da Ragionpolitica.it del 17 dicembre 2009
Silvio Berlusconi ha lasciato giovedì mattina l'ospedale San Raffaele e ha fatto ritorno nella sua residenza di Arcore. In una nota diffusa da Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio ha messo nero su bianco alcune importanti riflessioni, che tracciano la rotta non soltanto per il prosieguo dell'azione di governo, ma anche per la restaurazione di un clima di civiltà politica che oggi appare non più procrastinabile.
Vittima dell'«odio di pochi» e sostenuto dall'«amore di tanti, tantissimi», il premier annuncia che «andremo avanti con più forza e più determinazione di prima sulla strada della libertà. Lo dobbiamo al nostro popolo, lo dobbiamo alla nostra democrazia, nella quale non prevarranno né la violenza delle pietre, né quella peggiore delle parole». Provato nel fisico, ma non nello spirito combattivo che da sempre lo contraddistingue, Berlusconi rinnova così il suo impegno di fronte agli italiani che lo hanno chiamato alla guida del paese, e che in questi giorni gli hanno tributato una straordinaria manifestazione di affetto, di vicinanza e di solidarietà, mostrando nei confronti del premier un calore umano e una fiducia che rappresentano il miglior viatico per la ripresa dell'attività dopo il periodo di riposo consigliato dai medici.
Ma è nella seconda parte del comunicato che emerge il vero messaggio politico lanciato dal presidente del Consiglio, quello attorno al quale si gioca la partita più importante per l'intera classe politica e per l'intero paese. Berlusconi afferma che esiste una condizione per cui tutte le sofferenze che egli ha patito dal momento della violenta aggressione di domenica possono non essere inutili. Afferma il premier: «Se da quello che è successo deriverà una maggiore consapevolezza della necessità di un linguaggio più pacato e più onesto nella politica italiana, allora questo dolore non sarà stato inutile». E, rivolgendosi a quei «leader politici dell'opposizione» che egli dice di aver sentito ha sentito vicini dopo i drammatici fatti di Piazza del Duomo, chiede loro una sola cosa, ma impegnativa: «Prendere le distanze in modo onesto dai pochi fomentatori di violenza». Non si tratta dunque, per l'opposizione, di rinunciare alla durezza della contrapposizione politica sui temi del governo, bensì di ricondurre il dibattito e l'asprezza della battaglia tra schieramenti all'interno di quei minimi parametri di civiltà che sono stati ampiamente valicati con la furibonda campagna di delegittimazione personale e morale di cui il presidente del Consiglio è stato oggetto in maniera crescente negli ultimi mesi. Solo così «potrà finalmente aprirsi una nuova stagione di dialogo». Che non significa fare inciuci o cose simili, ma ripristinare ciò che accade in qualsiasi democrazia normale e degna di questo nome, in cui chi ha vinto le elezioni, forte del consenso popolare, dispiega legittimamente la sua opera di governo e altrettanto legittimamente viene contrastato dalle opposizioni, ma non quotidianamente demonizzato, indicato come Nemico assoluto e dipinto come il Male da abbattere.
Non sappiamo se l'invito contenuto nelle parole del presidente del Consiglio verrà accolto dai destinatari. E di certo non fanno ben sperare le dichiarazioni rilasciate giovedì da alcuni esponenti del Partito Democratico. Quello che è certo è che il maggior partito della sinistra italiana, di fronte all'appello del premier, non ha più alibi: o imbocca la strada della responsabilità e del confronto serio sul piano politico, isolando gli estremisti e gli incendiari, oppure finirà per consegnare tutto lo spazio dell'opposizione a quei partiti e a quei settori della gauche che anche in questi ultimi giorni non hanno mancato di mettere in mostra tutto il loro odio contro Berlusconi, e ai quali, evidentemente, i fatti di domenica non hanno insegnato nulla. Il capo del governo è cosciente di ciò, e per questo scrive, a conclusione del suo messaggio: «In ogni caso, noi andremo avanti sulla strada delle riforme che gli italiani ci chiedono».
Gianteo Bordero
giovedì 17 dicembre 2009
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