da Ragionpolitica.it del 12 dicembre 2009
La svolta a sinistra di Di Pietro, iniziata all'indomani delle elezioni politiche dell'aprile 2008 e proseguita, con un crescendo quotidiano, nei mesi successivi fino alla definitiva consacrazione del «compagno» Tonino avvenuta lo scorso novembre durante una conferenza stampa congiunta con il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero, conosce oggi una nuova, robusta accelerazione. Dalla toga alla falce e martello, il passo non è stato semplice, ma il caparbio leader dell'Italia dei Valori ci s'è messo d'impegno, e oggi la metamorfosi può dirsi compiuta. Non che Di Pietro abbia smesso l'abito mentale e ideologico dell'ex pm - basta leggere le sue dichiarazioni giornaliere in difesa della sacralità e dell'intangibilità della magistratura di qualsiasi ordine e grado per rendersene conto - ma egli ha capito che per riuscire a raggranellare nuovi consensi e fare breccia in settori inesplorati dell'elettorato italiano ci voleva il salto - si fa per dire - di qualità.
Così l'astuto Tonino si è guardato in giro e ha visto che l'unico spazio nel quale ci si poteva avventurare per fare man bassa di voti era quello della sinistra dura e pura, uscita con le ossa rotta dalle elezioni del 2008 e priva di rappresentanza parlamentare non avendo raggiunto la soglia minima per entrare a Palazzo. Resta esemplare, in tal senso, l'intervista che Di Pietro ha concesso al giornale di Piero Sansonetti, Gli Altri, il 7 ottobre scorso: «La sinistra sono io», annunciava, spiegando che «l'Italia dei Valori, nel proporsi come forza alternativa di governo, e nel prendere atto che ci sono larghe fasce della popolazione senza rappresentanza, ha allargato i propri orizzonti anche verso quella parte dell'elettorato tradizionalmente di sinistra, anche comunista». Una scelta strategica e non solo tattica - precisava - perché «siamo una forza antagonista al sistema ma che non vuole essere extra-parlamentare».
Scorribanda dopo scorribanda nella terra desolata dei nostalgici del comunismo, siamo dunque arrivati all'oggi, giorno in cui l'annunciata svolta «antagonista» di Di Pietro è emersa in tutta la sua portata. L'occasione è stata la manifestazione romana organizzata dalla Cgil scuola e pubblico impiego. Dove c'è protesta c'è Tonino, il quale, reduce dai fumi estremisti e dai fiumi di retorica massimalista respirati al «No B-day» dello scorso sabato, si è presentato al corteo sindacale per lanciare i suoi strali contro la Finanziaria del governo e per far sentire - così egli ha affermato - la sua vicinanza ai lavoratori scesi in piazza. Non contento delle sue esternazioni, per far comprendere in modo chiaro e inequivocabile la sua osmosi politica con le bandiere rosse sventolate dai manifestanti, ha sganciato la bomba atomica, facendo apparire come timidi moderati e come rivoluzionari all'acqua di rose gli attuali leader dell'estrema sinistra. Ha detto: «Se il governo continua ad essere sordo ai bisogni dei cittadini, si andrà allo scontro di piazza, e lì ci scapperà l'azione violenta se il governo non si assume la responsabilità di rispondere ai bisogni del paese». Boom!
Scontri di piazza? Azioni violente? Non c'è male, per uno che si era presentato sulla scena pubblica italiana come il paladino dell'ordine e della legalità, come il poliziotto duro e inflessibile, come l'espressione di una sensibilità che senza tema di errore poteva essere definita di estrema destra. Ma visto che, come si suol dire, a volte gli estremi - e gli estremismi - si toccano, ciò è avvenuto anche nel caso di Di Pietro. Che uomo di piazza, o che usa la piazza - anche mediatica - in fondo lo è sempre stato, già ai tempi delle sue requisitorie-show contro i dirigenti dei partiti della Prima Repubblica, rilanciate nelle case degli italiani dalle televisioni con lunghe dirette da Palazzo di Giustizia, e capaci così di far ribollire e poi esplodere in piazza, come nel caso di Craxi, il risentimento popolare contro la classe politica di allora.
Perciò possiamo dire che, nella sostanza, non v'è cesura tra il Di Pietro di ieri e quello di oggi, quello del 1992 e quello del 2009, tra il massimalista di destra e il massimalista di sinistra. Perché è un dato inconfutabile della storia quello per cui chi si nutre di estremismo ha sempre bisogno di nuovo sangue fresco per non far sciogliere come neve al sole la sua immagine di più duro e di più puro nella guerra contro il nemico, di condottiero incontrastato nella lotta contro l'ingiustizia e contro l'oppressore, di leader assoluto della moralità e della resistenza al male. Oggi nel capo dell'Idv si fondono dunque a caldo il giustizialismo e il comunismo, e ne viene fuori questa miscela esplosiva di giacobinismo e rivoluzione proletaria, di Robespierre e Marx, con esiti che, date le premesse, non potranno che essere nefasti per la nostra democrazia e per la nostra amata Repubblica.
Gianteo Bordero
sabato 12 dicembre 2009
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