di fronte quando osserviamo il Partito Democratico? Oltre che ad assistere ad una lotta belluina e senza esclusione di colpi tra correnti, correntine e sottocorrenti, vediamo il segretario Walter Veltroni impegnato a fare a gara con Antonio Di Pietro a chi, ogni giorno, la spara più grossa contro il governo, a chi è più anti-berlusconiano, a chi merita la medaglia al valor civile per la resistenza al nuovo tiranno. Insomma: di politica nemmeno l'ombra. Il sistema-paese vive queste settimane con il fiato sospeso e il leader del maggior partito d'opposizione che fa? Gioca irresponsabilmente al «tanto peggio, tanto meglio», convinto di riuscire con ciò a riempire la piazza in occasione della manifestazione nazionale del Pd del 25 ottobre, ponendo un argine alla crisi di consenso che perdura dallo scorso aprile.
      Per ascoltare nel Pd un approccio politico degno di tal nome occorre bussare alla porta di Massimo D'Alema, che in quel di Capri, davanti ai giovani industriali, imposta il suo ragionamento tenendo conto di uno spettro di problemi ben più ampio di quello che occupa la mente dell'ex sindaco di Roma. D'Alema mostra di essere pienamente consapevole della portata della crisi globale. Per questo ragiona in termini di sistema, anche politico, riconoscendo i meriti del presidente del Consiglio («che ha rassicurato sulla solidità del nostro sistema bancario e finanziario») e invitando il centrosinistra ad adottare un atteggiamento responsabile «su scelte fondamentali per il nostro paese», perché quello che stiamo vivendo è «un momento di grandi cambiamenti, che comportano intese ampie e politiche di lungo periodo». Peccato, però, che quella espressa dall'ex ministro degli Esteri non corrisponda alla prospettiva strategica dell'intero Partito Democratico, in primis a quella dell'eterno nemico di D'Alema, Walter Veltroni, che dopo aver per mesi pontificato sul «dialogo» con il centrodestra, senza peraltro riempire di contenuti la parolina magica, ha ora vestito i panni dell'oppositore a prescindere, inflessibile, senza se e senza ma. E, come dicevamo, anche senza politica.
        Non devono stupire, perciò, le parole pronunciate domenica sera da Silvio Berlusconi alla Festa della Libertà svoltasi a Milano. Il presidente del Consiglio, preso atto che con l'attuale leader dell'opposizione risulta impossibile confrontarsi seriamente sulle questioni vitali per il sistema-paese, ha affermato: «Speravamo ci fosse un interlocutore per fare le regole insieme e invece è sprofondato nelle tenebre dell'invidia sociale. Oggi dobbiamo far fronte alle necessità del paese contando solo sulle nostre forze... E' un'opposizione che è passata dal comunismo allo sfascismo. Siamo decisi a governare anche da soli ed andare avanti con la realizzazione del programma per gli italiani».
          Quanto tempo bisognerà ancora attendere per vedere qualche cosa cambiare dalle parti del Pd? Certamente un segnale verrà dalla manifestazione di piazza del 25 ottobre, sulla quale Veltroni ha puntato molte delle fiches che gli restano per mantenere salda la sua segreteria. Le ultime saranno quelle da spendere in occasione delle elezioni della prossima primavera (amministrative ed europee), vera deadline fissata dai maggiorenti del partito per un giudizio definitivo sulla gestione veltroniana. A quel punto, come si suol dire, chi avrà più filo tesserà. Quello dell'ex sindaco di Roma sembra esaurito già oggi, mentre la tela dalemiana appare in continua espansione.
            Gianteo Bordero

            martedì 7 ottobre 2008

            NO AL REGISTRO COMUNALE DELLE UNIONI CIVILI

            Intervento tenuto durante il Consiglio comunale di Sestri Levante del 6 ottobre 2008

            Signora Presidente, colleghi Consiglieri,

            la mozione del Consigliere Gueglio sul registro delle unioni di fatto ci riporta indietro nel tempo, ai giorni andati del Governo Prodi, quando dalla pancia di quella compagine tanto variegata quanto litigiosa che fu l’Unione uscì il famoso disegno di legge che prese il nome di “Di.Co”, ossia “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”. Tale disegno di legge venne a galla dopo che, per vicissitudini tutte interne all’allora maggioranza parlamentare, fu abbandonato il modello legislativo ispirato ai “PACS” (“Patti Civili di Solidarietà”) francesi. Ma neanche i “Di.Co” ebbero vita facile, a causa dell’opposizione ferma e risoluta di Clemente Mastella, che nel gennaio del 2007 minacciò l’uscita del suo partito, l’Udeur, dalla maggioranza e dal Governo nel caso in cui questi avessero portato avanti il progetto presentato dai ministri Pollastrini e Bindi.

            Mastella approfittò della crisi dell’Esecutivo verificatasi nel mese successivo, originata dalla mancata fiducia parlamentare dell’Unione alla politica estera di D’Alema, per far espungere i “Di.Co” dal nuovo programma di dodici punti con cui Romano Prodi si presentò alle Camere per ottenerne nuovamente la fiducia. I Di.Co caddero così nel dimenticatoio e il Parlamento riprese il lavoro da zero, elaborando in Commissione Giustizia del Senato un testo chiamato “CUS” (“Contratti di Unione Solidale”), che giace immobile a Palazzo Madama dal giorno della definitiva caduta del Governo Prodi, avvenuta alla fine dello scorso gennaio. Ma lasciamo da parte l’Unione e Mastella (un uomo nei confronti del quale gli italiani tutti dovrebbero serbare gratitudine e riconoscenza per essere stato in qualche modo all’origine della consunzione finale dell’Esecutivo prodiano) e torniamo a noi.

            Come dicevamo all’inizio, il Consigliere Gueglio, con la sua mozione, ci riporta indietro nel tempo. Ci riporta all’epoca in cui la sinistra “antagonista”, entrata nella stanza dei bottoni, si fece portavoce, nel Governo e nelle aule parlamentari, dei cosiddetti “nuovi diritti civili”, presentati come il punto più avanzato del progressismo contemporaneo, la nuova frontiera della lotta di classe, l’ultima Thule delle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria.

            Oggi che i partiti confluiti nella Sinistra Arcobaleno sono rimasti esclusi dal Parlamento a seguito del disastroso risultato elettorale del 13 e 14 aprile scorsi, dalle lettere inviate ai giornali e pubblicate sui blog dagli stessi elettori di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani, di Sinistra Democratica, apprendiamo che quella che i dirigenti ritenevano essere la chiave per ottenere nuovo consenso è stata invece percepita dai militanti come una pietra d’inciampo. Come un fastidioso tributo alla mentalità del tempo (come, del resto, un tributo alla mentalità del tempo appare la partecipazione dell’ex deputato comunista Vladimiro Guadagno, alias Luxuria, alla trasmissione televisiva “L’Isola dei Famosi”). O, peggio, come un diversivo per coprire il fallimento dell’esperienza governativa della sinistra massimalista su temi ben più scottanti, come l’economia e le pensioni, e più imbarazzanti, come la politica estera e il ripetuto voto favorevole del Prc, del Pdci e dei Verdi al rifinanziamento delle missioni militari all’estero.

