martedì 31 marzo 2009

IL BILANCIO COMUNALE 2009 DI SESTRI LEVANTE: UNA PIOGGIA DI TASSE

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

COMUNICATO STAMPA DEL 31 MARZO 2009

BILANCIO DI PREVISIONE 2009.
A SESTRI LEVANTE IN ARRIVO UNA PIOGGIA DI TASSE

Il bilancio di previsione 2009 del Comune di Sestri Levante, approvato ieri sera, è purtroppo facile a riassumersi in una sola parola: “Tasse”. E’ infatti una pioggia di aumenti di tariffe quella che ricadrà su tutti i cittadini a seguito dell’adozione del documento votato dalla maggioranza di centrosinistra. L’Amministrazione Lavarello ha scelto, ancora una volta, di andare a mettere le mani nelle tasche dei sestresi invece che procedere ad un ripensamento complessivo della gestione della macchina comunale, tale da garantire una vera economicità della stessa e, al medesimo tempo, una vera efficienza amministrativa. Sono previsti aumenti esponenziali della Tassa per lo smaltimento dei rifiuti, del Canone per l’occupazione di suolo pubblico, delle tariffe per il rilascio dei contrassegni auto per le Ztl e Zsl, delle tariffe per le concessioni cimiteriali e di quelle per i servizi pubblici a domanda individuale.

La Giunta Lavarello si è lamentata per l’ennesima volta per l’abolizione dell’Ici sulla prima casa operata dal governo Berlusconi. Noi invece la consideriamo come un atto dovuto nei confronti dei cittadini e come uno stimolo alle Amministrazioni comunali affinché gestiscano con maggiore oculatezza le risorse disponibili. Senza contare che l’Ici sulle seconde case, sulle attività commerciali e su quelle artigianali e alberghiere continua comunque a fruttare al Comune una cifra importante, una quota significativa del bilancio. Ma questo alla Giunta Lavarello non basta, come ad essa non bastano i trasferimenti statali previsti dal governo per il mancato introito dell’Ici sulla prima casa. Il Sindaco e l’Assessore al Bilancio vogliono di più: vogliono spremere le tasche del cittadino contribuente nella misura maggiore possibile, vogliono mungere le vacche grasse e anche quelle magre. Il tutto per continuare a gestire il potere e la macchina comunale secondo il loro stile, quello che da sedici anni a questa parte ha portato a risultati che sono sotto gli occhi di tutti: crescita dello sviluppo economico, zero; crescita delle tasse, cento. Anzi, mille.

E ad aggravare il già fosco quadro che emerge dal bilancio è la totale mancanza di un serio piano di rilancio della città: gli investimenti infrastrutturali languono e le risorse stanziate per il 2009 non sono sufficienti forse neppure per l’ordinaria amministrazione. Sul turismo gli investimenti della Giunta stanno a zero: qui siamo veramente al piano terra e la direzione intrapresa non è certo quella della risalita; infatti Lavarello e Ceselli hanno pensato bene di colpire i titolari di stabilimento balneare con un aumento della Tassa sui rifiuti del 115%.

Per quanto riguarda le società partecipate dal Comune (i bilanci di tali società sono parte integrante del bilancio comunale), abbiamo ancora una volta sollevato la questione della Fondazione Mediaterraneo, perché ad oggi non v’è traccia di quanto richiesto dalla stessa maggioranza in occasione del Consiglio Comunale del 4 novembre 2008 con il seguente ordine del giorno: “Il Consiglio Comunale di Sestri Levante impegna il Sindaco e la Giunta a predisporre e stipulare, con efficacia dal 1° gennaio 2009, una nuova convenzione con la Fondazione Mediaterraneo; a proseguire nella predisposizione degli atti necessari all’adeguamento funzionale dei locali idonei all’accoglimento di grandi eventi e convegni”. Siamo al 30 marzo 2009 e niente di ciò che la maggioranza aveva messo nero su bianco, impegnando formalmente il Sindaco e la Giunta, è stato fatto. Perciò siamo tornati a chiedere che l’Amministrazione si attivi al più presto per mettere in atto tutte le misure necessarie nei confronti della Fondazione, che da sette anni (e con questo otto) non paga i dovuti canoni di affitto al Comune di Sestri Levante ed opera in spazi e locali privi dei certificati di agibilità. Non è possibile trattare di ogni altra questione inerente la Fondazione se prima il Sindaco e la Giunta non avranno ottemperato a quello che la stessa maggioranza che li sostiene ha chiesto loro. Si tratta di atti dovuti alla città, sui quali non è possibile sorvolare.

Per tutti questi motivi il nostro voto al bilancio di previsione 2009 è stato un voto contrario. Riteniamo che Sestri Levante abbia bisogno di una politica diversa, di un disegno amministrativo che le assicuri una prospettiva concreta di crescita e di sviluppo, in linea con quelle che sono le sue enormi potenzialità e risorse. Niente di tutto ciò si intravede nel bilancio comunale 2009. Purtroppo, non c’è niente di nuovo sotto il sole sestrese. C’è solo, ancora una volta, con la Giunta Lavarello, qualcosa di peggiore.


Gianteo Bordero (Capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

domenica 29 marzo 2009

UNA LAICITA' FONDATA SULLA RAGIONE

da Ragionpolitica.it del 27 marzo 2009

«Il Popolo della Libertà sarà un partito laico che non rinuncerà mai ad un punto di riferimento che consideriamo imprescindibile: la sacralità della vita e la dignità della persona». Così sabato 21 marzo, intervenendo telefonicamente ad un convegno dei Popolari Liberali di Carlo Giovanardi, Silvio Berlusconi ha efficacemente sintetizzato uno dei punti qualificanti la proposta politica del Pdl: un concetto di laicità che renderà il nuovo partito a un tempo aconfessionale e profondamente radicato nella storia spirituale, culturale e religiosa dell'Italia. Le parole del presidente del Consiglio confermano che, anche su questo punto, il Popolo della Libertà sarà un partito all'avanguardia all'interno del panorama politico nazionale, un partito capace di cogliere i segni dei tempi, guardando in faccia le nuove sfide poste dalla società post-novecentesca.

Le innumerevoli questioni etiche sollevate dal progresso tecnologico, i risvolti morali degli esperimenti effettuati in campo biologico e genetico, le nuove possibilità a cui è giunta la scienza medica impongono di leggere sotto un'altra luce il tema della laicità, che non può più essere inteso soltanto come la pur necessaria definizione dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa e delle loro rispettive competenze, ma deve aprirsi ai contributi che dal lungo percorso della tradizione cattolica possono giungere al dibattito politico riguardante le materie bioetiche. In particolare, come anche emerge dalle parole del presidente del Consiglio citate in precedenza, si tratta oggi di confrontarsi su un terreno che non è più soltanto e specificamente di fede, ma in primis di ragione: il terreno del corpo umano, della vita e della sua dignità, delle misure che è necessario mettere in atto, in campo legislativo, per proteggerla e non lasciarla in balia di una cultura di impronta nichilista e dell'interesse particolare di lobbies organizzate che perseguono obiettivi non sempre finalizzati al bene comune.

Da questo punto di vista, rappresenta certamente un aiuto significativo all'evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa e alla definizione di una nuova laicità la linea che l'attuale pontefice ha impresso al suo papato: Benedetto XVI affronta ormai da quattro anni i temi bioetici sempre partendo da un approccio di ragione prima ancora che strictu sensu di fede. Egli invita a considerare quei dati - tra cui appunto la sacralità della vita, la dignità della persona - a cui l'uomo può giungere innanzitutto attraverso il retto uso della ragione, riconoscendo il valore assoluto dell'esistenza anche a prescindere dall'appartenenza religiosa. Basti pensare, a tal proposito, al percorso compiuto da un filosofo laico, moderno e illuminista come Immanuel Kant, che nella sua Fondazione della Metafisica dei costumi arrivava ad affermare che la vita umana deve essere considerata «sempre come un fine, mai come un mezzo».

E' chiaro, dunque, che dire oggi «laicità» significa, in ultima analisi, invitare nuovamente ad un uso della ragione che non resti vincolato a preconcetti ideologici, ma si apra alla possibilità di scoprire nella realtà, e nelle sfide che essa pone, una verità, un significato e, con esso, un'indicazione di marcia in campo etico. Si tratta, in sostanza, di riscoprire nell'essere il fondamento del dover essere, di elaborare perciò posizioni politiche in materia bioetica sempre motivando l'aspetto prescrittivo delle leggi con il richiamo al loro fondamento in un percorso razionale di ascolto leale e rispettoso della realtà, dell'essere.

Qualche tempo fa, su La Repubblica, il teologo Vito Mancuso ha affermato che una posizione del genere - una laicità fondata sulla ragione - dovrebbe per ciò stesso aprirsi al dubbio e riconoscersi quindi come una posizione relativa, priva, a ben guardare, di ogni pretesa veritativa. Ma se tutto, in campo bioetico, è in prima istanza dubbio, e quindi mera relatività, si spalancano alla fine le porte per ogni genere di sopruso ai danni della persona umana: senza la verità e la certezza di ragione in merito alla sacralità, alla dignità, all'indisponibilità della vita, l'essere umano - ed in specie quello più debole: il feto, l'ammalato, il disabile in stato vegetativo persistente - è di fatto esposto ai venti dell'arbitrio e della sopraffazione.

Nella legislatura 2001-2006 la maggioranza che sosteneva il secondo governo Berlusconi promosse una buona legge sulla fecondazione assistita, che resse anche la prova del referendum abrogativo del giugno 2005. Oggi i partiti che appoggiano il Berlusconi IV sono impegnati nell'esame del testo sul fine vita, un testo che tiene conto di quanto affermato in prima persona dal presidente del Consiglio negli ultimi giorni della drammatica vicenda di Eluana Englaro. Annunciando coraggiosamente il decreto legge poi bloccato dal presidente della Repubblica, il premier disse che con la nuova normativa «tutti i cittadini italiani avranno la certezza, qualora cadessero in condizioni di vita vegetativa, di non essere privati della fornitura non di cure, ma degli elementi base della vita, che sono l'acqua e il cibo». Attraversando il suo personale Rubicone sui temi bioetici, fondando la difesa della vita umana e della dignità della persona su argomenti di ragione non confessionali ma radicati nella tradizione spirituale e culturale del nostro paese, Silvio Berlusconi ha così impresso sul Popolo della Libertà il marchio di una sana laicità positiva, che sarà uno dei fiori all'occhiello del nuovo partito.

Gianteo Bordero

mercoledì 25 marzo 2009

SICUREZZA. LA GIUNTA LAVARELLO DICE NO AL RAFFORZAMENTO DEI CONTROLLI E DELLA VIDEOSORVEGLIANZA

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”

COMUNICATO STAMPA DEL 25 MARZO 2009
Durante la seduta di Consiglio Comunale del 24 marzo, ancora una volta il sindaco Lavarello e la maggioranza che lo sostiene hanno detto “no” alle richieste del nostro gruppo in materia di sicurezza urbana.

Nel dettaglio, hanno detto “no” al rafforzamento dei controlli condotti da Polizia Municipale e Forze dell’Ordine nelle aree della città maggiormente insicure ed esposte alle scorribande di ladri e delinquenti. Hanno detto “no” all’implementazione della videosorveglianza, del circuito di telecamere presenti sul territorio sestrese. Hanno infine detto “no” allo stanziamento, nel bilancio comunale, di una maggiore quota di risorse da destinare al comparto sicurezza.

Ma, così facendo, la Giunta e la maggioranza hanno detto “no” non soltanto al nostro gruppo, ma anche alle richieste che sempre più numerose arrivano da una cittadinanza che non si sente più sicura come un tempo ed è costretta ad osservare con preoccupazione l’allarmante ripetersi di gravi episodi di criminalità quali le rapine a mano armata.

E’ veramente sconfortante prendere atto di come l’attuale Amministrazione si ostini a non voler guardare in faccia una realtà che è ormai sotto gli occhi di tutti i sestresi e che solo chi ancora procede, nella sua attività politica, con le lenti dell’ideologia e del preconcetto può non vedere.

Gianteo Bordero (capogruppo)
Giuseppe Ianni
Marco Conti
Giancarlo Stagnaro

sabato 21 marzo 2009

GUERRA AL PAPA IN NOME DEL PRESERVATIVO

da Ragionpolitica.it del 21 marzo 2009

Ormai è chiaro che quello di Benedetto XVI sarà tramandato ai posteri come un pontificato contestato. Tanto intra ecclesiam quanto extra ecclesiam. Sia dentro la Chiesa che al di fuori di essa. Dopo le polemiche nate in seguito alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, che si sono intrecciate con lo scalpore destato dalle posizioni negazioniste di monsignor Williamson, a far scoccare la scintilla per una nuova vampata di critiche a Papa Ratzinger sono state in questi giorni le dichiarazioni rilasciate dal pontefice in un colloquio con i giornalisti durante il volo che ha lo portato in Africa per la sua visita apostolica in Camerun e Angola che si protrarrà fino al prossimo lunedì.

Interrogato da un giornalista di France 2 in merito alla questione della diffusione dell'Aids nel continente africano e ai metodi per arginarla, Benedetto ha risposto, senza giri di parole, affermando che: «Non si può risolvere il flagello con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema». Apriti cielo! Nel giro di poche ore le dichiarazioni del Papa sono state prese di mira dalla grande stampa internazionale e dalle cancellerie di mezza Europa, dalla Francia alla Germania, dall'Olanda e dal Belgio alla Spagna (il governo Zapatero ha subito annunciato l'invio in Africa di un milione di profilattici da distribuire alla popolazione), fino ad arrivare alla stessa Unione Europea. Ministri degli Esteri o della Sanità del Vecchio Continente hanno usato toni forti contro Ratzinger, accusato, a seconda dei casi, di «irresponsabilità», di recare «minacce alla salute pubblica», di «scarsa attenzione ai poveri», di non comprendere «la reale situazione dell'Africa». Anche le Nazioni Unite, solitamente silenti di fronte alle vere minacce alla dignità e ai diritti dell'uomo, stavolta non hanno fatto mancare la loro voce: l'Agenzia Onu per la lotta all'Aids ha precisato che l'uso del condom è una risposta importante nella strategia di prevenzione.

In Italia non poteva mancare, tra le altre, la reazione critica del «cattolico adulto» Dario Franceschini, sempre pronto a prendere le distanze dalle posizioni ufficiali espresse dal Papa e dalla gerarchia e a sposare le cause del laicismo ideologico (come dimenticare, ai tempi del governo Prodi, la sua crociata contro i vescovi all'indomani del documento della Cei contro i Dico?). Il segretario del Partito Democratico, riecheggiando in ciò il suo predecessore Walter Veltroni - autore di un (in)dimenticato libro sull'Africa dall'inquietante titolo Forse Dio è malato, nel quale sollecitava la distribuzione di profilattici come rimedio all'Aids - ha dichiarato che l'uso del preservativo è «indispensabile e da diffondere per combattere l'Aids, la disperazione e la morte in Africa e nei paesi più poveri del mondo».

Tutti contro il Papa, dunque, salvo alcune eccezioni, come quella rappresentata dal presidente del Consiglio italiano, che ha riconosciuto a Benedetto XVI la «coerenza con il suo ruolo» e la fedeltà «alla sua missione». E ha aggiunto: «Rispettiamo la Chiesa e ne difendiamo la libertà anche quando si trova a proclamare principi e concetti difficili e impopolari». Resta da chiedersi il perché di tanto astio nei confronti del pontefice. Certamente egli, con le sue parole, è andato ancora una volta controcorrente rispetto ad uno dei punti fermi della mentalità politicamente corretta, un punto accettato come dogma dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale: più condom uguale meno Aids. Da questo punto di vista, la posizione ratzingeriana (che peraltro ribadisce quanto già detto e ridetto da Giovanni Paolo II), per quanto minoritaria, sembra però corroborata dai dati forniti dalle istituzioni internazionali, prima fra tutte la stessa Agenzia dell'Onu per la lotta all'Aids, che ha ammesso di recente l'alta percentuale di «fallibilità» del preservativo. Inoltre, quello che emerge da diversi studi è che, da quando in Africa si sono intensificate le campagne per la diffusione, la distribuzione e l'uso del profilattico, i numeri dei contagi non hanno registrato cali significativi (si veda, ad esempio, il caso del Sud Africa). Di contro, in quei paesi (come l'Uganda) dove maggiore è stato l'impulso dato all'educazione alla fedeltà, all'astinenza e alla responsabilità coniugale, si è assistito ad una diminuzione delle infezioni. Perciò ne ha ben donde il Papa ad affermare, come ha fatto nel suo colloquio con i giornalisti, che «la soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l'uno con l'altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi».

Non si tratta dunque di negare il flagello rappresentato dall'Aids, né di nascondere sotto il tappeto il dramma vissuto da intere popolazioni - spesso nel silenzio e nell'indifferenza globale - ma di andare alla radice del problema senza pregiudizi e senza ipocrisie. Ed è qui che si innesta il secondo motivo, dopo quello più marcatamente statistico e scientifico, alla base delle contestazioni internazionali contro Benedetto XVI. Egli, rispondendo all'inviato di France 2, ha detto che prima di tutto, per affrontare a testa alta la questione dell'Aids, occorre «l'anima». E' proprio questo richiamo alla dimensione spirituale ad infastidire la buona coscienza della mentalità dominante (anche in Europa), secondo la quale, una volta inviati in Africa qualche cargo di preservativi e una buona dose di aiuti in denaro, si può tranquillamente ritenere di aver contribuito a debellare la terribile malattia. Invece Papa Ratzinger richiama a un di più che non tocca i tesori statali, ma che inerisce al patrimonio spirituale e morale che il cristianesimo ha creato ovunque esso si è impiantato: l'educazione al vero e al bene, che sola può incidere in profondità nei costumi di un popolo, sino al punto di indirizzarli in una direzione radicalmente diversa. Non si tratta di una propaganda unilaterale, ma di uno sforzo che coinvolge a un tempo chi educa e chi è educato, che richiede l'amorevole dedizione del primo e la leale disponibilità del secondo. Un'educazione che parte da un atto di fiducia in chi si ha di fronte, che non guarda all'altro dall'alto in basso ma si fa compagna di strada.

E' questo ciò che Benedetto intende quando parla dell'impegno della Chiesa cattolica sul fronte della lotta all'Aids, quando elogia i movimenti e le associazioni presenti in Africa, anche se certamente egli è cosciente delle criticità e delle differenti posizioni che esistono all'interno stesso della Chiesa in merito alla questione dell'utilizzo del condom. Ma il Papa non abbassa di un millimetro l'asticella dei termini del problema, che rimane, in ultima analisi, un fatto - come dice lui - di «umanizzazione», di «rinnovamento dell'uomo interiore» che porta con sé anche un modo diverso di vivere la sessualità, una rivoluzione del normale modo di intendere i rapporti che solo può vivificare e riedificare dall'interno una civiltà ferita e martoriata.

Gianteo Bordero

martedì 17 marzo 2009

BENEDETTO XVI INDICE L'ANNO SACERDOTALE

da Ragionpolitica.it del 17 marzo 2009

Alla vigilia della sua partenza per l'Africa, dove sarà in visita apostolica fino al prossimo 23 marzo, Benedetto XVI ha incontrato lunedì mattina in Vaticano i partecipanti alla riunione plenaria della Congregazione per il Clero. Ad essi il Papa ha annunciato l'indizione di uno speciale «Anno sacerdotale», che inizierà il 19 giugno prossimo e si protrarrà fino al 19 giugno del 2010. Corre infatti il 150° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars, definito dal pontefice come «vero esempio di Pastore a servizio del gregge di Cristo» (Benedetto lo proclamerà patrono di tutti i sacerdoti del mondo). E', questa, una decisione non casuale: Papa Ratzinger intende porre l'accento sulla vera dimensione del sacerdozio ministeriale cattolico, il quale si distingue «ontologicamente» - ha tenuto a precisare Benedetto XVI nel suo discorso - dal sacerdozio battesimale, «detto anche sacerdozio comune». Lo scopo del pontefice è chiaro: far riscoprire la specificità del prete a fronte di una tendenza, assai diffusa nella Chiesa in questi ultimi anni, secondo cui il presbitero si distingue dal semplice fedele solamente per il compito svolto nella comunità (amministrazione dei sacramenti, celebrazione della Messa, ecc...) e non per la sua speciale vocazione spirituale ed ecclesiale.

Il Papa ha molto insistito su questo punto e ha spiegato che, «con l'imposizione delle mani del vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa», cioè attraverso il sacramento dell'Ordine, il candidato al sacerdozio entra in una nuova dimensione ontologica, partecipa «ad una "vita nuova" spiritualmente intesa, a quel "nuovo stile di vita" che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli». Non si tratta, dunque, semplicemente di un «fare» specifico di cui il prete è responsabile nei confronti degli altri credenti, ma, ben più profondamente, di un «essere» nuovo di colui che è chiamato a seguire Cristo nella forma vocazionale del sacerdozio. Se si vuole, Benedetto XVI ha nuovamente messo in primo piano la dimensione mistica della figura del sacerdote, quella per la quale egli, nella celebrazione dei sacri riti, e specialmente in quelli eucaristici, diviene partecipe - rendendolo attuale in ogni Messa - del sacrificio redentivo di Gesù.

Ratzinger ha poi sottolineato i quattro aspetti essenziali della missione del presbitero: ecclesiale, comunionale, gerarchico e dottrinale, che devono essere «sempre riconosciuti come intimamente correlati». Ha inoltre sollecitato, come già fatto in passato, a porre particolare attenzione alla formazione dei seminaristi: i loro superiori sono chiamati a coltivare «relazioni umane veramente paterne», avendo a cuore la «formazione permanente, soprattutto sotto il profilo dottrinale e spirituale». A tal proposito, Benedetto XVI ha tenuto ancora una volta - ritornando su un punto toccato anche nella recente lettera agli episcopati per spiegare i motivi della remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani - a precisare che tale formazione deve essere innanzitutto pensata e realizzata «in comunione con l'ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità». Da questo punto di vista, è ormai chiaro che la questione della corretta interpretazione del Concilio Vaticano II e della sua continuità con l'intera storia della Chiesa è in cima alle preoccupazioni dell'attuale pontefice, che non perde occasione per trattare questo tema e declinarlo a seconda dell'interlocutore che si trova di fronte. Così ieri ha ribadito che è importante «favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa».

Il prete di cui ha parlato Benedetto, dunque, deve essere consapevole fino in fondo del propriumdella sua vocazione, e deve perciò essere una figura riconoscibile tanto nella Chiesa quanto al di fuori di essa, manifestando sia interiormente che esteriormente la sua «differenza»: deve cioè essere identificabile «sia per il suo giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l'abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa». Insomma, una figura di sacerdote a tutto tondo quella disegnata dal Papa; una figura che deve assumere nuovamente, all'interno della Chiesa, il posto che le spetta. Soprattutto in un momento come quello attuale, che risente ancora dell'influsso di molte proposte teologiche sviluppatesi all'indomani del Vaticano II, le quali, «partendo da un'erronea interpretazione della giusta promozione dei laici», rischiano di far dimenticare la ricchezza, la benedizione, il dono che per la Chiesa sono le vocazioni sacerdotali.

Gianteo Bordero

sabato 14 marzo 2009

L’ODIO CONTRO IL PAPA E IL «FUMO DI SATANA»

da Ragionpolitica.it del 14 marzo 2009

Non c'è neanche la possibilità dell'errore di traduzione, perché Benedetto XVI ha scritto di suo pugno la lettera ai vescovi in due versioni: italiano e tedesco. E quindi la parola usata è proprio quella: «Odio». Papa Ratzinger sente che si è diffuso, tra i membri stessi della Chiesa, questo forte sentimento di rabbiosa avversione e di profondo risentimento proprio nei suoi confronti, nei confronti del vicario di Cristo e successore dell'apostolo Pietro. Venisse da fuori, da coloro che sono extra ecclesiam, quest'odio non desterebbe scandalo e il pontefice non si sentirebbe tenuto a rispondere con una inconsueta lettera ufficiale. No. L'odio - dice Benedetto - viene da dentro, dalle membra del corpo, che si ribellano alla volontà del capo e covano dentro di sé cupi disegni di rivalsa e di vendetta.

