giovedì 31 dicembre 2009

IL SOLITO PD

da Ragionpolitica.it del 30 dicembre 2009

Passano le stagioni, passano gli anni, passano i segretari. Ma il Partito Democratico non cambia mai. Diviso come sempre, litigioso come sempre, inconcludente come sempre. Ogni leader che ne prende in mano il timone viene in un primo momento acclamato e presentato come il salvatore della patria, salvo poi rimanere ostaggio dei veti incrociati, delle ripicche personali, delle vendette tra notabili. Il risultato è che il partito appare come una barca ingovernabile, strattonata a destra da chi vorrebbe un Pd più moderno, riformista e responsabile, e a manca da chi lo vorrebbe sempre più antiberlusconiano, dipietrista ed estremista. Tenere la barra al centro, in queste condizioni, è impresa quasi disperata. E non basta vincere un Congresso e accontentare gli sconfitti con incarichi di primo piano per mettersi al riparo dalle rivolte interne di una ciurma in cui ognuno aspira a fare il comandante e nessuno si sacrifica per il gruppo. Ne sta facendo esperienza diretta, in questi giorni, il nuovo segretario Pier Luigi Bersani, che, dopo una breve fase post-congressuale nella quale sembravano essere presenti tutte le condizioni per poter seguire una rotta politica certa e per intraprendere una navigazione più tranquilla rispetto agli anni scorsi, deve ora fare i conti con i fantasmi del passato che incombono alle sue spalle con un'ombra inquietante che nulla di buono lascia presagire per il futuro.


I fatti sono noti: al contrario del suo predecessore, capace soltanto di ripetere banali slogan antiberlusconiani nella speranza di strappare qualche voto all'amico-nemico Antonio Di Pietro (pia illusione!), Bersani ha deciso che non è più il tempo delle mele, cioè dell'adolescenza politica del Pd, e che è arrivato il momento della maturità, cioè della responsabilità. Tradotto: basta con la purulenta dose quotidiana di contumelie contro il centrodestra e il suo leader, che nulla producono sul piano politico e neppure riescono a spostare un voto uno in direzione del Partito Democratico; meglio confrontarsi con l'avversario sul terreno dei contenuti, sull'idea di paese, contrapponendosi sul piano della politica senza però fomentare l'odio contro la persona. E se c'è da affrontare insieme i grandi nodi della riforma costituzionale, il Pd non si tira di certo indietro. Apriti cielo! E' bastato che il nuovo segretario sussurrasse questi concetti, propri di ogni democrazia e patrimonio di ogni vero democratico, per scatenare il «fuoco amico» delle solite Rosy Bindi e dei soliti Ignazio Marino e Dario Franceschini, contrari a prescindere ad ogni minimo contatto con il Cavaliere Nero. Persino un redivivo Walter Veltroni, che tutti ricordano come l'uomo del disgelo, della nuova stagione, delle prediche contro l'infantilismo antiberlusconiano, ha reso noto il suo sdegno per le posizioni espresse da Bersani e soprattutto dal suo grande sponsor, Massimo D'Alema, colpevole di aver dichiarato che a volte i compromessi con l'avversario sono utili se hanno come fine il bene del paese.


Così Bersani si ritrova oggi a dover giocare sulla difensiva, costretto a smentire ogni tipo di contatto con il presidente del Consiglio e a cercare di dimostrare di non essere l'uomo dell'inciucio. Una situazione, quella del segretario, resa ancor più complicata dall'approssimarsi della data per la definizione delle candidature per le elezioni regionali del prossimo marzo. Un appuntamento decisivo per il Partito Democratico e, soprattutto, un importante banco di prova per Bersani, che uscirebbe malconcio da un'eventuale (e non improbabile) débacle in alcune Regioni attualmente amministrate dal centrosinistra e che, secondo i sondaggi, potrebbero passare al centrodestra. La scelta dei candidati e, soprattutto, la definizione delle alleanze sono dunque decisive per riuscire a tener testa allo schieramento avverso: il segretario ha detto chiaro e tondo di non voler rinunciare, laddove possibile, a un accordo con l'Udc di Pier Ferdinando Casini, ago della bilancia in alcune Regioni. Accordo che viene invece visto come fumo negli occhi dall'ala dura e pura, che pensa soprattutto a siglare patti con Di Pietro e ad allargare il più possibile a sinistra l'alleanza. Indicativo è, in tal senso, quello che sta accadendo in Puglia, con una lotta senza esclusione di colpi, in vista della nomination, tra il presidente uscente, Nichi Vendola, e il sindaco di Bari Michele Emiliano, osteggiato dai veltroniani e sostenuto dal segretario.


Sono segnali che indicano come il livello di scontro all'interno del Partito Democratico sia tornato a livelli da stato d'allerta, e che potrebbero avere serie ripercussioni sul confronto in merito alle riforme costituzionali auspicate dai leader di entrambi gli schieramenti. Come ha osservato Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 30 dicembre, «le trattative sulle riforme sono come i negoziati internazionali: non portano a nulla se l'uno o l'altro (sia esso un partito politico o uno Stato) dei supposti protagonisti della trattativa è debole e diviso al suo interno, il che lo rende un negoziatore poco efficace e poco affidabile. Questa è la situazione in cui versa oggi il Partito democratico». Non sarà dunque responsabilità di Berlusconi se la maggioranza sarà di fatto costretta a procedere da sola nell'ammodernare la Carta costituzionale e le istituzioni italiane.


Gianteo Bordero

mercoledì 30 dicembre 2009

SESTRI LEVANTE. IL CENTRODESTRA ATTACCA LA GIUNTA LAVARELLO PER LE SCELTE AMMINISTRATIVE DEL 2009

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

GRUPPO CONSILIARE “IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


COMUNICATO STAMPA DEL 30 DICEMBRE 2009


Il bilancio dell’attività amministrativa della Giunta Lavarello per l’anno 2009 è a dir poco negativo. Alla debolezza politica dell’Amministrazione, testimoniata dal recente “rimpasto” di Giunta che ha riguardato importanti deleghe come quelle all’Ambiente, al Personale e al Turismo, si aggiunge la preoccupante mancanza di una strategia di sviluppo della città. Per dimostrare tutto ciò abbiamo focalizzato la nostra attenzione su cinque importanti capitoli dell’attività amministrativa: politica fiscale, ambiente, politica urbanistica, opere pubbliche, politica per le frazioni.

POLITICA FISCALE: TASSE, TASSE E ANCORA TASSE

A Sestri Levante il 2009 è stato, purtroppo, l’anno della stangata fiscale. Il bilancio di previsione, approvato il 30 marzo, ha fatto piovere sui cittadini una serie impressionante di aumenti di tasse e tariffe. L’Amministrazione Lavarello ha scelto di andare a mettere le mani nelle tasche dei sestresi invece che procedere ad un ripensamento complessivo della gestione della macchina comunale, tale da garantire una vera economicità della stessa e, al medesimo tempo, una vera efficienza amministrativa. Sono stati varati aumenti esponenziali della Tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU), del Canone per l’occupazione di suolo pubblico (COSAP), delle tariffe per il rilascio dei contrassegni auto per le ZTL e ZSL, delle tariffe per le concessioni cimiteriali e di quelle per i servizi pubblici a domanda individuale.


AMBIENTE: DI MALE IN PEGGIO


Anche quest’anno Sestri Levante (a differenza dei Comuni limitrofi di Lavagna e Moneglia) non ha ottenuto l’importante e prestigioso riconoscimento della Bandiera Blu, assegnato dalla Foundation for Environmental Education sulla base della valutazione, tra le altre cose, della qualità delle acque di balneazione, dell’efficienza della depurazione, del livello di raccolta differenziata dei rifiuti.


A luglio, in piena stagione balneare, l’ARPAL (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure) ha riscontrato nella Baia delle Favole un inquinamento delle acque marine, probabilmente dovuto ad uno sversamento di fogna in un canale delle acque bianche. L’Amministrazione ha perciò dovuto emanare un divieto di balneazione che si è protratto per quasi due settimane, fino a quando le analisi dell’ARPAL non hanno certificato il ritorno alla normalità.


Ad agosto, poi, sono stati diffusi i dati regionali riguardanti la raccolta differenziata dei rifiuti nei Comuni liguri. Sestri si è aggiudicata la maglia nera, risultando tra i pochissimi Comuni che, invece che implementare la differenziata nell’ultimo anno, l’hanno ridotta, passando dal 25,3% al 24,3%.

Infine, negli ultimi giorni di agosto, sia nel torrente Gromolo che nel torrente Petronio si è verificato un inquinamento delle acque dovuto a sversamento di fogna. Episodi che hanno confermato i nostri timori circa la scarsa tenuta del sistema fognario.

POLITICA URBANISTICA. VEDI ALLA VOCE “SECONDA CASA”


Continuano a crescere come funghi, sul territorio comunale, le seconde case. Basta osservare quanto sta accadendo nelle aree ex Fit per rendersene conto. Tutto questo mentre restano al palo i progetti di edilizia convenzionata, che dovrebbero garantire la prima casa a giovani residenti a Sestri Levante. Il condizionale è d’obbligo poiché, a quanto ci consta, i prezzi di tali abitazioni si aggirano su cifre di poco inferiori a quelle di mercato. Da informazioni che abbiamo ricevuto, parrebbe che alcuni giovani che si erano iscritti alle cooperative che gestiranno la costruzione di queste case abbiano deciso, venuti a conoscenza dei prezzi, di tirarsene fuori.


GRANDI OPERE? GRANDI RITARDI… E IL CITTADINO PAGA


Mentre l’Amministrazione Lavarello trascura non di rado l’ordinaria manutenzione delle strade e dei marciapiedi, e non è in grado di garantire quel decoro urbano che una città come Sestri Levante meriterebbe, le cosiddette “grandi opere” con cui la Giunta vorrebbe farsi bella di fronte ai sestresi registrano molto spesso ritardi nell’esecuzione: i cantieri protraggono i loro lavori ben oltre quanto stabilito e ciò porta ad un aggravio di costi per il contribuente. Basti pensare al nuovo cinema Conchiglia e alla copertura del nuovo posteggio di Sant’Anna. Come se non bastasse, opere di recente realizzazione già necessitano di manutenzione straordinaria dovuta a crepe nelle strutture o problemi di altro genere. Anche qui, il cittadino paga… due volte.


PER LE FRAZIONI QUINTALI DI PROPAGANDA


Sulle frazioni tanto fumo negli occhi per propagandare il niente. I 200 mila euro stanziati, e presentati con toni trionfalistici dall’assessore Ceselli, non sono una cifra straordinaria, ma solo il minimo indispensabile per effettuare interventi di ordinaria manutenzione. Una cifra, quindi, che normalmente dovrebbe essere già a bilancio. La verità è che dal ’94 ad oggi è mancato un serio e organico piano di investimenti per poter intervenire radicalmente per risolvere le problematiche delle frazioni. Si continua ad andare avanti solo con dei rattoppi. Recentemente, con un sopralluogo a San Bernardo e Costa Rossa, abbiamo raccolto testimonianze fotografiche che denunciano il “non fatto”.


