L'appello lanciato lunedì dalle pagine del Riformista dal direttore Antonio Polito è chiaro e inequivocabile: in un momento di crisi economica come quello attuale, con gli italiani impauriti per i possibili effetti negativi sui loro risparmi e sui loro investimenti, con le banche che navigano a vista in una tempesta di cui nessuno ha ancora saputo quantificare con precisione l'entità e la durata, occorrerebbe un'opposizione responsabile, che collaborasse col governo «per servire l'interesse nazionale».
Invece, che cosa ci troviamo di fronte quando osserviamo il Partito Democratico? Oltre che ad assistere ad una lotta belluina e senza esclusione di colpi tra correnti, correntine e sottocorrenti, vediamo il segretario Walter Veltroni impegnato a fare a gara con Antonio Di Pietro a chi, ogni giorno, la spara più grossa contro il governo, a chi è più anti-berlusconiano, a chi merita la medaglia al valor civile per la resistenza al nuovo tiranno. Insomma: di politica nemmeno l'ombra. Il sistema-paese vive queste settimane con il fiato sospeso e il leader del maggior partito d'opposizione che fa? Gioca irresponsabilmente al «tanto peggio, tanto meglio», convinto di riuscire con ciò a riempire la piazza in occasione della manifestazione nazionale del Pd del 25 ottobre, ponendo un argine alla crisi di consenso che perdura dallo scorso aprile.
Per ascoltare nel Pd un approccio politico degno di tal nome occorre bussare alla porta di Massimo D'Alema, che in quel di Capri, davanti ai giovani industriali, imposta il suo ragionamento tenendo conto di uno spettro di problemi ben più ampio di quello che occupa la mente dell'ex sindaco di Roma. D'Alema mostra di essere pienamente consapevole della portata della crisi globale. Per questo ragiona in termini di sistema, anche politico, riconoscendo i meriti del presidente del Consiglio («che ha rassicurato sulla solidità del nostro sistema bancario e finanziario») e invitando il centrosinistra ad adottare un atteggiamento responsabile «su scelte fondamentali per il nostro paese», perché quello che stiamo vivendo è «un momento di grandi cambiamenti, che comportano intese ampie e politiche di lungo periodo». Peccato, però, che quella espressa dall'ex ministro degli Esteri non corrisponda alla prospettiva strategica dell'intero Partito Democratico, in primis a quella dell'eterno nemico di D'Alema, Walter Veltroni, che dopo aver per mesi pontificato sul «dialogo» con il centrodestra, senza peraltro riempire di contenuti la parolina magica, ha ora vestito i panni dell'oppositore a prescindere, inflessibile, senza se e senza ma. E, come dicevamo, anche senza politica.
Non devono stupire, perciò, le parole pronunciate domenica sera da Silvio Berlusconi alla Festa della Libertà svoltasi a Milano. Il presidente del Consiglio, preso atto che con l'attuale leader dell'opposizione risulta impossibile confrontarsi seriamente sulle questioni vitali per il sistema-paese, ha affermato: «Speravamo ci fosse un interlocutore per fare le regole insieme e invece è sprofondato nelle tenebre dell'invidia sociale. Oggi dobbiamo far fronte alle necessità del paese contando solo sulle nostre forze... E' un'opposizione che è passata dal comunismo allo sfascismo. Siamo decisi a governare anche da soli ed andare avanti con la realizzazione del programma per gli italiani».
Quanto tempo bisognerà ancora attendere per vedere qualche cosa cambiare dalle parti del Pd? Certamente un segnale verrà dalla manifestazione di piazza del 25 ottobre, sulla quale Veltroni ha puntato molte delle fiches che gli restano per mantenere salda la sua segreteria. Le ultime saranno quelle da spendere in occasione delle elezioni della prossima primavera (amministrative ed europee), vera deadline fissata dai maggiorenti del partito per un giudizio definitivo sulla gestione veltroniana. A quel punto, come si suol dire, chi avrà più filo tesserà. Quello dell'ex sindaco di Roma sembra esaurito già oggi, mentre la tela dalemiana appare in continua espansione.
Gianteo Bordero
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