            In una lettera inviata al leader di Sinistra Democratica, Fabio Mussi, un operaio di Piombino, ad esempio, scriveva: “Non vi seguo più. Ormai vi occupate soltanto – e qui utilizzerò vocaboli alternativi per evitare quelli volgari e offensivi contenuti nella missiva – di omosessuali e di immigrati”. I cosiddetti “nuovi diritti”, dunque, tra cui i “Di.Co” in oggetto, ritenuti dai dirigenti della sinistra antagonista come un fiore all’occhiello di una politica genuinamente progressista, non hanno fatto breccia nell’elettorato tradizionale del Prc, dei Comunisti Italiani, di Sinistra Democratica. Potremmo dire, gettando un occhio alle molte analisi del voto politico del 13 e 14 aprile scorsi, che il proletariato ha tradito la sinistra perché la sinistra ha tradito il proletariato. Come ha riconosciuto anche Fausto Bertinotti durante il suo acceso discorso all’ultimo congresso di Rifondazione Comunista - cito testualmente - “quando un operaio tesserato per la Fiom va a votare Lega non bisogna considerarlo uno sciocco: è un preciso segnale per indicare che è stata tradita un’attesa”.

            Perché vede, Consigliere Gueglio – e qui entriamo in medias res -, tra le questioni spacciate per temi capitali dall’intellighenzia della sinistra e dai capi dei suoi partiti e invece ritenute problemi minori dal suo elettorato, c’è pure quella delle unioni civili e dell’istituzione di un registro ad hoc per le coppie di fatto. Lo dice l’Istat, lo certificano le statistiche: chi sceglie la convivenza, nella maggior parte dei casi, o lo fa proprio per dare una forma meno impegnativa e meno vincolante (in termini di doveri e di diritti) alla sua unione, oppure vive tale condizione come situazione prematrimoniale. Per quanto riguarda il primo caso, occorre domandarsi, allora, quale senso abbia istituzionalizzare per via legislativa legami che nascono proprio in contrapposizione con tutto ciò che sa di “contrattualizzazione” del rapporto di coppia, di assunzione di responsabilità verso terzi e verso lo Stato. Per quanto riguarda il secondo caso, invece, basti citare gli ultimi dati Istat disponibili, dai quali apprendiamo che il 34,1% di coloro che si sono sposati negli ultimi cinque anni aveva una convivenza alle spalle.

            Anche dal punto di vista giuridico, poi, occorre fare una riflessione di metodo prima ancora che di merito: quando si progetta una legge o si ipotizza un regolamento come quello in discussione questa sera, è necessario innanzitutto identificare quale sia l’esigenza sociale che li renderebbe necessari. Per quanto riguarda le convivenze, spesso si invoca da un lato un presunto “vuoto legislativo” e, dall’altro lato, la “realtà di fatto” nella quale si troverebbero alcune centinaia di migliaia di coppie. In entrambi i casi, però, le argomentazioni non sembrano fondate. Il diritto, infatti, non esiste per “riempire dei vuoti”, né, soprattutto, per offrire una veste giuridica a tutto ciò che esiste. Deve invece trovare la sua ragione d’essere nella ricerca della giustizia.

            Al tempo stesso, prima di approvare una nuova legge o un regolamento, in particolare su temi così sensibili, occorre verificare se non sia possibile raggiungere gli stessi risultati per altra via, attraverso strumenti del diritto privato o iniziative autonome delle parti. Già oggi, infatti, sono numerose sia le norme che assegnano un ruolo al convivente (per esempio, nel decidere sul prelievo di organi), sia le tutele previste dalla giurisprudenza (come per il subentro nel contratto d’affitto) sia, infine, le possibilità offerte dal diritto privato (dal testamento alle polizze assicurative).

            Nel caso poi dell’istituzione di un registro delle coppie di fatto nei Comuni, occorre aggiungere due dati imprescindibili, su cui invito il Consigliere Gueglio a riflettere. Primo dato: laddove sono stati creati, i registri delle unioni civili non hanno, per così dire, avuto successo. Vediamo alcuni esempi concreti di città in cui tali registri sono stati istituiti:
            Bolzano: 0 coppie iscritte
            Arezzo: 1 coppia
            Empoli: 2 coppie
            Firenze: 20 coppie
            Pisa: 34 coppie
            Rosignano: 0 coppie
            Scandicci: 1 coppia

            Come si vede, sono numeri non certo esaltanti. Lo riconosce anche Davide Santandrea, presidente dell’associazione “Nuova Gay Lesbica Nazionale”, quando afferma che “i registri delle unioni civili tanto divulgati da Arcigay si sono manifestati un vero flop”. Questo per lo stesso motivo di cui parlavamo poc’anzi, ossia perché chi sceglie la convivenza, nella maggior parte dei casi, lo fa proprio per rimanere meno vincolato all’altra persona in termini non certo d’affetto, ma di doveri pubblici e di pubblici diritti.

            Il secondo dato su cui invito il Consigliere Gueglio a riflettere è che la disciplina di una materia così importante dovrebbe essere lasciata al Parlamento, al potere legislativo nazionale. Come ha dichiarato un esponente del Partito Democratico, Franco Monaco, all’Unità del 19 dicembre 2007, giorno successivo alla bocciatura, da parte del Consiglio Comunale di Roma, di una pratica volta a istituire nella Capitale il registro delle unioni civili: “E’ il Parlamento che deve occuparsi di una materia così seria e delicata”. E continuava: “Non mi pare saggio che i Comuni pretendano di anticipare e magari forzare la mano su soluzioni che, prive di aggancio legislativo, si rivelerebbero improvvisate, precarie e motivo di divisione invece che di coesione sociale”.

            Per tutti questi motivi sono in disaccordo con il Consigliere Gueglio, che questa sera, dopo la mozione riguardante la “Culla per la vita” di cui ci siamo occupati alla fine di luglio, ha posto alla nostra attenzione un tema certamente rilevante in se stesso, ma che, nelle stesse parole di Gueglio, ha assunto la caratterizzazione di bandiera ideologica che va oltre i dati del buon senso e della realtà.

            Concludo precisando che dire “no” ai Di.Co e al registro comunale delle unioni civili non significa negare l’esigenza di addivenire, attraverso strumenti idonei quali apposite norme di diritto privato, ad una più puntuale tutela di diritti individuali; significa piuttosto optare per il primato della famiglia fondata sul matrimonio; significa prediligere politiche che valorizzino i nuclei familiari, vero cardine della nostra società e della nostra bimillenaria cultura; significa dire “sì” alla nostra tradizione, che non è qualcosa di rancido e di ammuffito, ma è un corpo vivo a cui ancora oggi sentiamo, con gratitudine, di appartenere.


            Gianteo Bordero
            Vice-presidente del Consiglio comunale di Sestri Levante
            Consigliere comunale del gruppo "Pdl-Lega-Udc-Per Ianni sindaco"

            POLITICA DEGLI SPRECHI E DELLE COSE INUTILI

            da Sestri Levante notizie dell'ottobre 2008

            La Giunta Lavarello, in questi primi mesi del suo secondo mandato, ha già deluso le speranze e le attese dei sestrini. Soprattutto di quelli che, avendo dato il loro appoggio a liste ed esponenti partitici che si erano spostati dall’opposizione alla maggioranza annunciando una “nuova stagione” politica nella nostra città, si auguravano un netto cambio di rotta rispetto ai passati cinque anni. Invece niente. La cattiva amministrazione prosegue senza posa, all’insegna degli sprechi e delle cose inutili per i cittadini.

            Un esempio tra i tanti: il progetto di centro sociale giovanile autogestito che verrà realizzato presso le “Casette rosse” nel quartiere della Lavagnina. Che bisogno c’era di un tale progetto, che costerà ai sestrini 168.000 euro (i restanti 674.000, necessari alla realizzazione dell’opera, arriveranno da fondi statali, stanziati dal defunto governo Prodi nel suo ultimo giorno di attività, e regionali) e che andrà a collocarsi in un quartiere, come appunto quello della Lavagnina, che di ben altro avrebbe bisogno per essere riqualificato e valorizzato all’interno del sistema-città? E ancora: perché ai giovani non viene offerta innanzitutto, al posto del solito luogo di evasione, la possibilità di accedere all’acquisto dell’abitazione a prezzi vantaggiosi attraverso un serio piano di prima casa?

            La verità è che il centro sociale autogestito serve alla Giunta per accontentare e tenersi buono il Forum dei giovani (di sinistra), che periodicamente avanza all’Amministrazione richieste che il sindaco ben si guarda dal non soddisfare, facendo spallucce di fronte a chi gli fa osservare che i costi per assecondare il Forum li pagano i cittadini tutti. Insomma: la Giunta realizza cose inutili per Sestri ma utili per mantenere il consenso.

            Ma non finisce qui. Perché la vicenda del centro sociale “Casette rosse” è paradigmatica anche per quanto riguarda lo spreco di denaro pubblico. Prima del progetto attuale, infatti, un altro progetto era stato redatto. Eravamo nel 2004, governava la città la prima Giunta Lavarello, e per tale incarico di progettazione l’Amministrazione spese 32.995 euro. La realizzazione dell’opera non si concretizzò, ma i 32.995 si volatilizzarono ugualmente, con buona pace dei sestrini. Ora altro progetto, altre consulenze, altri incarichi professionali. E, visti i precedenti, altri sprechi.

            Se il buongiorno si vede dal mattino, il secondo mandato del sindaco Lavarello non lascia presagire nulla di buono. La nota di conforto è che, stavolta, c’è un’opposizione compatta, unita perché consapevole della responsabilità di dover rappresentare (oggi dai banchi della minoranza, domani chissà…) un’alternativa seria e credibile all’attuale compagine di amministratori.

            P.S. Come saprete, un noto esponente politico della città, in passato consigliere comunale, è stato “pizzicato” a posteggiare negli spazi riservati ai disabili con un tesserino fotocopiato da quello di un suo parente. Ora, vorremmo tanto potervi dire nome e cognome del personaggio in questione, ma si dà il caso che egli abbia trovato un buon amico nell’assessore alla Viabilità, Massimo Bixio, il quale continua a non voler ufficializzare le generalità di “Mister X” accampando scuse le più varie tra loro. Assessore Bixio, un atto di coraggio: fuori il nome!

            Il gruppo consiliare "Pdl-Lega-Udc-Per Ianni sindaco"

            domenica 5 ottobre 2008

            5 OTTOBRE 2008



            sabato 4 ottobre 2008

            AL VIA LA SCUOLA DIGITALE

            da Ragionpolitica.it del 4 ottobre 2008

            «Non è un gesto simbolico, ma l'inizio di un cambiamento. Occorre colmare il grave ritardo in cui abbiamo trovato l'istruzione pubblica in Italia». Con queste parole il presidente del Consiglio, nella conferenza stampa tenuta a Palazzo Chigi nel pomeriggio di giovedì assieme ai ministri dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, e della Pubblica Amministrazione e Innovazione, Renato Brunetta, ha presentato il progetto del governo per l'informatizzazione della scuola italiana. Le nuove tecnologie offrono enormi possibilità per l'ammodernamento del nostro sistema scolastico, che deve marciare al passo con quelli del resto d'Europa. Non si tratta soltanto, come in parte già oggi avviene, di adoperare internet e l'informatica sul versante amministrativo, ma di allargarne l'uso anche nella didattica, per facilitare il lavoro dei docenti e il loro rapporto con gli alunni ad anche con le loro famiglie.