Gianteo Bordero (capogruppo)

Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

giovedì 24 dicembre 2009

SANTO NATALE 2009

AGGRESSIONE A SILVIO BERLUSCONI. BORDERO REPLICA AL CONSIGLIERE DELLA "SINISTRA UNITA" VINCENZO GUEGLIO

pubblicata su Menabonews.it il 24 dicembre 2009

Gentile Direttore,


ho letto con interesse il comunicato stampa del Consigliere Vincenzo Gueglio riguardante la discussione che ha avuto luogo il 14 dicembre nel Consiglio Comunale di Sestri Levante, su iniziativa del nostro gruppo “Il Popolo della Libertà – Lega Nord”, in merito alla violenta aggressione subìta dal Presidente del Consiglio a Milano lo scorso 13 dicembre. Gueglio riprende le argomentazioni da lui già esposte in Consiglio al momento dell’illustrazione di un ordine del giorno alternativo a quello presentato dal nostro gruppo, nel quale chiedevamo al Sindaco e alla Giunta di “far pervenire alla presidenza del Consiglio dei Ministri un messaggio ufficiale che, facendosi interprete dei sentimenti espressi dal Consiglio Comunale, condanni fermamente l’episodio avvenuto a Milano il 13 dicembre 2009 ed esprima al Presidente del Consiglio solidarietà per la violenta aggressione subìta”. Tale ordine del giorno è stato approvato da tutto il Consiglio ad esclusione di Gueglio e di uno dei Consiglieri del Partito Democratico, Bruno Panteri, che al momento della votazione è uscito dall’aula.

Gueglio, nel suo comunicato, si arrampica sugli specchi per giustificare la decisione di non votare il nostro documento, affermando che tale scelta è stata dovuta ai toni che io avrei usato nel presentarlo: toni che non potevano non essere fermi nel condannare un gravissimo atto di violenza contro il Presidente del Consiglio democraticamente scelto dal popolo per ricoprire la quarta carica dello Stato. Come avrei potuto tacere, poi, la lunga campagna d’odio che è stata fomentata in maniera crescente negli ultimi mesi da settori della sinistra politica, mediatica e giudiziaria nei confronti del premier, accusato senza prova alcuna, ma solo sulla base di un pregiudiziale risentimento “contra personam”, delle peggiori nefandezze morali e dei peggiori crimini possibili? Negare che tale campagna abbia avuto corso è possibile soltanto a chi ancora guarda la realtà con gli occhiali deformanti dell’ideologia dell’antiberlusconismo totale, che considera l’attuale premier non un avversario politico da sconfiggere con gli strumenti della democrazia, ma un Nemico da abbattere ad ogni costo, l’incarnazione del Male assoluto - o, per dirla con le inqualificabili dichiarazioni odierne di Antonio Di Pietro - il Diavolo in persona. L’antiberlusconismo totale, come ogni ideologia, pone tra l’individuo e la realtà una nube che impedisce di cogliere le cose per quello che sono e porta con sé i germi di un avvelenamento del clima politico e civile dagli esiti devastanti.

Il punto per me inaccettabile dell’ordine del giorno che il Consigliere Gueglio ha presentato in alternativa al nostro è che in esso si fa finta che la suddetta campagna d’odio contro il Presidente del Consiglio non abbia avuto luogo, per lasciare poi intendere che vi sia stata una corresponsabilità di Berlusconi nell’aver creato il clima da cui è scaturita l’aggressione di Milano. E’ questa, ancora una volta, la teoria di Di Pietro, che subito dopo i fatti del 13 dicembre ha affermato che, in sostanza, il premier se l’era cercata. Gueglio la pensa allo stesso modo del leader dell’Italia dei Valori?

Un ultimo punto vorrei sottoporre all’attenzione del Consigliere. Il Segretario sestrese di Rifondazione Comunista, partito che alle elezioni comunali del 2008 ha sostenuto Gueglio, ha rilasciato ieri al “Corriere Mercantile” questa dichiarazione in merito a una nostra recente raccolta di firme in difesa del crocifisso: “L’iniziativa del Pdl è strumentale. Come fa a parlare di valori del cristianesimo un partito alleato con la Lega Nord, concentrato di razzismo, odio ed intolleranza verso i poveri e gli ultimi? Ipocrisia e vergogna, roba da sepolcri imbiancati, seguaci a parole di chi ha predicato amore ed umiltà, in realtà fomentatori di odio e disprezzo”. Vedremo se Gueglio prenderà le distanze da queste dichiarazioni e se, per altro verso, condannerà prontamente l’atto di vandalismo di cui è stata oggetto da parte di ignoti, la notte scorsa, per l’ennesima volta, la sede sestrese della Lega Nord - un alleato al quale va tutta la solidarietà mia personale e del gruppo consiliare, tanto per le aggressioni verbali contro il partito quanto per quelle materiali contro la sede di Viale Dante. In entrambi i casi si tratta di episodi che nulla hanno a che fare con la democrazia e con il rispetto delle idee altrui, fondamento del vivere civile.


Gianteo Bordero

(Capogruppo consiliare “Il Popolo della Libertà – Lega Nord”, Sestri Levante)

mercoledì 23 dicembre 2009

IL VALORE ECCLESIALE DEL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE DI PIO XII

da Ragionpolitica.it del 23 dicembre 2009

Con il via libera al riconoscimento delle virtù eroiche di Pio XII, passo necessario in vista della beatificazione di Papa Pacelli, Benedetto XVI scrive un'altra pagina importante del suo pontificato. La decisione assunta da Joseph Ratzinger lo scorso sabato ha infatti un significato che va ben oltre la semplice firma del decreto sottopostogli dalla Congregazione delle cause dei santi. Si tratta di un significato - si badi bene - in primis ecclesiale prima ancora che storico, checché ne dicano i grandi quotidiani nazionali, animati da un preconcetto anti-ratzingeriano che li porta puntualmente a stravolgere il senso delle sue scelte (in questo caso a presentare la decisione su Pio XII - in omaggio alla vulgata che dipinge Papa Pacelli come il pontefice del silenzio e dell'inazione nei confronti del nazismo e della Shoah - come uno schiaffo dato da Benedetto XVI agli ebrei e alla memoria dell'Olocausto).


In realtà, come accennato, la scelta di Papa Ratzinger riveste un'importanza di prim'ordine sul piano innanzitutto ecclesiale. Pio XII è stato ingiustamente rappresentato, da buona parte della pubblicistica cattolica post-conciliare, come il simbolo di tutto ciò che il Vaticano II aveva contribuito a superare nel nome della modernità e del progresso teologico: di volta in volta, Papa Pacelli è divenuto l'icona di un bieco tradizionalismo, di una pervicace insensibilità ai temi posti dal pensiero moderno e contemporaneo, di un oscurantismo teologico nemico di ogni libertà di ricerca, di un passatismo nostalgico e ripiegato su se stesso, di un temporalismo fuori tempo massimo. Chiunque ne abbia invece letto senza pregiudizi gli scritti, i discorsi e le encicliche, e ne abbia studiato il magistero, sa benissimo che le cose non stanno così: Pio XII fu un Papa attento ai nuovi sviluppi della teologia, ne condannò certi eccessi valorizzando però i contributi positivi che sarebbero potuti derivare, ad esempio, dagli studi storici e dall'esegesi; fu il primo ad avvertire la necessità di un Concilio che affrontasse le questioni lasciate aperte dal Vaticano I; fu sensibile alle nuove conquiste tecnologiche e ai nuovi mezzi di comunicazione di massa quali il cinema; fu laico nel concepire il ruolo dei cattolici all'interno della politica italiana, accettando soltanto come una soluzione imposta dalle circostanze un partito unico e confessionale dei credenti. E l'elenco potrebbe continuare.


Se l'immagine di Papa Pacelli che è stata divulgata all'interno del mondo cattolico in questi ultimi decenni è quella che abbiamo brevemente tratteggiato, è perché ai fautori del Concilio come rottura netta con la storia della Chiesa serviva un simbolo da contrapporre a Giovanni XXIII, un Papa «cattivo» da opporre al Papa «buono», un Papa del regresso da contrapporre al Papa del progresso. Su Pio XII, in sostanza, è stata compiuta un'operazione di falsificazione ideologica senza la quale non sarebbe stato possibile portare innanzi e diffondere a livello di massa l'interpretazione del Vaticano II come discontinuità con un passato ritenuto non più presentabile e all'altezza dei tempi nuovi.


E' per spezzare questo specchio deformante che Benedetto XVI, con una decisione ancora una volta molto coraggiosa, ha voluto rendere giustizia alla figura di un suo predecessore: riconoscere le virtù eroiche di un Papa significa infatti, tra le altre cose, inserirlo a pieno titolo nel cammino di santità della Chiesa, in continuità con la sua tradizione e con la sua storia bimillenaria. Il leitmotiv del pontificato ratizingeriano, del resto, è proprio la volontà di fare piazza pulita di una lettura del Vaticano II completamente fuorviante, tesa a creare artatamente un pre-Concilio foriero di ogni male e un post-Concilio portatore di ogni bene per la Chiesa cattolica. Su questa linea si collocano alcuni tra gli atti più significativi del papato di Benedetto XVI, tra cui la «liberalizzazione» del Messale di San Pio V, la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani ed ora la firma del decreto che riconosce le virtù eroiche di Pio XII. Così Papa Ratzinger unisce ciò che una interpretazione faziosa del Concilio ha diviso, restituendo piena dignità a un grande pontefice chiamato a guidare la barca di Pietro in tempi difficili e tempestosi.


Gianteo Bordero

giovedì 17 dicembre 2009

LA SINISTRA ALLA PROVA

da Ragionpolitica.it del 17 dicembre 2009

Silvio Berlusconi ha lasciato giovedì mattina l'ospedale San Raffaele e ha fatto ritorno nella sua residenza di Arcore. In una nota diffusa da Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio ha messo nero su bianco alcune importanti riflessioni, che tracciano la rotta non soltanto per il prosieguo dell'azione di governo, ma anche per la restaurazione di un clima di civiltà politica che oggi appare non più procrastinabile.


Vittima dell'«odio di pochi» e sostenuto dall'«amore di tanti, tantissimi», il premier annuncia che «andremo avanti con più forza e più determinazione di prima sulla strada della libertà. Lo dobbiamo al nostro popolo, lo dobbiamo alla nostra democrazia, nella quale non prevarranno né la violenza delle pietre, né quella peggiore delle parole». Provato nel fisico, ma non nello spirito combattivo che da sempre lo contraddistingue, Berlusconi rinnova così il suo impegno di fronte agli italiani che lo hanno chiamato alla guida del paese, e che in questi giorni gli hanno tributato una straordinaria manifestazione di affetto, di vicinanza e di solidarietà, mostrando nei confronti del premier un calore umano e una fiducia che rappresentano il miglior viatico per la ripresa dell'attività dopo il periodo di riposo consigliato dai medici.


Ma è nella seconda parte del comunicato che emerge il vero messaggio politico lanciato dal presidente del Consiglio, quello attorno al quale si gioca la partita più importante per l'intera classe politica e per l'intero paese. Berlusconi afferma che esiste una condizione per cui tutte le sofferenze che egli ha patito dal momento della violenta aggressione di domenica possono non essere inutili. Afferma il premier: «Se da quello che è successo deriverà una maggiore consapevolezza della necessità di un linguaggio più pacato e più onesto nella politica italiana, allora questo dolore non sarà stato inutile». E, rivolgendosi a quei «leader politici dell'opposizione» che egli dice di aver sentito ha sentito vicini dopo i drammatici fatti di Piazza del Duomo, chiede loro una sola cosa, ma impegnativa: «Prendere le distanze in modo onesto dai pochi fomentatori di violenza». Non si tratta dunque, per l'opposizione, di rinunciare alla durezza della contrapposizione politica sui temi del governo, bensì di ricondurre il dibattito e l'asprezza della battaglia tra schieramenti all'interno di quei minimi parametri di civiltà che sono stati ampiamente valicati con la furibonda campagna di delegittimazione personale e morale di cui il presidente del Consiglio è stato oggetto in maniera crescente negli ultimi mesi. Solo così «potrà finalmente aprirsi una nuova stagione di dialogo». Che non significa fare inciuci o cose simili, ma ripristinare ciò che accade in qualsiasi democrazia normale e degna di questo nome, in cui chi ha vinto le elezioni, forte del consenso popolare, dispiega legittimamente la sua opera di governo e altrettanto legittimamente viene contrastato dalle opposizioni, ma non quotidianamente demonizzato, indicato come Nemico assoluto e dipinto come il Male da abbattere.


