martedì 28 ottobre 2008

PIAZZA SENZA POLITICA

da Ragionpolitica.it del 28 ottobre 2008

La piazza crea una militanza. Ma, anche quando essa è piena, non crea per ciò stesso una politica. E' una regola, questa, confermata in pieno dalla manifestazione del Pd al Circo Massimo. Certo, la piazza riscalda, dà il senso della comune appartenenza, gratta via la ruggine da un impegno partitico spesso burocratizzato e ripetitivo. Eppure, tutto ciò non basta a trasformare la piazza in luogo di creazione della politica. Perché se mancano da un lato l'idea-guida e dall'altro l'indicazione di una direzione verso cui marciare, allora l'ardore, l'entusiasmo, la voglia di partecipazione che la piazza esprime rischiano di tramutarsi nello specchio di un'impotenza politica altrettanto forte quanto le passioni che fanno battere all'unisono i cuori di coloro che manifestano.

La piazza, quando è colorata e pacifica, è bella. Ma se chi la guida non è in grado di plasmare dalla massa un corpo politico, allora è soltanto una bellezza frustrata, anticamera della delusione e della disillusione. Per compiere quest'opera plasmatrice ci vorrebbe un modello di riferimento, un'immagine così potente da trasformare l'idea in realtà, una forza creativa capace di dare forma compiuta a una «materia» che altro non chiede se non diventare qualcosa di definito. Invece all'ordine del giorno non c'è la navigazione in mare aperto, il grande slancio verso un obiettivo compiutamente politico, ma le solite, piccole beghe attorno alle quali si arrovella una nomenklatura attenta più alla conservazione dell'esistente, di un equilibrio instabile sempre pronto a dissolversi alla prima folata di vento, che al coraggioso viaggio verso il futuro.

E allora eccolo, il piccolo timoniere del Circo Massimo, ripetere parole che altro non indicano se non il disperato tentativo di rimanere aggrappato per l'oggi a una poltrona che traballa dopo mesi di sconfitte, quotidiani ripensamenti, piroette da far venire il capogiro, svolte annunciate ma mai realizzate. Come può, ad esempio, scaldare i cuoi e dare una motivazione politica degna di tal nome il ripetere come un mantra il vocabolo «riformista», come se esso avesse la stessa potenza evocativa delle parole storiche della sinistra italiana - «proletariato», «lotta di classe», «diversità morale»? E' come pensare di dissetare un popolo intero con una bottiglietta da mezzo litro d'acqua. O di attraversare l'Oceano con una zattera di fortuna: imprese che possono riuscire soltanto se si possiedono doti magiche (nel primo caso) o una capacità di navigazione quasi sovrumana (nel secondo). Non è il caso di Veltroni. Il quale non può fare altro, oggi, che scegliere il piccolo cabotaggio, non potendosi allontanare troppo dalla riva a causa dei venti e dei marosi che lo travolgerebbero in mare aperto, là dove lo attendono al varco i suoi avversari.

Da qui il paradosso di una piazza piena di gente ma vuota di politica, di una prova di forza che, quanto più può servire al leader per ancorarsi alla sua posizione, tanto meno può servire al partito per prendere il largo nell'avventura della politica vera, quella capace di indicare il grande obiettivo, la grande meta, il termine del grande cammino. Dopo tutto - dopo il bagno di folla, dopo lo sventolio di bandiere, dopo il comizio «obameggiante», dopo i leggii invisibili, dopo le ovazioni e gli applausi - quello che resta della manifestazione al Circo Massimo è l'afasia sulle questioni essenziali della politica, quelle che possono trasformare la piazza in popolo, la militanza in milizia, un partito liquido in un partito in carne ed ossa. Quello che ancora manca al Pd non sono tanto i numeri, quanto quelle che Gaber chiamava, nella sua canzone Qualcuno era comunista, «le ali per volare». Le ali che Veltroni non ha saputo costruire per coloro che sabato sono accorsi ad ascoltarlo.

Gianteo Bordero

Nessun commento: