da Ragionpolitica.it del 21 ottobre 2008
A conti fatti, l'errore più grave che Walter Veltroni ha commesso nel suo anno alla guida del Partito Democratico è stata l'alleanza con Antonio Di Pietro. Oggi che i nodi di un matrimonio che «non s'aveva da fare» vengono inesorabilmente al pettine, con il proverbiale lancio degli stracci tra i due partner, la domanda che sorge spontanea è: «Caro Walter, chi te l'ha fatto fare?». L'impressione, infatti, è che quello tra Pd e Idv sia stato un connubio nel quale a guadagnarci sia stato, sin dall'inizio, soltanto uno dei contraenti: è grazie all'apparentamento con i Democratici che il partito di Di Pietro ha ottenuto un numero di parlamentari tale da consentire la formazione di gruppi autonomi sia alla Camera che al Senato; è grazie alla decisione di Veltroni di rifiutare l'alleanza con gli altri partiti della sinistra che l'ex pm ha potuto presentarsi, sin dal suo primo discorso tenuto a Montecitorio, come l'unico, vero oppositore al governo Berlusconi; è grazie alla mancanza di chiarezza programmatica e strategica del segretario del Pd che l'Italia dei Valori ha potuto, giorno dopo giorno, capitalizzare in termini di consenso il proprio radicalismo ideologico, il giustizialismo duro e puro, l'antiberlusconismo «senza se e senza ma».
Oggi, a sei mesi dall'inizio della legislatura, Veltroni scopre l'acqua calda e va a dire davanti alle telecamere di Che tempo che fa, come se niente fosse e come se non avesse responsabilità in materia, che «l'alleanza con Di Pietro è finita nel giorno in cui egli ha stracciato l'impegno di costituire un gruppo unico, perché, visto che aveva il numero dei parlamentari necessario per fare un gruppo in proprio, è venuto da noi e ha detto: "Quell'impegno preso non vale più"». Non domo, aggiunge: «Quando si va ai problemi di merito, si vedono grandi differenze tra noi e l'Italia dei Valori». E, rivolto a Fabio Fazio: «Prenda il tema dell'integrazione e chieda a Di Pietro opinioni su questo: troverà cose molto lontane dall'alfabeto della cultura democratica di centrosinistra». Domanda del conduttore: «Allora è pentito di quell'alleanza?». Risposta del segretario del Pd: «No, perché Di Pietro aveva firmato il nostro programma».
Ora, delle due l'una: o Veltroni è ingenuo fino al punto di pensare che una firma apposta in calce ad un programma possa di colpo cancellare l'identità di un partito e del suo leader, oppure, ancora una volta, tenta una spericolata giravolta politica provando a far credere agli italiani che in realtà lui è fermo mentre sono gli altri a muoversi e cambiare posizione. Peccato che ormai il trucco non regga più. Poteva funzionare nelle prime settimane della legislatura, quando al solito Di Pietro barricadiero faceva da contraltare il Veltroni della «nuova stagione», quello che proponeva e perseguiva la civilizzazione dei rapporti tra maggioranza e opposizione. Ma ora, dopo le mille e una piroette del segretario del Pd (un giorno dialogante, l'altro guerreggiante; un giorno a braccetto con Silvio, l'altro con Tonino; un giorno di governo - ombra - e l'altro di lotta), tutti hanno ben compreso che Walter non sa proprio che pesci pigliare e che il numero dei suoi riposizionamenti è inversamente proporzionale a quello delle sue certezze in materia di linea politica.
Il risultato è che, mentre Veltroni annaspa, Di Pietro gongola. Mentre il Partito Democratico è ormai sceso nei sondaggi sotto la soglia del 30%, l'Italia dei Valori continua a veder aumentare i propri consensi. Insomma, quanto più il Pd è debole, tanto più l'Idv diventa forte e il suo leader può tranquillamente affondare il coltello nel burro dell'indecisionismo veltroniano: lo si vede in Abruzzo, dove Di Pietro ha già presentato il suo candidato alla presidenza della Regione mentre il Pd è ancora in alto mare, e lo si vede nelle piazze, dove in breve tempo l'ex pm ha fatto il pienone di firme per il referendum contro il lodo Alfano mentre l'ex sindaco di Roma sta ancora sudando sette camicie per radunare il suo elettorato e per dare un contenuto alla protesta del 25 ottobre. Morale della favola: Veltroni è impantanato mentre Di Pietro naviga col vento in poppa. E' l'inevitabile conseguenza della sciagurata alleanza dell'aprile scorso. Se veramente, come dice oggi il segretario del Pd, il connubio è finito, lo dimostri anche con i fatti, a partire dai nodi della Vigilanza Rai e della nomina del nuovo giudice della Corte Costituzionale. Di parole, da Veltroni, ne abbiamo sentito troppe. E contraddittorie.
Gianteo Bordero
mercoledì 22 ottobre 2008
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