Non sappiamo se l'invito contenuto nelle parole del presidente del Consiglio verrà accolto dai destinatari. E di certo non fanno ben sperare le dichiarazioni rilasciate giovedì da alcuni esponenti del Partito Democratico. Quello che è certo è che il maggior partito della sinistra italiana, di fronte all'appello del premier, non ha più alibi: o imbocca la strada della responsabilità e del confronto serio sul piano politico, isolando gli estremisti e gli incendiari, oppure finirà per consegnare tutto lo spazio dell'opposizione a quei partiti e a quei settori della gauche che anche in questi ultimi giorni non hanno mancato di mettere in mostra tutto il loro odio contro Berlusconi, e ai quali, evidentemente, i fatti di domenica non hanno insegnato nulla. Il capo del governo è cosciente di ciò, e per questo scrive, a conclusione del suo messaggio: «In ogni caso, noi andremo avanti sulla strada delle riforme che gli italiani ci chiedono».


Gianteo Bordero

mercoledì 16 dicembre 2009

SESTRI LEVANTE. L'AMBIGUITÀ DI CERTA SINISTRA DI FRONTE ALL'AGGRESSIONE A BERLUSCONI

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

GRUPPO CONSILIARE

“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


COMUNICATO STAMPA DEL 16 DICEMBRE 2009


Abbiamo accolto con soddisfazione, lunedì sera, il voto a larghissima maggioranza sul nostro ordine del giorno che chiedeva al Consiglio Comunale una ferma condanna della violenta aggressione subìta dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e un’espressione di solidarietà al premier.

Ci rammarichiamo, però, per l’astensione del consigliere de “La sinistra unita per Sestri”, Vincenzo Gueglio, e soprattutto per l’uscita dall’aula, al momento della votazione, di uno dei consiglieri del Partito Democratico, Bruno Panteri, che non ha aderito all’appello fatto pochi minuti prima dal suo capogruppo per un voto unitario del Pd all’ordine del giorno da noi presentato. Dispiace dover riscontrare una divisione - seppur piccola - anche su questi temi, che dovrebbero invece trovare unanime il Consiglio Comunale. Così non è stato, e ne prendiamo atto.

Riteniamo che, di fronte ad un atto così grave come quello della scorsa domenica, non possano esistere i distinguo, i “se”, i “ma” e i “però”: l’aggressione al presidente del Consiglio ha rappresentato un gesto criminale e perciò in alcun modo giustificabile, a meno che non si pensi, come qualche esponente nazionale dell’antiberlusconismo fanatico e totale, che il premier sia un oppressore del popolo, un dittatore al quale può essere applicata l’extrema ratio del tirannicidio.

Noi, da par nostro, siamo convinti che quanto accaduto a Milano debba essere condannato nella maniera più ferma possibile da chiunque abbia a cuore le sorti della democrazia e della libertà in Italia: il nostro paese ha già conosciuto da vicino, nei tragici anni del terrorismo, le conseguenze dell’odio politico e della criminalizzazione dell’avversario, e nessuno può augurarsi che torni nelle piazze (oggi anche telematiche) quel clima e sulle strade il sangue delle vittime del fanatismo ideologico.


Gianteo Bordero (capogruppo)

Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

martedì 15 dicembre 2009

LA “GRANDE ALLEANZA DEMOCRATICA”? FACCIAMOLA PER ISOLARE DI PIETRO

da Ragionpolitica.it del 15 dicembre 2009

Intervistato da La Stampa sabato scorso, Pier Ferdinando Casini aveva lanciato la proposta di una Grande Alleanza Democratica contro Berlusconi. Una sorta di riedizione del Comitato di Liberazione Nazionale che lottò contro il fascismo e il suo Duce: «Se Berlusconi vuole andare al voto anticipato - aveva detto il leader dell'Udc - sappia che si troverà di fronte uno schieramento repubblicano in difesa della democrazia». Una coalizione in cui mettere insieme, come nei bei tempi andati dell'Unione prodiana, tutti coloro che si oppongono all'uomo di Arcore. Nessuna piattaforma politica comune, nessuna idea condivisa sull'amministrazione del paese, nessun programma di governo, se non quello di cacciare da Palazzo Chigi il suo attuale inquilino. Il resto, come si suol dire, verrà dopo. Per disarcionare il Cavaliere il fondatore dell'Unione di Centro si era detto disposto a tutto. Anche ad allearsi con Antonio Di Pietro. Cioè con colui che, nel 1992-93, contribuì alla distruzione per via giudiziaria della Democrazia Cristiana (partito nel quale Casini militava) dopo averne messo alla gogna in diretta tv i principali dirigenti (tra cui il mentore politico dell'allora giovane Pierferdi, Arnaldo Forlani).


Probabilmente le parole di Casini al quotidiano torinese nascevano soltanto dall'esigenza tattica di scongiurare ogni ipotesi di elezioni anticipate e, più che una proposta, erano un avvertimento a Berlusconi a non lasciarsi ammaliare dalle sirene del «voto subito». Il fatto è che quelle dichiarazioni «tattiche» sono arrivate nel peggior momento possibile. E stupisce che un politico navigato, e che ha fatto della moderazione il suo fiore all'occhiello, non se ne sia reso conto. Soltanto il giorno prima, infatti, scendendo in piazza al fianco della Cgil, un urlante Di Pietro aveva annunciato ai quattro venti che «se il governo continua ad essere sordo ai bisogni dei cittadini, si andrà allo scontro di piazza, e lì ci scapperà l'azione violenta se il governo non si assume la responsabilità di rispondere ai bisogni del paese». Invece che cercare di spegnere l'incendio che il capo dell'Idv appiccava con le sue parole, Casini il giorno dopo si diceva disposto a stringere anche con lui, il nemico di sempre, il sacro patto antiberlusconiano in difesa della democrazia. E ancora domenica mattina ribadiva, in un'intervista rilasciata al Tg2: «Se Berlusconi pensa di intimorirci, di poter convertire la Repubblica in Monarchia, sappia che la nostra risposta sarà chiara, ferma ed univoca. Perché a proposte d'emergenza, soluzioni d'emergenza».


Se dunque sin da sabato le frasi pronunciate dal leader dell'Udc apparivano quanto mai fuori luogo e irresponsabili - considerato il pesante clima di scontro che già si respirava in seguito alle esternazioni di Di Pietro al corteo della Cgil e alle contestazioni dei centri sociali in Piazza Fontana -, dopo la violenta aggressione al presidente del Consiglio in piazza del Duomo e le vergognose parole di commento dell'ex pm («Io non voglio che ci si mai violenza, ma Berlusconi con i suoi comportamenti e il suo menefreghismo istiga alla violenza») le dichiarazioni di Casini alla Stampa e al Tg2 si sono rivelate totalmente prive di qualsivoglia senso della realtà e di polso della situazione. Fino al tardo pomeriggio di domenica Pier Ferdinando non ha fatto nulla per contribuire a placare gli animi e per gettare acqua sul fuoco delle sempre più scomposte polemiche contro il premier. Anzi, affermando che bisognava dar vita a un fronte unico «a presidio della democrazia» ha finito con lo scendere sullo stesso terreno demagogico e con l'usare gli stessi argomenti del leader dell'Idv. Un errore capitale, di cui è augurabile che Casini si sia reso conto dopo i fatti di piazza del Duomo.


Che dire quindi oggi al leader dell'Unione di Centro? Che la Grande Alleanza Democratica che egli ha auspicato è da organizzare non contro il presidente del Consiglio e contro un governo che porta avanti molte delle battaglie politiche già iniziate nella legislatura in cui il partito di Casini era alleato del Cavaliere, ma semmai per isolare Di Pietro e i suoi compagni, cioè tutti coloro che in questi giorni hanno dimostrato di che pasta (umana e politica) sono fatti, negando la loro piena solidarietà al premier e condannando con qualche «se» e con più di un «ma» quanto accaduto domenica a Milano. Dev'essere chiaro a tutti, e tanto più a un uomo intelligente ed esperto come Pier Ferdinando, che il nemico della democrazia non abita a Palazzo Chigi. Casini ha puntato lo sguardo dalla parte sbagliata.


Gianteo Bordero

lunedì 14 dicembre 2009

SESTRI LEVANTE. MOZIONE DI PDL E LEGA PER ESPRIMERE SOLIDARIETA' AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”

14 DICEMBRE 2009


OGGETTO: MOZIONE URGENTE


I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI COMUNALI

Gianteo BORDERO, Marco CONTI, Giancarlo STAGNARO


CHIEDONO


Che venga inserita all’Ordine del Giorno della seduta di Consiglio Comunale del 14 dicembre 2009 la seguente mozione urgente:


“Espressione di condanna della violenta aggressione subìta dal Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Silvio Berlusconi, a Milano, in data 13 dicembre 2009; espressione di solidarietà al Presidente del Consiglio dei Ministri”


E PROPONGONO


Di sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno:


IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

  • Venuto a conoscenza della violenta aggressione subìta dal Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Silvio Berlusconi, al termine di un comizio a Milano in data 13 dicembre 2009;
  • Ritenuto ciò un grave, inqualificabile e ingiustificabile atto di violenza, tanto più deprecabile in quanto teso a colpire un rappresentante delle istituzioni democratiche della Repubblica italiana, nonché quarta carica dello Stato;
  • Considerata la nota ufficiale della Presidenza della Repubblica del 13 dicembre 2009, nella quale il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, afferma: “Esprimo la più ferma condanna del grave e inconsulto gesto di aggressione nei confronti del Presidente del Consiglio - al quale va la mia personale solidarietà - e il più netto, rinnovato appello perché ogni contrasto politico e istituzionale sia ricondotto entro limiti di responsabile autocontrollo e di civile confronto, prevenendo e stroncando ogni impulso e spirale di violenza”.
  • Considerate le dichiarazioni rilasciate il 13 dicembre dal Presidente del Senato, Renato Schifani, secondo cui «quello che è accaduto deve essere assolutamente condannato senza se e senza ma. Siamo davanti ad un gesto gravissimo e ad un incivile atto di intolleranza che offende il popolo italiano ed il nostro Paese».
  • Considerate le dichiarazioni rilasciate il 13 dicembre dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini, secondo cui «si tratta di un gesto gravissimo di fronte al quale tutte le forze politiche hanno il dovere di manifestare una convinta condanna esprimendo solidarietà al presidente del Consiglio».

IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA


A far pervenire alla Presidenza del Consiglio dei Ministri un messaggio ufficiale che, facendosi interprete dei sentimenti espressi dal Consiglio Comunale, condanni fermamente l’episodio avvenuto a Milano il 13 dicembre 2009 ed esprima al Presidente del Consiglio solidarietà per la violenta aggressione subìta.

sabato 12 dicembre 2009

LA MISCELA ESTREMISTA

da Ragionpolitica.it del 12 dicembre 2009

La svolta a sinistra di Di Pietro, iniziata all'indomani delle elezioni politiche dell'aprile 2008 e proseguita, con un crescendo quotidiano, nei mesi successivi fino alla definitiva consacrazione del «compagno» Tonino avvenuta lo scorso novembre durante una conferenza stampa congiunta con il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero, conosce oggi una nuova, robusta accelerazione. Dalla toga alla falce e martello, il passo non è stato semplice, ma il caparbio leader dell'Italia dei Valori ci s'è messo d'impegno, e oggi la metamorfosi può dirsi compiuta. Non che Di Pietro abbia smesso l'abito mentale e ideologico dell'ex pm - basta leggere le sue dichiarazioni giornaliere in difesa della sacralità e dell'intangibilità della magistratura di qualsiasi ordine e grado per rendersene conto - ma egli ha capito che per riuscire a raggranellare nuovi consensi e fare breccia in settori inesplorati dell'elettorato italiano ci voleva il salto - si fa per dire - di qualità.


Così l'astuto Tonino si è guardato in giro e ha visto che l'unico spazio nel quale ci si poteva avventurare per fare man bassa di voti era quello della sinistra dura e pura, uscita con le ossa rotta dalle elezioni del 2008 e priva di rappresentanza parlamentare non avendo raggiunto la soglia minima per entrare a Palazzo. Resta esemplare, in tal senso, l'intervista che Di Pietro ha concesso al giornale di Piero Sansonetti, Gli Altri, il 7 ottobre scorso: «La sinistra sono io», annunciava, spiegando che «l'Italia dei Valori, nel proporsi come forza alternativa di governo, e nel prendere atto che ci sono larghe fasce della popolazione senza rappresentanza, ha allargato i propri orizzonti anche verso quella parte dell'elettorato tradizionalmente di sinistra, anche comunista». Una scelta strategica e non solo tattica - precisava - perché «siamo una forza antagonista al sistema ma che non vuole essere extra-parlamentare».


Scorribanda dopo scorribanda nella terra desolata dei nostalgici del comunismo, siamo dunque arrivati all'oggi, giorno in cui l'annunciata svolta «antagonista» di Di Pietro è emersa in tutta la sua portata. L'occasione è stata la manifestazione romana organizzata dalla Cgil scuola e pubblico impiego. Dove c'è protesta c'è Tonino, il quale, reduce dai fumi estremisti e dai fiumi di retorica massimalista respirati al «No B-day» dello scorso sabato, si è presentato al corteo sindacale per lanciare i suoi strali contro la Finanziaria del governo e per far sentire - così egli ha affermato - la sua vicinanza ai lavoratori scesi in piazza. Non contento delle sue esternazioni, per far comprendere in modo chiaro e inequivocabile la sua osmosi politica con le bandiere rosse sventolate dai manifestanti, ha sganciato la bomba atomica, facendo apparire come timidi moderati e come rivoluzionari all'acqua di rose gli attuali leader dell'estrema sinistra. Ha detto: «Se il governo continua ad essere sordo ai bisogni dei cittadini, si andrà allo scontro di piazza, e lì ci scapperà l'azione violenta se il governo non si assume la responsabilità di rispondere ai bisogni del paese». Boom!


Scontri di piazza? Azioni violente? Non c'è male, per uno che si era presentato sulla scena pubblica italiana come il paladino dell'ordine e della legalità, come il poliziotto duro e inflessibile, come l'espressione di una sensibilità che senza tema di errore poteva essere definita di estrema destra. Ma visto che, come si suol dire, a volte gli estremi - e gli estremismi - si toccano, ciò è avvenuto anche nel caso di Di Pietro. Che uomo di piazza, o che usa la piazza - anche mediatica - in fondo lo è sempre stato, già ai tempi delle sue requisitorie-show contro i dirigenti dei partiti della Prima Repubblica, rilanciate nelle case degli italiani dalle televisioni con lunghe dirette da Palazzo di Giustizia, e capaci così di far ribollire e poi esplodere in piazza, come nel caso di Craxi, il risentimento popolare contro la classe politica di allora.


Perciò possiamo dire che, nella sostanza, non v'è cesura tra il Di Pietro di ieri e quello di oggi, quello del 1992 e quello del 2009, tra il massimalista di destra e il massimalista di sinistra. Perché è un dato inconfutabile della storia quello per cui chi si nutre di estremismo ha sempre bisogno di nuovo sangue fresco per non far sciogliere come neve al sole la sua immagine di più duro e di più puro nella guerra contro il nemico, di condottiero incontrastato nella lotta contro l'ingiustizia e contro l'oppressore, di leader assoluto della moralità e della resistenza al male. Oggi nel capo dell'Idv si fondono dunque a caldo il giustizialismo e il comunismo, e ne viene fuori questa miscela esplosiva di giacobinismo e rivoluzione proletaria, di Robespierre e Marx, con esiti che, date le premesse, non potranno che essere nefasti per la nostra democrazia e per la nostra amata Repubblica.


Gianteo Bordero

SESTRI LEVANTE. IL CENTRODESTRA AL FIANCO DEI LAVORATORI DELLE PISCINE COMUNALI

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE “IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


COMUNICATO STAMPA DEL 12 DICEMBRE 2009


Ormai ci siamo abituati: ogni volta che a Sestri Levante si parla delle piscine costruite nelle aree ex Fit bisogna prepararsi al peggio. Dopo i ritardi nella costruzione e i problemi strutturali riscontrati già prima dell’inaugurazione, dopo l’annullamento, da parte del Consiglio di Stato, della gara d’appalto per la gestione degli impianti, ecco oggi arrivare una nuova brutta notizia: diciotto lavoratori che prestano servizio nelle piscine sono privi di regolare contratto e vengono retribuiti soltanto attraverso rimborsi spese.

E’ un dato allarmante, che richiede un subitaneo intervento da parte delle istituzioni affinché, nel passaggio alla nuova gestione, non siano messi a rischio molti posti di lavoro. Per questo ci associamo alla richiesta avanzata dal segretario della CISL Tigullio, Tiziano Roncone, e chiediamo anche noi che la regolarizzazione dei lavoratori avvenga nel più breve tempo possibile, senza indugi e tentennamenti da parte di alcuno degli attori in gioco. Ci auguriamo, in tal senso, che anche da parte del Sindaco vi sia un interessamento immediato e una risposta pronta a tale situazione.

Gianteo Bordero (capogruppo)
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

giovedì 10 dicembre 2009

RU486. IL GOVERNO VIGILERÀ SUL RISPETTO DELLA LEGGE 194

da Ragionpolitica.it del 10 dicembre 2009

Costerà 33 euro la pillola RU486, che da mercoledì è ufficialmente in commercio nel nostro paese. 33 euro, dunque, per comprare l'illusione che l'aborto sia soffice e indolore e che il bimbo che si porta in grembo sia un accidente di stagione che può essere curato «farmacologicamente», inghiottendo una pillola come quando si ha il mal di testa o il raffreddore. Nessuno può negare, infatti, che sia questa la mitologia che è stata creata attorno alla RU486 sin da quando i gruppi radicali e la lobby abortista hanno iniziato a perorarne la causa anche in Italia, promettendo un'interruzione volontaria di gravidanza «soft» e «sostenibile», che avrebbe sgravato la donna del peso ingombrante dell'intervento chirurgico. Negli auspici dei sostenitori della pillola, la sua introduzione in commercio avrebbe rappresentato il modo migliore non soltanto per aggirare i dettami della 194, ma anche per rendere tale normativa un ferro vecchio, un arnese del passato, una legge vigente sulla carta ma abrogata de facto dalla nuova metodologia «fai-da-te», espressione suprema del motto sessantottino: «L'utero è mio e me lo gestisco io».


Purtroppo per gli ideologi dell'aborto senza se e senza ma, il corso degli eventi ha preso una piega diversa da quella che essi auspicavano. Certo, l'AIFA, l'Agenzia Italiana del Farmaco, ha dato via libera alla commercializzazione della pillola, ma ha dovuto tenere conto, nella sua delibera, non soltanto di quanto previsto dalla legge 194, ma anche di quanto sancito negli ultimi anni dal Consiglio Superiore di Sanità in seguito alle controverse sperimentazioni messe in atto in alcune Regioni: l'aborto «farmacologico» deve avvenire «in un ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla legge, e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto» (parere del Consiglio Superiore di Sanità del 20 dicembre 2005). Così l'AIFA ha dovuto stabilire che la vendita e la somministrazione della pillola, come pure l'intero processo di interruzione volontaria di gravidanza, non possono avvenire al di fuori delle strutture pubbliche o di quelle convenzionate. Un boccone amaro per tutti coloro che sognavano la legalizzazione dell'aborto domestico, tra le quattro mura di casa, nella più completa privacy e solitudine.


Nonostante ciò permane ancora, nella delibera dell'Agenzia del Farmaco che ha dato via libera alla RU486, un punto di incertezza. Il ministro Maurizio Sacconi, nel suo parere espresso il 27 novembre su esplicita richiesta della Commissione Sanità del Senato al termine dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva, aveva sottolineato che l'obbligo di ricovero, così come previsto dalla 194, deve essere di carattere «ordinario», e non avvenire in regime di day hospital. Il ministro, constatato che nella delibera dell'AIFA del 30 luglio non compariva la parola «ordinario», temendo aggiramenti della legge del 1978 aveva chiesto all'Agenzia, prima dell'immissione in commercio della pillola, una nuova delibera al fine di meglio chiarire questo punto decisivo. Ma l'AIFA, il 2 dicembre, non ha ritenuto necessario tale chiarimento e non ha fatto altro che confermare quanto già previsto a fine luglio.


E' per questi motivi che Sacconi mercoledì ha dichiarato che, qualora non dovesse essere garantito il regime effettivo di ricovero ospedaliero, «il governo prenderà iniziative a tutela della legge 194. Segnaleremo all'EMEA (European Medicines Agency, ndr) gli eventuali problemi di compatibilità della pillola con la legge nazionale». È dunque necessario «un monitoraggio molto intenso dell'AIFA dal punto di vista della farmacovigilanza, e del ministero per verificare l'effettiva compatibilità con la legge 194». Il ricovero è fondamentale - ha precisato il ministro - «perché non si tratta di una pillola anticoncezionale, ma di un farmaco che ha possibili complicanze, e la tutela della salute della donna impone dei criteri rigidi che la 194 già disponeva». I numeri sembrano dargli ragione: sono ben 29 i decessi segnalati dall'azienda produttrice, 17 dei quali per l'uso abortivo della RU486. Dalle statistiche, inoltre, risulta che l'aborto chimico uccide 10 volte di più rispetto a quello chirurgico. Vigilanza massima, dunque, da parte delle istituzioni.


Gianteo Bordero

domenica 6 dicembre 2009

IL PDL PRESENTA AL SENATO UN DISEGNO DI LEGGE SUI DIRITTI DEL CONCEPITO

da Ragionpolitica.it del 5 dicembre 2009

Il Popolo della Libertà rilancia sul tema del diritto alla vita, e lo fa depositando in Senato un disegno di legge che prevede la modifica dell'articolo 1 del Codice Civile. Tale articolo, nella sua formulazione attuale, stabilisce che «La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita» e che «I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita». La proposta del Pdl, illustrata giovedì durante una conferenza stampa a cui hanno preso parte il presidente del gruppo a Palazzo Madama, Maurizio Gasparri, il vicepresidente vicario, Gaetano Quagliariello, la vicepresidente Laura Bianconi e il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini, chiede che la norma del Codice Civile venga così modificata: «Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento» e «I diritti patrimoniali che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita». Nella conferenza stampa di presentazione del ddl il presidente Gasparri ha affermato che si tratta di «un testo molto brave» ma di «una questione grande». Si chiede infatti di sancire nella legislazione italiana la capacità giuridica dell'embrione e quindi di riconoscere al concepito la titolarità dei diritti che ineriscono all'individuo in quanto persona.