            «Vogliamo offrire opportunità da un lato agli studenti, per apprendere meglio, e dall'altro ai docenti, per poter svolgere al meglio la loro professione», ha affermato il ministro Mariastella Gelmini. Fiore all'occhiello del provvedimento governativo è rappresentato dall'ingresso, in 10.000 aule italiane, della lavagna interattiva multimediale. L'investimento è di 20 milioni di euro per il 2008, e di altri 10 milioni di euro per il 2009. «Si tratta di uno strumento didattico innovativo - ha detto il ministro - che consentirà anche di sperimentare un nuovo rapporto tra i libri di testo e contenuti digitali». La lavagna, in questo senso, va a completare un percorso già iniziato con la Finanziaria, la quale aveva posto al centro dell'attenzione l'e-book, al fine di alleggerire il peso (sia in termini fisici che economici) dei libri di testo. Il nuovo strumento, come è emerso dalla spiegazione tenuta durante la conferenza stampa dal professor Giovanni Biondi, è un mezzo veramente straordinario, che ha il pregio di poter rendere ancor più affascinanti i contenuti delle lezioni scolastiche attraverso la loro interazione con i software più evoluti. La lavagna, inoltre, è in grado di registrare tutto ciò che avviene su di essa; in questo modo gli studenti che sono assenti si possono collegare da casa e rivedere la lezione.

            Ma non finisce qui. Il progetto del governo per l'informatizzazione della scuola prevede infatti anche il potenziamento della dotazione informatica degli istituti (computer portatili e fondi per acquisire contenuti digitali), nuovi servizi in rete per le famiglie (pagella on line, registro digitale, accesso telematico al fascicolo elettronico dello studente), potenziamento delle connessioni (maggiore velocità, sicurezza e affidabilità), implementazione di servizi quali la formazione e la didattica a distanza dal vivo, l'interazione on line degli organi collegiali. Inoltre, 11 mila istituti saranno collegati tra loro in rete e alle pubbliche amministrazioni attraverso la connessione al Sistema Pubblico di Connettività.

            Quello della digitalizzazione - ha tenuto a precisare il ministro - è il secondo pilastro su cui si regge la riforma della scuola. «La scuola del governo Berlusconi - ha affermato - riprende principi come il rispetto degli altri, l'impegno, la fatica nello studio, che forse la sinistra ritiene superati, ma è una scuola che guarda anche alla modernizzazione e che, attraverso un corretto impiego delle risorse, riesce a liberare finanziamenti per l'innovazione tecnologica». Insomma, strumenti quali quello della lavagna digitale non sono fini a se stessi, ma vanno inquadrati all'interno del generale progetto di riforma pensato dal ministro Gelmini per ridare alla scuola italiana autorevolezza, serietà, credibilità; per riportare la nostra Istruzione al passo con quella degli altri paesi europei; soprattutto, per rimettere al centro del nostro sistema scolastico la persona, quella dell'alunno e della sua famiglia, e quella dell'insegnante. In quest'ottica, tutto ciò che può aiutare la formazione di un circolo virtuoso nel rapporto tra i protagonisti del sistema formativo è il benvenuto. «Anche l'impiego dell'innovazione tecnologica - ha concluso il ministro - nella scuola va nella direzione di non rassegnarci alle basse performance, ma di lavorare tutti insieme per migliorare il nostro sistema dell'Istruzione».


            Gianteo Bordero

            venerdì 3 ottobre 2008

            LO SMEMORATO

            da Ragionpolitica.it del 2 ottobre 2008

            La deriva antiberlusconiana di Walter Veltroni non conosce tregua. Non passa giorno, ormai, che il segretario del Partito Democratico non si affacci sul davanzale mediatico per cannoneggiare contro il presidente del Consiglio, accusato dall'ex sindaco di Roma delle peggiori nefandezze possibili. La manifestazione nazionale del Pd del 25 ottobre si avvicina, e in Veltroni la tensione sale, insieme alla paura di vedere la piazza semideserta e, conseguentemente, di osservare ciò che resta della sua leadership andare definitivamente in fumo. Gli avvoltoi e le iene che si aggirano attorno alla moribonda segreteria veltroniana, del resto, non aspettano altro. Così Walter, nervosamente, cerca di parare i colpi che provengono da dentro e da fuori il partito e di respingere le critiche riguardanti la sua capacità di fare opposizione al governo di centrodestra. Come? Mostrandosi più dipietrista di Di Pietro (che, dal canto suo, sfotte il segretario del Pd definendolo «l'oppositore del giorno dopo») e gettando a mare tutte le buone intenzioni di «dialogo» con cui si era presentato sulla scena al Lingotto di Torino appena quindici mesi fa.

