Intervento tenuto durante il Consiglio comunale di Sestri Levante del 6 ottobre 2008
Signora Presidente, colleghi Consiglieri,
la mozione del Consigliere Gueglio sul registro delle unioni di fatto ci riporta indietro nel tempo, ai giorni andati del Governo Prodi, quando dalla pancia di quella compagine tanto variegata quanto litigiosa che fu l’Unione uscì il famoso disegno di legge che prese il nome di “Di.Co”, ossia “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”. Tale disegno di legge venne a galla dopo che, per vicissitudini tutte interne all’allora maggioranza parlamentare, fu abbandonato il modello legislativo ispirato ai “PACS” (“Patti Civili di Solidarietà”) francesi. Ma neanche i “Di.Co” ebbero vita facile, a causa dell’opposizione ferma e risoluta di Clemente Mastella, che nel gennaio del 2007 minacciò l’uscita del suo partito, l’Udeur, dalla maggioranza e dal Governo nel caso in cui questi avessero portato avanti il progetto presentato dai ministri Pollastrini e Bindi.
Mastella approfittò della crisi dell’Esecutivo verificatasi nel mese successivo, originata dalla mancata fiducia parlamentare dell’Unione alla politica estera di D’Alema, per far espungere i “Di.Co” dal nuovo programma di dodici punti con cui Romano Prodi si presentò alle Camere per ottenerne nuovamente la fiducia. I Di.Co caddero così nel dimenticatoio e il Parlamento riprese il lavoro da zero, elaborando in Commissione Giustizia del Senato un testo chiamato “CUS” (“Contratti di Unione Solidale”), che giace immobile a Palazzo Madama dal giorno della definitiva caduta del Governo Prodi, avvenuta alla fine dello scorso gennaio. Ma lasciamo da parte l’Unione e Mastella (un uomo nei confronti del quale gli italiani tutti dovrebbero serbare gratitudine e riconoscenza per essere stato in qualche modo all’origine della consunzione finale dell’Esecutivo prodiano) e torniamo a noi.
Come dicevamo all’inizio, il Consigliere Gueglio, con la sua mozione, ci riporta indietro nel tempo. Ci riporta all’epoca in cui la sinistra “antagonista”, entrata nella stanza dei bottoni, si fece portavoce, nel Governo e nelle aule parlamentari, dei cosiddetti “nuovi diritti civili”, presentati come il punto più avanzato del progressismo contemporaneo, la nuova frontiera della lotta di classe, l’ultima Thule delle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria.
Oggi che i partiti confluiti nella Sinistra Arcobaleno sono rimasti esclusi dal Parlamento a seguito del disastroso risultato elettorale del 13 e 14 aprile scorsi, dalle lettere inviate ai giornali e pubblicate sui blog dagli stessi elettori di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani, di Sinistra Democratica, apprendiamo che quella che i dirigenti ritenevano essere la chiave per ottenere nuovo consenso è stata invece percepita dai militanti come una pietra d’inciampo. Come un fastidioso tributo alla mentalità del tempo (come, del resto, un tributo alla mentalità del tempo appare la partecipazione dell’ex deputato comunista Vladimiro Guadagno, alias Luxuria, alla trasmissione televisiva “L’Isola dei Famosi”). O, peggio, come un diversivo per coprire il fallimento dell’esperienza governativa della sinistra massimalista su temi ben più scottanti, come l’economia e le pensioni, e più imbarazzanti, come la politica estera e il ripetuto voto favorevole del Prc, del Pdci e dei Verdi al rifinanziamento delle missioni militari all’estero.
In una lettera inviata al leader di Sinistra Democratica, Fabio Mussi, un operaio di Piombino, ad esempio, scriveva: “Non vi seguo più. Ormai vi occupate soltanto – e qui utilizzerò vocaboli alternativi per evitare quelli volgari e offensivi contenuti nella missiva – di omosessuali e di immigrati”. I cosiddetti “nuovi diritti”, dunque, tra cui i “Di.Co” in oggetto, ritenuti dai dirigenti della sinistra antagonista come un fiore all’occhiello di una politica genuinamente progressista, non hanno fatto breccia nell’elettorato tradizionale del Prc, dei Comunisti Italiani, di Sinistra Democratica. Potremmo dire, gettando un occhio alle molte analisi del voto politico del 13 e 14 aprile scorsi, che il proletariato ha tradito la sinistra perché la sinistra ha tradito il proletariato. Come ha riconosciuto anche Fausto Bertinotti durante il suo acceso discorso all’ultimo congresso di Rifondazione Comunista - cito testualmente - “quando un operaio tesserato per la Fiom va a votare Lega non bisogna considerarlo uno sciocco: è un preciso segnale per indicare che è stata tradita un’attesa”.
Perché vede, Consigliere Gueglio – e qui entriamo in medias res -, tra le questioni spacciate per temi capitali dall’intellighenzia della sinistra e dai capi dei suoi partiti e invece ritenute problemi minori dal suo elettorato, c’è pure quella delle unioni civili e dell’istituzione di un registro ad hoc per le coppie di fatto. Lo dice l’Istat, lo certificano le statistiche: chi sceglie la convivenza, nella maggior parte dei casi, o lo fa proprio per dare una forma meno impegnativa e meno vincolante (in termini di doveri e di diritti) alla sua unione, oppure vive tale condizione come situazione prematrimoniale. Per quanto riguarda il primo caso, occorre domandarsi, allora, quale senso abbia istituzionalizzare per via legislativa legami che nascono proprio in contrapposizione con tutto ciò che sa di “contrattualizzazione” del rapporto di coppia, di assunzione di responsabilità verso terzi e verso lo Stato. Per quanto riguarda il secondo caso, invece, basti citare gli ultimi dati Istat disponibili, dai quali apprendiamo che il 34,1% di coloro che si sono sposati negli ultimi cinque anni aveva una convivenza alle spalle.
Anche dal punto di vista giuridico, poi, occorre fare una riflessione di metodo prima ancora che di merito: quando si progetta una legge o si ipotizza un regolamento come quello in discussione questa sera, è necessario innanzitutto identificare quale sia l’esigenza sociale che li renderebbe necessari. Per quanto riguarda le convivenze, spesso si invoca da un lato un presunto “vuoto legislativo” e, dall’altro lato, la “realtà di fatto” nella quale si troverebbero alcune centinaia di migliaia di coppie. In entrambi i casi, però, le argomentazioni non sembrano fondate. Il diritto, infatti, non esiste per “riempire dei vuoti”, né, soprattutto, per offrire una veste giuridica a tutto ciò che esiste. Deve invece trovare la sua ragione d’essere nella ricerca della giustizia.
Al tempo stesso, prima di approvare una nuova legge o un regolamento, in particolare su temi così sensibili, occorre verificare se non sia possibile raggiungere gli stessi risultati per altra via, attraverso strumenti del diritto privato o iniziative autonome delle parti. Già oggi, infatti, sono numerose sia le norme che assegnano un ruolo al convivente (per esempio, nel decidere sul prelievo di organi), sia le tutele previste dalla giurisprudenza (come per il subentro nel contratto d’affitto) sia, infine, le possibilità offerte dal diritto privato (dal testamento alle polizze assicurative).
Nel caso poi dell’istituzione di un registro delle coppie di fatto nei Comuni, occorre aggiungere due dati imprescindibili, su cui invito il Consigliere Gueglio a riflettere. Primo dato: laddove sono stati creati, i registri delle unioni civili non hanno, per così dire, avuto successo. Vediamo alcuni esempi concreti di città in cui tali registri sono stati istituiti:
Bolzano: 0 coppie iscritte
Arezzo: 1 coppia
Empoli: 2 coppie
Firenze: 20 coppie
Pisa: 34 coppie
Rosignano: 0 coppie
Scandicci: 1 coppia
Come si vede, sono numeri non certo esaltanti. Lo riconosce anche Davide Santandrea, presidente dell’associazione “Nuova Gay Lesbica Nazionale”, quando afferma che “i registri delle unioni civili tanto divulgati da Arcigay si sono manifestati un vero flop”. Questo per lo stesso motivo di cui parlavamo poc’anzi, ossia perché chi sceglie la convivenza, nella maggior parte dei casi, lo fa proprio per rimanere meno vincolato all’altra persona in termini non certo d’affetto, ma di doveri pubblici e di pubblici diritti.
Il secondo dato su cui invito il Consigliere Gueglio a riflettere è che la disciplina di una materia così importante dovrebbe essere lasciata al Parlamento, al potere legislativo nazionale. Come ha dichiarato un esponente del Partito Democratico, Franco Monaco, all’Unità del 19 dicembre 2007, giorno successivo alla bocciatura, da parte del Consiglio Comunale di Roma, di una pratica volta a istituire nella Capitale il registro delle unioni civili: “E’ il Parlamento che deve occuparsi di una materia così seria e delicata”. E continuava: “Non mi pare saggio che i Comuni pretendano di anticipare e magari forzare la mano su soluzioni che, prive di aggancio legislativo, si rivelerebbero improvvisate, precarie e motivo di divisione invece che di coesione sociale”.
Per tutti questi motivi sono in disaccordo con il Consigliere Gueglio, che questa sera, dopo la mozione riguardante la “Culla per la vita” di cui ci siamo occupati alla fine di luglio, ha posto alla nostra attenzione un tema certamente rilevante in se stesso, ma che, nelle stesse parole di Gueglio, ha assunto la caratterizzazione di bandiera ideologica che va oltre i dati del buon senso e della realtà.
Concludo precisando che dire “no” ai Di.Co e al registro comunale delle unioni civili non significa negare l’esigenza di addivenire, attraverso strumenti idonei quali apposite norme di diritto privato, ad una più puntuale tutela di diritti individuali; significa piuttosto optare per il primato della famiglia fondata sul matrimonio; significa prediligere politiche che valorizzino i nuclei familiari, vero cardine della nostra società e della nostra bimillenaria cultura; significa dire “sì” alla nostra tradizione, che non è qualcosa di rancido e di ammuffito, ma è un corpo vivo a cui ancora oggi sentiamo, con gratitudine, di appartenere.
Gianteo Bordero
Vice-presidente del Consiglio comunale di Sestri Levante
Consigliere comunale del gruppo "Pdl-Lega-Udc-Per Ianni sindaco"
martedì 7 ottobre 2008
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