Il disegno di legge del Pdl riprende un'analoga proposta legislativa di iniziativa popolare depositata alla Camera dei Deputati il 20 luglio 1995 dal Movimento per la Vita. Essa fu sottoscritta da 400 professori universitari di diritto, biologia e genetica e da 197 mila cittadini, e supportata da una petizione firmata da oltre 1 milione e 400 mila persone. Tale proposta, però, non fu discussa nel corso di quella legislatura (la dodicesima) e neppure in quella successiva. Venne poi ripresentata da molti deputati e senatori nel corso della quattordicesima legislatura, ma anche in quell'occasione non fu mai calendarizzata per la discussione. Da qui la scelta del gruppo del Popolo della Libertà a Palazzo Madama di riportarla all'attenzione delle Camere in un momento in cui i temi bioetici sono nuovamente divenuti centrali nel dibattito politico nazionale: basti pensare, da ultimo, alla controversa vicenda della commercializzazione della pillola abortiva RU486, che da molti viene considerata come lo strumento per introdurre in Italia l'aborto «fai-da-te». Sono tentativi - ha affermato durante la conferenza stampa Quagliariello - «di scardinare la legge 194 del 1978». Per questo - ha detto ancora - «per tenere salda la trincea bisogna fissarne una più avanzata... Altrimenti rischiamo la deriva».


Nella dettagliata relazione che accompagna il disegno di legge i proponenti fanno riferimento alla legislazione internazionale in materia, innanzitutto alla Convenzione universale sui diritti del fanciullo, approvata il 20 novembre 1989. Al nono punto del Preambolo, la Convenzione stabilisce che «Il fanciullo, a causa della sua immaturità, ha bisogno di una protezione speciale, anche giuridica, sia prima che dopo la nascita». Secondo questo importante documento - che ha trasformato in atto giuridicamente vincolante, per i 193 Stati che l'hanno ratificata, la precedente dichiarazione del 20 novembre 1959 - è quindi possibile applicare anche all'embrione e al feto umano la definizione di bambino. La relazione del Pdl sottolinea poi le «solide acquisizioni della moderna scienza biologica e genetica, secondo le quali la vita umana individuale inizia nel momento del concepimento» e cita numerosi pareri sullo Statuto dell'embrione espressi dal Comitato Nazionale di Bioetica, tutti concordi nell'affermare il «dovere morale di trattare l'embrione umano, fin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone».


Per quanto riguarda la legislazione italiana, la relazione prende in esame l'articolo 22 della Costituzione, il quale stabilisce che «Nessuno può essere privato della capacità giuridica», non chiarendo poi se quel «nessuno» possa essere riferito anche al nascituro. Occorre quindi far riferimento all'articolo 1 del Codice Civile, proprio quello oggetto di richiesta di modifica da parte del Popolo della Libertà. In realtà - spiega la relazione allegata al disegno di legge - esiste già una norma che riconosce i diritti del concepito e lo considera come soggetto titolare di personalità giuridica, ma essa non possiede la medesima portata generale del Codice Civile: è l'articolo 1 della legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita, «che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Perciò è opportuno - affermano i presentatori del ddl - «rinforzare e rendere esteso anche in ambiti diversi dalla procreazione medicalmente assistita il principio proclamato dalla legge 40».


Ma quali sono le ricadute che l'approvazione del ddl in questione avrebbe, in particolare per ciò che riguarda la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza? Secondo i senatori del Pdl, coloro che affermano che il disegno di legge sarebbe in contrasto con la vigente normativa sull'aborto partono da un'interpretazione della 194 «assolutamente inaccettabile»: quella per cui la base della legge «sarebbe la negazione dell'identità umana del concepito». E' questa lettura forzata della 194 che ha portato - spiegano - a porre l'accento, in tutti questi anni, soltanto sulla donna, ignorando totalmente «gli interessi e i diritti del concepito». In realtà la legge del 1978, già a partire dall'articolo 1, stabilisce che lo Stato «tutela la vita umana dal suo inizio», che «l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite» e che «lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite». In tal senso - affermano i proponenti - il riconoscimento formale della soggettività giuridica del concepito, prevista dal ddl, «è anche un modo per motivare meglio il coraggio delle madri, dei padri e delle famiglie, nonché l'impegno della società in ogni sua articolazione per rimuovere le difficoltà che potrebbero orientare una donna verso l'interruzione volontaria di gravidanza», come espressamente previsto dall'articolo 5 della stessa legge 194. Che non dev'essere abrogata, ma applicata nella sua interezza - cosa che, fino ad oggi, spesso non è avvenuta. E' in questa direzione che muove il disegno di legge del Popolo della Libertà.


Gianteo Bordero

giovedì 3 dicembre 2009

IL CONSENSO DEL POPOLO

da Ragionpolitica.it del 3 dicembre 2009

Solo 24 cittadini italiani su 100 considerano l'attuale opposizione una valida alternativa al governo in carica. E' quanto emerge da un sondaggio IPSOS pubblicato giovedì su Il Sole 24 Ore. Sono numeri simili a quelli del tasso di fiducia nel governo Prodi nei mesi che precedettero il patatrac del gennaio 2008. In quasi due anni, quindi, sembra che poco o nulla sia cambiato nella considerazione dell'elettorato nei confronti della sinistra: un disastro quando era al governo, un disastro ora che è all'opposizione. Forse è anche per questo che, di fatto, tutta la dialettica politica non avviene più lungo l'asse destra-sinistra, bensì si svolge all'interno di un solo schieramento: da destra a destra. Tanto che anche molte posizioni un tempo rappresentate dalla gauche nostrana sono ormai divenute, non di rado, patrimonio del centrodestra, che le ha rielaborate in chiave post-ideologica e le ha rese nuovamente servibili per la definizione di una efficace politica di governo (basti pensare alle misure sociali messe in campo dal Berlusconi IV in questo anno di crisi economica).


A conferma di questa nuova dinamica politica vi sono altri numeri che emergono dal sondaggio dell'IPSOS: il 36% degli operai, ad esempio, afferma di votare per il Pdl. Il partito di maggioranza diventa così, a tutti gli effetti, un vero partito del popolo, mettendo definitivamente una pietra tombale sul vecchio dogma dell'operaio che vota a sinistra. Perché la sinistra ha abbandonato la classe operaria e la classe operaia è andata con Berlusconi.


Ma se le cose stanno in questo modo non è soltanto per demerito della sinistra, ma anche e forse soprattutto per merito di Berlusconi e dei suoi alleati, che hanno saputo interpretare i nuovi bisogni della società italiana in una prospettiva di realismo politico che ha consentito loro di «sfondare» in settori dell'elettorato un tempo considerati appannaggio esclusivo della gauche. Mentre la sinistra, negli ultimi 15 anni, ha pensato soltanto al modo migliore per disarcionare il Cavaliere e farlo fuori dalla scena pubblica, il leader del centrodestra ha continuato a macinare politica, a parlare dei problemi della gente, a elaborare idee per ripresentarsi di fronte ai cittadini con proposte di buon senso per il governo del paese. E oggi la storia e i numeri gli danno ragione.


Sono dunque saltati i vecchi schemi destra-sinistra, o almeno sono saltati nella declinazione che ad essi è sempre stata data fino al 1994. Per questo coloro che oggi ipotizzano strane alchimie contabili e nuove geometrie variabili per immaginare maggioranze diverse da quella attuale non soltanto non hanno dalla loro parte i numeri, ma soprattutto mostrano di non aver compreso come e quanto sono cambiati gli italiani e l'Italia negli ultimi tre lustri. E' un modo di ragionare che è destinato inesorabilmente a produrre sconfitte su sconfitte chissà per quanto tempo ancora, perché non fa i conti col popolo e con la realtà del paese. Il contrario di quanto stanno facendo il governo Berlusconi e il Popolo della Libertà, come confermato dai risultati del sondaggio IPSOS: dopo la più pesante crisi economica degli ultimi decenni, dopo gli attacchi quotidiani ricevuti da giornali e tv, dopo le campagne di delegittimazione morale a mezzo gossip, dopo le immancabili inchieste della magistratura, l'esecutivo e il Pdl conservano ancora un solido consenso popolare, che rappresenta la miglior garanzia e il maggior sprone per proseguire speditamente e senza indugi e tentennamenti nel cammino intrapreso il 13 aprile 2008. Avanti, Popolo!


Gianteo Bordero

martedì 1 dicembre 2009

SE QUESTA È TOLLERANZA...

IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – SESTRI LEVANTE

COMUNICATO STAMPA DEL 1° DICEMBRE 2009


Siamo sconcertati dalle dichiarazioni rese alla stampa dal sindaco Lavarello in merito alla raccolta di firme promossa dal nostro partito in difesa del crocifisso dopo la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Lavarello ha infatti definito la nostra iniziativa come “una strumentalizzazione” e come una “trovata di pessimo gusto”. Evidentemente il sindaco, che nei suoi discorsi ama riempirsi la bocca della parola “tolleranza”, è poi il primo intollerante quando si trova di fronte idee diverse dalle sue. Lo dimostra, tra l’altro, anche il fatto che ci sia stata negata l’occupazione di suolo pubblico per la raccolta firme di domenica mattina, cosa che ci ha costretto ad utilizzare il point di un candidato alle elezioni regionali. Evidentemente il Partito Democratico sestrese ha una strana idea della democrazia!


Sulla questione del crocifisso, del resto, i precedenti con l’attuale Amministrazione non erano confortanti: due anni fa la maggioranza consiliare che sostiene Lavarello bocciò un ordine del giorno da noi presentato e finalizzato a garantire la presenza del crocifisso in tutte le aule scolastiche. Quello di oggi è dunque, purtroppo, un film già visto: il rifiuto, da parte del centrosinistra sestrese, di difendere le radici spirituali e culturali dell’Italia - di cui il crocifisso è simbolo - e che a Sestri Levante sono così ben visibili e tangibili non solo nelle tante chiese e conventi sparsi sul territorio, ma anche in una devozione popolare che è ancora ben viva nei cittadini.


Ma ciò che è più grave è che il sindaco, con le sue dichiarazioni di ieri, in sostanza ha offeso anche i tanti sestresi che domenica mattina si sono messi in fila per firmare la nostra petizione. Altri sindaci, anche di centrosinistra, in città a noi vicine, hanno dimostrato nei confronti del crocifisso e nei confronti di chi ha firmato per difenderlo ben altra sensibilità, rispetto e attenzione.


Nella nostra prossima raccolta firme, che avrà luogo nel fine settimana, consegneremo ai sestresi che si recheranno al nostro gazebo copia delle dichiarazioni di Lavarello, in modo che sia chiaro qual è l’atteggiamento del sindaco non soltanto nei confronti della libertà religiosa dei cittadini, ma anche verso il crocefisso quale simbolo della nostra cultura e delle radici cristiane del popolo italiano.


Gianteo Bordero

Marco Conti
Graziano Stagni
Giancarlo Stagnaro

I MINARETI, I DIRITTI E LA STORIA

da Ragionpolitica.it del 1° dicembre 2009

Fateci caso: molti di coloro che oggi si stracciano le vesti per il risultato del referendum svizzero sui minareti, affermando che si tratta di una violazione del principio di libertà religiosa, sono gli stessi che, all'indomani della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sul crocifisso, plaudirono a tale decisione in nome della medesima libertà religiosa, che sarebbe violata dalla presenza del simbolo del cristianesimo nelle aule scolastiche. In sostanza: la Svizzera che nega la possibilità di costruire nuovi minareti sarebbe da condannare, mentre la Corte europea che vieta l'esposizione del crocifisso negli uffici pubblici da prendere a modello. C'è qualche cosa che non torna in questo modo di ragionare: l'impressione è che, in questa strana Europa dei nostri tempi, il principio della libertà religiosa debba applicarsi a tutti e a tutto fuorché al cristianesimo. Cioè alla religione che ha plasmato la stessa Europa, la sua cultura, la sua civiltà, la sua società, e che ha dato il la alla codificazione di quei diritti di libertà di cui oggi - giustamente - andiamo tutti orgogliosi.