            Così facendo, però, più che apparire come il leader autorevole dell'opposizione, Veltroni rischia di sembrare soltanto il capo degli smemorati. Il cambio di rotta intrapreso dall'ex sindaco di Roma in questi ultimi mesi nei confronti di Berlusconi e del centrodestra, infatti, è di tale portata da poter essere spiegato soltanto con un grande esercizio di rimozione del passato. Si potrebbero riempire pagine e pagine con discorsi, dichiarazioni, prese di posizione del Veltroni «nuova stagione», quello dell'autunno 2007-inverno 2008, diametralmente opposte alle parole del Veltroni dell'estate-autunno 2008, il Veltroni di queste ultime settimane e di questi ultimi giorni, quello della guerra totale al Cavaliere, tornato ad essere il nemico da abbattere dopo essere stato, per breve tempo, l'avversario con cui civilmente e lealmente, «serenamente e pacatamente», dialogare e confrontarsi sulle riforme istituzionali e costituzionali.

            E proprio in tema di riforme la smemoratezza del segretario del Partito Democratico raggiunge oggi il suo culmine, dopo le dichiarazioni di Berlusconi da Napoli riguardo alla necessità, stanti gli scarsi poteri di cui gode il presidente del Consiglio nell'ordinamento italiano, di ricorrere con frequenza ai decreti legge per porre in essere «interventi decisivi e immediati». Sùbito dal Pd è piovuta una gragnola di critiche nei confronti del premier, accusato ancora una volta, dopo l'intervista rilasciata da Veltroni al Corriere della Sera di domenica, di tendenze autoritarie e «putiniane» e di disprezzo nei confronti del parlamento. Peccato che il tema dei pochi poteri che la Costituzione assegna al presidente del Consiglio sia stato riconosciuto come problema non soltanto dall'aspirante zar Berlusconi, ma anche dallo stesso Veltroni. Il quale, in un articolo apparso sul Corriere il 24 luglio 2007, intitolato «Dieci riforme per sbloccare l'Italia», dopo aver parlato della necessità di addivenire ad una semplificazione dell'organizzazione del parlamento «superando il bicameralismo perfetto», scriveva: «Occorre rafforzare decisamente la figura del presidente del Consiglio, sul modello tipicamente europeo del governo del primo ministro, in modo da garantire unitarietà e coerenza all'azione di governo e coesione alla maggioranza parlamentare». A dichiarare queste cose è stato lo stesso Walter Veltroni che oggi accusa Silvio Berlusconi, il quale ha mostrato in più occasioni di condividerle, di voler mettere in piedi un regime e di voler fare a meno dell'opera delle Camere.

            Come dicevamo, siamo veramente all'acme della smemoratezza e della rimozione del passato. E a poco vale, da parte del Pd, citare a supporto delle sue preoccupazioni «democratiche» quanto giustamente affermato stamane dal presidente della Camera Fini, ossia che, se vi dovesse essere un abuso del ricorso ai decreti legge governativi, Montecitorio «farà sentire la propria voce». Quelle di Fini sono parole di buon senso da parte di una istituzione della Repubblica, mentre quelle di Veltroni e dei dirigenti del Partito Democratico appaiono invece come le pretestuose parole della disperazione, le parole di chi si appiglia a qualsiasi fatto o dichiarazione per recuperare una credibilità che, di giorno in giorno, sembra sempre più perduta e compromessa. Se il segretario del Pd pensa che la ricetta per riconquistare consensi sia la rimozione del passato miscelata con il ritorno all'antiberlusconiano viscerale inseguendo Di Pietro, è prevedibile che le iene e gli avvoltoi di cui parlavamo in precedenza non avranno ancora molto da attendere per soddisfare i loro appetiti.

            Gianteo Bordero