La contraddizione nasce dal fatto che la classe intellettuale europea e il pensiero oggi dominante nelle élites del Vecchio Continente ci hanno abituati ad una concezione dei diritti talmente astratta da perdere di vista la realtà concreta della storia, la vita quotidiana delle persone, le relazioni tra i popoli, tra le culture, tra le religioni. Si pensa cioè di risolvere ogni problema affermando a priori, in via teorica, alcuni principi di libertà, e si ritiene, con ciò, di essersi messi al riparo da ogni conflitto, da ogni scontro, da ogni incomprensione. Si tratta di una forma mentis che, lungi dal raggiungere gli scopi che si prefigge, finisce col produrre esiti contrari a quelli pomposamente annunciati a parole. E' il dramma di quello che il grande Antonio Rosmini definiva «astrattismo», cioè di quell'approccio che sacrifica sull'altare della ragione astratta l'esperienza reale degli uomini e dei popoli, le loro radici spirituali, le loro tradizioni. Col risultato di creare un malcontento e un risentimento popolare diffuso nei confronti di chi tale astrattismo applica con le sue leggi, le sue direttive, le sue sentenze: lo vediamo oggi nel pronunciamento del popolo svizzero contro i minareti e nelle manifestazioni a difesa del crocifisso a cui stiamo assistendo in Italia, e lo abbiamo visto negli anni scorsi nei referendum che hanno bocciato una Costituzione europea priva del richiamo alle radici cristiane.


L'astrattismo applicato alla libertà religiosa, che ha portato con sé, come corollario, l'idea secondo cui ogni religione è buona e nessuna possiede la verità assoluta, ha avuto come conseguenza quella di far perdere di vista il fatto che le religioni non sono dottrine iperuraniche senza alcun addentellato con la realtà, ma si declinano in chiave storica, dando vita a particolari tipi di società, a diverse concezioni della persona e dei suoi diritti, a differenti usi e costumi. Se si avesse l'onestà intellettuale di guardare a tutto ciò senza presumere di essersi messi l'anima in pace attraverso la semplice, formalistica e aprioristica affermazione della libertà religiosa, forse si riuscirebbe anche a capire la differenza che passa tra una moschea e una chiesa, tra un minareto e un campanile. E, soprattutto, si comprenderebbe perché la stessa libertà religiosa è un concetto pressoché sconosciuto all'islam e fatto invece proprio dal cristianesimo.


Si scoprirebbe, così, che quanto più una religione ha il senso della storia e della realtà umana, tanto più essa riesce a garantire quella libertà che le religioni a-storiche faticano ad accettare e riconoscere. Tant'è vero che è dal cristianesimo - nel quale l'uomo non aderisce in prima battuta a una dottrina, ma a un fatto storico come l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo - che è nata la stessa idea di diritti universali che ineriscono a ogni persona in quanto tale e che non sono nella disponibilità del potere umano. Laddove Dio si fa uomo ed entra nella storia c'è vera libertà perché c'è la possibilità di accettare o meno il rapporto con la Persona, mentre laddove Dio coincide con una serie di dettami senza tempo e il fedele è letteralmente un semplice «sottomesso», la libertà rimane sempre su un altro binario rispetto all'esperienza degli uomini e dei popoli. Il rapporto con le comunità musulmane europee, a cui noi riconosciamo quelle libertà fondamentali che il cristianesimo ha instillato nella nostra cultura e nel nostro diritto, sarà sempre più problematico fino a quando esso verrà affrontato a partire dal presupposto sbagliato: quello secondo cui islam e cristianesimo si equivalgono nella loro relatività.


Gianteo Bordero

sabato 28 novembre 2009

UNO SNODO POLITICO DECISIVO

da Ragionpolitica.it del 28 novembre 2009

Ammettiamo - ma non concediamo - per un istante che sulla questione della magistratura italiana Silvio Berlusconi esageri, in quanto direttamente coinvolto nelle inchieste. Ammettiamo - e non concediamo - che anche il Popolo della Libertà esageri, in quanto arroccato nella difesa del suo leader. Che cosa dovremmo dire, allora, del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che venerdì ha dichiarato che «quanti appartengono all'istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione debbono attenersi rigorosamente allo svolgimento di tale funzione» e che «nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare»? Se usassimo lo stesso metro di giudizio utilizzato dalla sinistra forcaiola e giustizialista, dovremmo dedurne che anche il capo dello Stato è stato colto da allucinazioni ed è rimasto vittima della «sindrome di Berlusconi», cioè di quel pericoloso virus che porta a mettere in dubbio il dogma della sacralità e dell'infallibilità della magistratura...


La verità è un'altra, ed è che chiunque non abbia la mente offuscata dalla furia ideologica del giacobinismo può benissimo constatare senza troppi sforzi come oggi, nel nostro paese, alcuni giudici e pubblici ministeri tentino non di rado di trasformarsi in soggetti politicamente attivi e di decidere così le sorti delle istituzioni democraticamente elette dal popolo. Tale tentativo, in realtà, non nasce ora come un fungo: esso si protrae in maniera evidente dagli inizi degli anni Novanta, cioè da quando, nella crisi dei partiti democratici della Prima Repubblica, la magistratura pensò di poter assumere il ruolo di arbitro (non imparziale) della vita politica, mandando al macero un'intera classe dirigente e preparando il terreno per un nuovo assetto di potere nel quale l'ultima parola spettasse a quello che è stato chiamato «partito dei giudici»: un contenitore che raccogliesse i graziati dalle inchieste di Mani Pulite, il partito postcomunista, pezzi delle élites economiche e culturali che avevano sostenuto a spada tratta l'azione delle toghe milanesi, il «popolo dei fax», alcuni pubblici ministeri passati alla politica. Tale partito sarebbe stato l'unico legittimato a governare grazie al beneplacito delle Procure e sotto la loro protezione.


Se questo progetto non andò in porto fu soltanto grazie alla decisione di Berlusconi di entrare nell'agone politico e alla vittoria del centrodestra alle elezioni del marzo 1994. Nonostante ciò, quello che Lino Jannuzzi ha definito il «disegno di potere» di certa magistratura non fu accantonato. Tant'è vero che fu proprio Berlusconi, dopo la sua «discesa in campo», ad essere preso di mira dagli inquirenti, con una costanza e una regolarità che si protraggono ormai da quindici anni, a partire dal clamoroso avviso di garanzia a mezzo stampa del novembre del '94, mentre il Cavaliere presiedeva un importante summit internazionale sulla criminalità. Da allora per il leader del centrodestra è stato un susseguirsi di accuse di ogni genere, sospetti, perquisizioni, inchieste, processi, da cui egli è sempre uscito a testa alta, senza nemmeno una condanna una. Eppure il tentativo continua. Anzi, negli ultimi mesi esso si è intensificato, tanto più dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale.


Solo gli immarcescibili pasdaran dell'antiberlusconismo, i giustizialisti in servizio effettivo permanente, gli eterni nostalgici di Mani Pulite, i dipietristi d'assalto e i micromeghisti bigotti possono oggi negare che esista un accanimento giudiziario nei confronti del presidente del Consiglio. Chi non è accecato dall'odio viscerale per il Cavaliere sa come stanno le cose, e la stragrande maggioranza degli italiani ha ormai compreso - ed è qui la grande differenza tra i tempi attuali e gli anni di Tangentopoli, quando l'onda emotiva suscitata dai processi e il battage mediatico di glorificazione delle gesta del pool di Milano avevano creato attorno ai magistrati un consenso popolare molto diffuso - che parlare di persecuzione giudiziaria ai danni di Berlusconi non è dire una bestemmia, ma prendere atto di una realtà.


In questo contesto ben vengano le parole di Napolitano, che hanno il merito di porre la presidenza della Repubblica in una posizione ben diversa da quella che essa invece assunse, con Oscar Luigi Scalfaro, dapprima nel periodo di Tangentopoli e poi nei confronti di Berlusconi nei suoi primi anni di attività politica. Il messaggio che oggi proviene dal capo dello Stato è chiaro: se qualcuno cercasse al Quirinale una sponda per abbattere il governo e far fuori dalla scena politica il presidente del Consiglio ha sbagliato indirizzo. Ciò offre alla maggioranza uno spazio di manovra reale per poter portare avanti una riforma che miri alla «definizione di corretti equilibri tra politica e giustizia», per riprendere un'espressione usata dallo stesso Napolitano e contenuta anche nel comunicato diffuso al termine dell'Ufficio di presidenza del Popolo della Libertà, riunitosi giovedì a Roma: «La democrazia si fonda su un corretto e giusto equilibrio fra i diversi poteri e ordini dello Stato». E' dentro a questo snodo decisivo per la tenuta del nostro sistema istituzionale che va inquadrata la questione della difesa di Berlusconi da un'offensiva giudiziaria che mette sulla graticola non soltanto un premier, ma la stessa vita democratica della Repubblica.

Gianteo Bordero

INTERVENTO SULL'ASSESTAMENTO DEL BILANCIO 2009 DEL COMUNE DI SESTRI LEVANTE

Ci troviamo convocati in tutta fretta questo sabato mattina perché il 30 novembre scadono i termini per l’approvazione dell’assestamento generale di bilancio. Ricordo che l’ultima seduta di Consiglio Comunale si è svolta il 5 di novembre. Sono quindi venti i giorni in cui non abbiamo ricevuto alcuna convocazione, segno che, evidentemente, il percorso che ha portato all’assestamento di bilancio è stato piuttosto dissestato.

Infatti abbiamo ricevuto la convocazione per il Consiglio Comunale di stamane soltanto nella giornata di martedì, e quindi soltanto quattro giorni prima dell’odierna adunanza. E qui vorrei sottolineare un fatto curioso: ci è sempre stato ripetuto, da un anno e mezzo a questa parte, che le convocazioni debbono giungere ai consiglieri almeno 5 giorni prima della seduta. Perciò martedì, incuriositi dal repentino cambiamento dei termini, abbiamo chiesto spiegazioni alla Segretaria, la quale ci ha risposto che, trattandosi di convocazione straordinaria – e non ordinaria – i giorni che potevano intercorrere tra la convocazione ed il Consiglio erano soltanto 3, così come recita il Regolamento per lo svolgimento del Consiglio Comunale. Quindi dovremmo dedurne che – bontà vostra –, essendo in questo caso stati 4 i giorni a nostra disposizione, ci è stato generosamente elargito un giorno in più.

Ma la verità, signora Presidente e colleghi Consiglieri, è che ormai l’Amministrazione naviga a vista, e il fatto che si sia arrivati temporalmente con l’acqua alla gola per far pervenire ai Consiglieri il documento di assestamento è il sintomo che con l’acqua alla gola questa Giunta ci si trova anche politicamente. Io le chiedo, Assessore Ceselli, così come chiedo ai Consiglieri della maggioranza, se voi consideriate un atto di rispetto nei confronti del Consiglio, e in particolar modo nei confronti dei Consiglieri della minoranza, far pervenire un documento così importante per la vita amministrativa di un Comune, come l’assestamento di bilancio, soltanto quattro giorni prima della seduta. Noi, da parte nostra, lo riteniamo un atto di mancanza di rispetto nei confronti del Consiglio e dei Consiglieri. Così come riteniamo una mancanza di rispetto nei confronti della minoranza l’aver escluso dall’odierna discussione le mozioni ancora pendenti dalla precedente seduta di Consiglio e le nuove mozioni e interrogazioni da noi presentate nel mese di novembre.

Il fatto che ciò sia avvenuto è un ulteriore segnale di un modo di procedere che ci lascia perplessi. Vi siete ridotti ad approvare di fretta l’assestamento di bilancio e vi siete dimenticati che esistevano anche le mozioni dell’opposizione. Come si suol dire, la fretta è cattiva consigliera. E lo è stata anche in questa occasione.
Con soli quattro – ma in realtà tre e mezzo – giorni a disposizione abbiamo quindi dovuto nottetempo immergerci, nostro malgrado, nell’analisi della documentazione che ci è pervenuta. E dobbiamo sùbito dire che non è stato un bel vedere. In otto mesi, cioè dal momento dell’approvazione del Bilancio di Previsione, siamo arrivati alla variazione numero 1400. Complimenti, Assessore Ceselli, è davvero un bel traguardo. Ma in negativo. Perché è il segno che anche per ciò che riguarda la gestione del bilancio, così come per tanti altri capitoli dell’Amministrazione, questa Giunta procede a tentoni, naviga a vista, e soprattutto con un preoccupante deficit di programmazione.

1400 variazioni di bilancio non sono più semplici variazioni: sono un nuovo bilancio. E per studiare un nuovo bilancio sarebbero stati necessari venti giorni come previsto dal Regolamento, e non i tre e mezzo che – ripeto, bontà vostra – ci avete concesso. Ma ormai al vostro modo di procedere abbiamo fatto il callo, e per questo diremo ancora più convintamente “no” a questo assestamento di bilancio che ci avete presentato.


Forse pensando di compiere un numero d’alta scuola propagandistica, ieri l’Assessore Ceselli si è premurato di diffondere sulla stampa locale quello che ormai è il suo cavallo di battaglia: i minori trasferimenti statali per il mancato introito dell’ICI sulla prima casa. Mi dispiace per lei, Assessore Ceselli, ma è un cavallo di battaglia che ormai sta tirando le cuoia. E vedremo perché. Dicevamo che, nella convinzione di fornire ai giornalisti uno scoop, l’Assessore ha snocciolato le cifre di quello che egli continua a definire «un furto, uno scippo, una rapina» da parte del governo. Il vero scoop, invece, è che l’Assessore Ceselli non è d’accordo neanche con se stesso. Su un quotidiano, infatti, leggiamo la dichiarazione dell’assessore secondo cui “la cifra confermata dei trasferimenti è 1.124.000 euro”. Apriamo un altro quotidiano e scopriamo che “la cifra confermata dei trasferimenti è 1.271.210,47 euro”.

In attesa che l’Assessore si metta d’accordo con se stesso, prendiamo in esame la parte dell’assestamento relativa alle entrate. E con sorpresa possiamo sùbito osservare che l’introito dell’ICI che è ancora di spettanza comunale, rispetto alle previsioni di bilancio subisce un aumento di ben 116 mila e rotti euro. Così le entrate derivanti dall’Imposta Comunale sugli Immobili (e cioè, tolta la prima casa, sulle abitazioni affittate a residenti come prima casa, sui locali destinati ad uso commerciale e artigianale, sulle unità immobiliari destinate ad alberghi e pensioni) ammontano, per il 2009, a 5.316.753,46 euro. Non è poco.
Veniamo ai trasferimenti statali, e diciamo una volta per tutte come stanno le cose. Tali trasferimenti ammontano, ad oggi, a 1.271.210,47 euro. Dice l’Assessore ai giornali: mancano all’appello 371.427 euro per arrivare alla cifra di 1.642.737 euro. Una cifra che, leggendo il bilancio di previsione, semplicemente non esiste. Ma tutto fa brodo per fare propaganda. Esiste semmai la cifra tonda tonda di 1.500.000 euro, ed è quanto l’Assessore aveva messo a bilancio alla voce “Trasferimento statale per minore gettito ICI”.

Il problema è che quella cifra, a bilancio, non aveva motivo di esserci, come spiegherò. Sicché non siamo di fronte ad un furto da parte del governo, bensì, semplicemente, ad un esercizio di finanza creativa da parte dell’Assessore. Per spiegarmi mi rifarò alle dichiarazioni dello stesso Assessore Ceselli in occasione della discussione sul bilancio di previsione, il 30 marzo 2009. Disse: «In piena corsa di bilancio del 2008 (siamo a giugno inoltrato con bilanci già abbondantemente impegnati) appare sul sito delle spettanze del 2008 per trasferimento gettito ICI un acconto del 50% di quanto dovuto, acconto pari a 652.531,20 euro e si evince che il trasferimento quindi nell’anno sarà pari a 1.305.000 euro circa. Il Comune però incassava dall’ICI in questione circa 1,5 milioni di euro con un taglio secco di 200 mila Euro. Bene, questo è “furto” e non a caso utilizzo questo termine». Proseguì l’Assessore: «A bilancio 2008 chiuso, primi giorni di gennaio 2009, sul sito delle spettanze del Ministero dell’Interno come per incanto – la racconto come una favola ma non lo è - la seconda rata del 2008 che doveva ammontare a 652.531,20 viene materializzata in euro 584.065,08, quindi altri 68.466,12 euro in meno e qui passa il termine giuridico di “scippo” del governo Berlusconi ai danni del Comune di Sestri Levante». E concluse: «Il bilancio 2009, quindi, viene costruito con le premesse che a fronte di un gettito ICI storico di 1,5 milioni di Euro, il Comune di Sestri Levante riceverà solo 1.236.596,28 con uno scippo di 263.403,72 e così avviene. Lo schema di bilancio passa in Giunta il 12 febbraio, ebbene, indovinate un po’? Fine settimana scorsa, 27 marzo 2009, gli uffici verificano il sito del Ministero dell’Interno e al Comune di Sestri Levante nelle spettanze ICI si materializza una vera e propria rapina: altri 112.020,20 Euro in meno, per un totale di 375.423,92 euro in meno rispetto a quanto dovuto».

Ora, Assessore, la domanda sorge spontanea: se Lei sapeva già a fine 2008 che l’introito per il mancato gettito ICI sarebbe stato inferiore al previsto, perché ha comunque messo a bilancio, per il 2009, la cifra di 1.500.000 euro? Avevo già formulato tale obiezione nel corso della discussione del bilancio di previsione e poi in altra occasione, senza però ricevere risposta alcuna.

Ma non è tutto. Nell’archivio del sito internet della Finanza Locale sono raccolti tutti i comunicati relativi alla questione dei trasferimenti per il mancato gettito ICI. Bene. La decisione del Governo Berlusconi di abolire l’ICI sulla prima casa è del 27 maggio 2008. Il 19 giugno il ministro dell’Interno emana un decreto nel quale si stabilisce che «Ai comuni, a titolo di anticipazione della compensazione per i minori introiti correlati al pagamento ICI, da effettuare da parte dei contribuenti entro il 16 giugno 2008, sono erogati rimborsi in misura pari al 50% dell'importo attestato con la certificazione resa in base al DM 15 febbraio 2008 al Ministero dell'Interno, quale gettito riscosso a titolo di ICI per gli immobili adibiti a prima casa di abitazione per l'anno 2007». Sulla base di tale decreto, il 7 luglio 2008 il Governo paga al Comune, quale contributo compensativo per i minori introiti dell’ICI sulla prima casa, 652.531,20 euro. Segue un altro decreto del ministro dell’Interno del 23 agosto 2008, nel quale vengono stabiliti i criteri ai fini della determinazione e attribuzione delle risorse compensative ai Comuni per il minore gettito ICI. Il 18 dicembre 2008, poi, un comunicato del ministero informa che «In data 12 e 13 dicembre scorso sono state disposte le ulteriori erogazioni per trasferimenti compensativi, per l’anno 2008, in relazione alle minori entrate ICI da abitazione principale, tenendo conto:
  • di quanto complessivamente attestato dai comuni;
  • degli stanziamenti di fondi;
  • dei criteri per la determinazione del riparto fra i comuni;
  • dell’anticipo già erogato nello scorso mese di luglio.
Si precisa - proseguiva il comunicato - che l’importo degli stanziamenti messi a disposizione dalle leggi di spesa per l’anno 2008 è stato di euro 2.864 milioni, a fronte di circa euro 3.022 milioni attestati con la certificazione di cui al decreto ministeriale del 15 febbraio 2008, quale “gettito ICI riscosso per l’anno 2007 per le unità immobiliari adibite ad abitazione principale”. Pertanto, gli stanziamenti ammontano a circa il 94,75 per cento del gettito attestato dai Comuni». Bene, Assessore Ceselli, le comunico che sul sito ufficiale della Finanza Locale risulta, sotto la voce Spettanze 2008 al Comune di Sestri Levante come Trasferimenti compensativi per minori introiti ICI abitazione principale, la cifra di 1.398.136, 25 euro. Se, come Lei ha affermato, il Comune introitava circa 1 milione e mezzo di euro dall’ICI sulla prima casa, ebbene, qui il taglio è nell’ordine di quanto annunciato dal citato comunicato del ministero, e cioè del 7%. Siamo ben lontani dal furto, dallo scippo, dalla rapina.

Tutto questo per ribadire la domanda che ho ricordato prima all’Assessore: perché Lei ha messo a bilancio, per il 2009, 1.500.000 euro, se era già chiaro che un calo, seppur lieve, vi sarebbe stato? Forse per avere a bilancio più entrate e coprire così maggiori spese nel momento in cui le entrate tributarie ed extratributarie erano già “a tappo”, come si suol dire, in seguito alla maxi stangata da Lei fatta cadere sui sestresi quest’anno? Ricordiamolo: passaggio dalla TOSAP (Tassa occupazione suolo pubblico) al COSAP (Canone Occupazione suolo pubblico) con relativo salasso per i cittadini; e aumento della TARSU, la tassa sui rifiuti solidi urbani, solo per citare gli aumenti più rilevanti.

Di fronte a tutto ciò, viene spontaneo ringraziare il governo per aver sottratto al Comune di Sestri Levante non i soldi dell’ICI, bensì la possibilità di usare un’altra leva fiscale per mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Del resto, i precedenti dell’Assessore Ceselli in materia di ICI non erano granché confortanti: correva l’anno 2004 e al suo primo bilancio di previsione, tanto per mostrare di che pasta era fatto, l’Assessore pensò bene di: aumentare dal 4,5 al 4,75 per mille l’ICI sulla prima casa; di aumentare dal 4,5 al 6 per mille l’ICI sugli immobili affittati a residenti come prima casa; di aumentare dal 5,5 al 6,5 per mille l’ICI per i locali destinati ad uso commerciale e artigianale; infine, di aumentare dal 5,5 al 5,75 per mille l’ICI per le unità immobiliari destinate ad alberghi e pensioni. A causa di questi aumenti, nel primo mandato amministrativo della Giunta Lavarello, l’introito comunale per l’ICI è passato da 5.660.000 del 2003 a 6.650.000 euro del 2007, ultimo anno prima dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa.

Tornando all’assestamento, che cosa vediamo, alla fine? Vediamo che comunque le entrate sono ancora in aumento: +96.000 euro di avanzo, +121.000 euro di ICI, + 20.000 euro di contributo ordinario da parte dello Stato, +65.000 euro di sanzioni amministrative, cioè di multe, +50.360 euro per alienazioni patrimoniali, +70.000 euro di trasferimenti dalla Provincia. In totale, si passa dalla previsione di 30.355.826 euro all’assestamento di 30.588.543 euro: +232.000 euro in più di entrate. Come faccia l’Assessore a piangere miseria rimane un mistero. Forse il suo sogno nascosto è, come ha detto nello scorso Consiglio Comunale l’amico Marco Conti, avere una macchina stampa-soldi per poter meglio spendere e spandere a destra e a manca, soprattutto a manca. Ma così, almeno, battendo moneta, eviterebbe di continuare a tartassare i cittadini sestresi.


Gianteo Bordero

giovedì 26 novembre 2009

NO ALL'ABORTO FAI-DA-TE

da Ragionpolitica.it del 26 novembre 2009

Una cosa dev'essere chiara nel dibattito sulla pillola RU486: fino a che sarà vigente la legge 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza (IVG), ogni nuova tecnica abortiva che si vorrà introdurre nel nostro paese non dovrà aggirare in nessun caso il dettato di tale normativa. Il quale prevede - ricordiamolo - che l'aborto non può e non deve essere utilizzato come strumento contraccettivo ex post, né come mezzo di controllo e limitazione delle nascite (articolo 1); che l'interruzione volontaria della gravidanza è ammessa solo ed esclusivamente qualora sia in pericolo la salute della donna (articolo 6); che l'intervento abortivo può avvenire soltanto in strutture pubbliche e in strutture comunque convenzionate con lo Stato (articolo 8); che tutte le IVG che avvengono al di fuori delle regole stabilite dalla legge del 1978 sono da considerarsi a tutti gli effetti come un reato, punito con la reclusione, a seconda dei casi, da sei mesi a otto anni (articoli 17-19).


Ora, il problema che si è posto e che si pone con la RU486, come ha rilevato la Commissione Sanità del Senato (che al termine dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva ha chiesto il blocco della procedura di immissione in commercio in attesa di un parere vincolante da parte del ministero della Sanità), è dunque quello di stabilire in maniera certa se la sua somministrazione possa o no essere compatibile con la legge 194. Nel caso lo fosse, sarà compito degli enti a ciò preposti predisporre un rigido e rigoroso protocollo attuativo che faccia sì che la procedura di IVG mediante l'assunzione della RU486 si svolga per intero all'interno delle strutture ospedaliere pubbliche o nelle cliniche convenzionate, evitando in tutti i modi che negli ospedali abbia luogo soltanto la somministrazione della pillola e che la donna venga poi abbandonata al suo destino e abortisca in solitudine, con gravi rischi per la sua salute fisica e psichica. Nel caso invece di un parere negativo espresso dal ministero della Sanità, l'AIFA (Agenzia italiana del farmaco) non potrebbe fare altro che prenderne atto e bloccare in via definitiva la commercializzazione della RU486.


Come ha spiegato ieri il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, «la coerenza con la legge 194 si realizza solo se c'è il ricovero ospedaliero ordinario per tutto il ciclo fino all'interruzione verificata della gravidanza. Questo significa che bisognerà dar vita ad un monitoraggio rigoroso, perché nei fatti non si verifichi l'elusione sistematica della normativa vigente». Parole che riecheggiano quelle pronunciate dallo stesso Sacconi il 1° ottobre scorso, durante la sua audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva svolta dalla XII Commissione del Senato: allora il ministro, ricordando le sperimentazioni avviate in Italia sulla base di protocolli regionali, citò i due pareri espressi, rispettivamente nel 2004 e nel 2005, dal Consiglio Superiore di Sanità, nei quali si affermava chiaramente che «alla luce delle conoscenze disponibili, i rischi per l'interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti ai rischi dell'interruzione chirurgica solo se l'interruzione di gravidanza avviene totalmente in ambiente ospedaliero». Per questo l'aborto farmacologico deve avvenire - secondo il Consiglio Superiore di Sanità - «in un ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla legge, e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto».


La palla passa dunque al ministero della Sanità, che si esprimerà, come ha fatto sapere il sottosegretario Eugenia Roccella, in tempi brevi. L'orientamento, a quanto si apprende, è quello di dare via libera alla RU486, stabilendo però l'obbligo, «per chi decide di intraprendere l'aborto farmacologico e per le strutture stesse, di garantire il ricovero dall'assunzione della pillola all'espulsione del feto». Stando così le cose, non si capisce perché dalle file dell'opposizione si siano levate e si levino ancora in queste ore grida e accuse contro la maggioranza e contro il governo (la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro ha parlato di una «cinica battaglia che strumentalizza un bene primario come la salute delle donne», mentre per l'ex ministro Livia Turco quella del centrodestra è una «furia oscurantista che blocca la commercializzazione di un medicinale già utilizzato da milioni di donne, da molti anni»). Forse la sinistra si augurava che l'immissione in commercio della RU486 significasse una deregulation dell'interruzione volontaria di gravidanza e che l'introduzione della pillola aprisse la strada all'aborto fai-da-te, solitario e indolore. Purtroppo per la guache nostrana, non è questa la strada scelta dal centrodestra e dal governo Berlusconi, che rimangono fedeli - a differenza della sinistra più o meno libertaria - alle disposizioni della legge 194.


Gianteo Bordero

FONDAZIONE MEDIATERRANEO. 7 ANNI DI AFFITTI NON PAGATI AL COMUNE DI SESTRI LEVANTE

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE “IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD”


COMUNICATO STAMPA DEL 26 NOVEMBRE 2009


Chissà se il sindaco Lavarello e il direttore generale della Fondazione Mediaterraneo, il dottor Barreca, avranno informato i partecipanti al Forum sull’infanzia, svoltosi venerdì scorso presso l’ex Convento dell’Annunziata, del fatto che tale struttura non possiede, ad oggi, il certificato di agibilità. Visti i precedenti, dubitiamo che l’abbiano fatto: per sette anni, infatti, sulla mancanza dell’agibilità dell’Annunziata sia l’Amministrazione sestrese che la dirigenza della Fondazione hanno fatto calare una spessa coltre di silenzio, come del resto hanno taciuto sul fatto che tale assenza di agibilità è stata utilizzata come cavillo per evitare il versamento al Comune, da parte di Mediaterraneo, dei dovuti canoni di locazione, per un totale di oltre 730.000 euro (tutto questo - ricordiamo - mentre la Fondazione incassava gli affitti dalle società private che operano all’interno dell’ex Convento dell’Annunziata). Su questa incresciosa vicenda è in corso un’indagine della Corte dei Conti, a testimonianza della gravità dell’accaduto e a conferma del fatto che la gestione di Mediaterraneo, in tutti questi anni, ha lasciato quanto meno a desiderare.


Tale indagine dovrebbe spingere i protagonisti della vicenda alla cautela e alla moderazione, e invece ci tocca leggere sui quotidiani locali i fervorini del dottor Barreca contro le forze politiche che non erano presenti al convegno di venerdì. Ricordiamo al direttore generale di Mediaterraneo che in Consiglio Comunale, il 9 giugno, non abbiamo fatto mancare il nostro voto favorevole alla mozione finalizzata all’istituzione, a Sestri Levante, di un Centro per la tutela dei diritti dell’infanzia nei paesi dell’area del Mediterraneo: si trattava di una proposta che abbiamo ritenuto seria e che invece si è conclusa, come al solito, soltanto nell’ennesimo convegno presso i locali della Fondazione – un’iniziativa a cui la mozione non faceva alcun cenno.


A chi ci critica in maniera demagogica vogliamo ribadire che, quando riteniamo una proposta utile per la città, non abbiamo difficoltà ad approvarla. Ma quello che non possiamo fare è mettere la testa sotto la sabbia e fare finta che la conduzione della Fondazione sia all’altezza della situazione. Anzi: dobbiamo qui ripetere con chiarezza che una revisione radicale della gestione di Mediaterraneo sarà tra i primi punti all’ordine del giorno nella nostra agenda amministrativa. Oltre a sanare la questione degli affitti non pagati, vogliamo che la Fondazione e l’ex Convento dell’Annunziata diventino veramente - e non soltanto a chiacchiere - il fiore all’occhiello della città, il motore della promozione di un modello di turismo ambientale alternativo all’attuale modello di turismo caotico e da seconda casa che nulla di buono ha portato a Sestri Levante negli ultimi dieci anni.


Gianteo Bordero (capogruppo)

Marco Conti

Giancarlo Stagnaro

martedì 24 novembre 2009

IL DISPREZZO

da Ragionpolitica.it del 24 novembre 2009

Passano gli anni, passano i governi, passano le legislature. Ma la sinistra italiana è ancora ferma lì, a quel 23 novembre del 1993, giorno nel quale - come ha ricordato Paolo Del Debbio dalle colonne de Il Giornale - Silvio Berlusconi, durante l'inaugurazione di un nuovo supermercato a Casalecchio di Reno, creò con un geniale colpo di magia il centrodestra in Italia sol dichiarando che, se egli avesse dovuto votare al ballottaggio per l'elezione del sindaco di Roma, avrebbe senz'altro sostenuto Gianfranco Fini, e non Francesco Rutelli. Apriti cielo! Nel giro di ventiquattr'ore la sdegnata intellighenzia gauchista, custode e detentrice della sacra ed inviolabile legittimità politica nel nostro paese, segnò col marchio dell'infamia l'uomo di Arcore. Che da quel giorno cessò di essere l'imprenditore Berlusconi e divenne il Cavaliere nero, il distruttore dell'arco costituzionale, il pericoloso parvenu della politica che rischiava di mettere a repentaglio gli equilibri istituzionali della Repubblica.


Una raffigurazione di Berlusconi che si consolidò nei mesi immediatamente successivi, prima con la nascita di Forza Italia e poi con la clamorosa vittoria dell'alleanza di centrodestra alle elezioni del 27 marzo 1994. Una rappresentazione che da allora, nella sostanza, non è mai mutata nella mente della sinistra italiana e dei suoi guru politico-culturali. I quali, incapaci di comprendere i veri motivi per cui Berlusconi andava riscuotendo tanto successo presso l'elettorato e, contestualmente, di analizzare le ragioni del progressivo crollo di consensi degli eredi del Pci, preferirono sbrigarsela rispolverando la cara, vecchia dottrina del «popolo bue», ammaliato dalle sirene della televisione commerciale e dalla spettacolarizzazione della politica. Cioè dai due strumenti che, secondo i dotti e sapienti della gauche caviar, il diabolico Berlusconi utilizzava per mandare i cervelli all'ammasso e addomesticare la mano che avrebbe poi dovuto tracciare la croce sulla scheda elettorale.


Così, mentre Berlusconi, giorno dopo giorno, continuava a strappare consensi alla coalizione a lui avversa e conquistava palmo a palmo sempre maggiori porzioni di paese reale, la sinistra e i suoi (cattivi) maestri si rinchiudevano nei loro salotti non per un salutare ripensamento culturale e politico, bensì per vomitare tutta la loro rabbia acida contro il «Caimano», il «partito di plastica», i «nani e le ballerine», e per lanciare infuocati anatemi contro il «pericolo per la democrazia». I risultati di questa - chiamiamola così - strategia sono ora sotto gli occhi tutti: partiti ex, post e neo comunisti alla canna del gas; classi dirigenti in perenne stato confusionale, vagolanti nel buio politico più fitto; elettori della sinistra storica delusi, sconfortati, annoiati.


Di fronte all'evidenza di tale disastro, oggi sarebbe lecito attendersi, da parte di chi ne è stato all'origine, o un sincero mea culpa o un dignitoso silenzio. Pie illusioni. Speranze malriposte in chi ancora è convinto di essere circondato da una patina di superiorità morale, ontologica ed intellettuale che gli dà titolo ad ergersi a giudice di tutto e di tutti. Come Eugenio Scalfari, che, dopo 16 anni di fallimentari elucubrazioni politiche antiberlusconiane, incapace di accettare il fatto che il paese reale non risponda e non corrisponda ai desiderata suoi e della sua Repubblica, si lancia in una scomunica a tutto tondo non soltanto - com'è ovvio - di Berlusconi e dei dirigenti del suo partito, ma della realtà stessa, dell'Italia e degli italiani. Colpevoli, come un personaggio di Diderot, di essere diventati «amorali» e di aver smarrito, votando per il Cavaliere nero, il «senso del bene e del male». «Il mondo degli uomini senza qualità»: così Scalfari ha titolato la sua reprimenda domenicale. Ma il titolo giusto sarebbe stato «Il disprezzo»: disprezzo di tutto ciò che non va per il verso auspicato dall'intelligentissima cervice scalfariana. Un articolo da tramandare ai posteri non soltanto per spiegare il significato della parola «antiberlusconismo», ma anche per far loro comprendere in tutta la sua terribile profondità la crisi della sinistra italiana dopo quel 23 novembre 1993.


Gianteo Bordero