Tornano alla mente le parole dell'allora cardinal Ratzinger alla Via Crucis del 2005: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». Oggi è lo stesso Ratzinger ad annunciare che la sporcizia ha mutato forma ed è degradata in odio. Per essere chiaro e non prestarsi ad equivoci interpretativi, il Papa ricorre a un'immagine usata da San Paolo nella lettera ai Galati: quella del «mordersi e divorarsi» a vicenda come belve feroci. Benedetto afferma che sono state proprio le presenti circostanze a fargli comprendere meglio questo passaggio del testo paolino, da lui finora ritenuto una delle «esagerazioni retoriche» dell'apostolo delle genti. Scrive il Papa: «Purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata».

E il risultato di questo mordersi e divorarsi - ammonisce San Paolo e ricorda Benedetto XVI - è la distruzione. Ergo: l'odio delle membra contro il capo può portare alla consunzione del corpo. E l'odio di vescovi, preti e teologi contro il Papa può portare alla disgregazione della Chiesa. Alla fine è questo ciò che è in ballo in questi mesi e in questi giorni, e forse potremmo dire in questi anni di pontificato ratzingeriano, in ciò paragonabile al drammatico papato di Paolo VI, anch'egli fortemente contestato (e, guarda caso, accusato come Benedetto XVI di «conservatorismo») da ampia parte degli episcopati e dalla casta teologica dominante dopo il Concilio Vaticano II.

E allora torniamo per un attimo proprio a Papa Montini e a quelle parole del novembre 1972 spesso citate, ma che oggi, alla luce della lettera di Papa Ratzinger ai vescovi e alla denuncia in essa contenuta di un odio nei confronti del pontefice radicato e diffuso nella Chiesa stessa, assumono ancor di più un profilo di profetica verità: «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio... Nella Chiesa regna questo stato d'incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». Queste parole non furono pronunciate da qualche lefebvriano smanioso di gettare fango sul Vaticano II, ma da colui che del Concilio fu uno dei maggiori e più convinti sostenitori (anche qui, come l'allora teologo Ratzinger): per questo sono ancor più autorevoli. E la prova della consapevolezza interiore con cui furono dette è nel dolore, nella sofferenza, nel dramma che consumarono la persona di Papa Montini negli ultimi anni della sua permanenza sul soglio di Pietro, quando egli dovette assistere alla ribellione di vescovi e teologi agli atti papali, allo svuotamento dei seminari, all'indebolirsi della presenza cattolica nella società.

Il riferimento a Satana fatto da Paolo VI è ancora più significativo oggi, nel momento in cui Benedetto XVI subisce una diffusa e pesante contestazione da parte di molti episcopati ed esponenti dell'intellighenzia cattolica, avente ad oggetto ancora una volta, in sostanza, il Concilio Vaticano II, e vede dietro tale contestazione il seme e il movente dell'odio. E l'odio, nei Vangeli, è il sentimento proprio del Maligno. E' la caratteristica del Demonio, la cui opera nella storia punta a dividere il corpo di Cristo, e quindi a distruggerlo per frantumazione. Più nella Chiesa ci si «morde e divora», più il «fumo di Satana» ha campo libero per entrare nel tempio. Per questo la denuncia dell'odio fatta da Papa Ratzinger nella sua lettera ai vescovi, più che lo sfogo personale del pontefice romano, deve essere considerata come un richiamo del vicario di Cristo a non lasciare che le tenebre, la tempesta e il buio spengano la luce della Verità. Quella Verità affidata a colui al quale duemila anni fa venne detto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».

Gianteo Bordero

giovedì 12 marzo 2009

BENEDETTO XVI RISPONDE AI «GRANDI DIFENSORI DEL CONCILIO»

da Ragionpolitica.it del 12 marzo 2009

C'è un passaggio, nella lettera che Papa Ratzinger ha inviato ai vescovi di tutto il mondo riguardo al caso Williamson e alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, che lascia trasparire tutta la sofferenza interiore e l'amarezza che il pontefice deve aver provato in queste ultime settimane a causa delle critiche e degli attacchi subìti per le decisioni da lui assunte nei confronti degli scismatici di Ecône. Scrive a un certo punto Benedetto XVI: «Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco». Il Papa non fa - com'è ovvio - nomi né cognomi, ma è facile pensare che egli si riferisca a quegli episcopati europei che non hanno mancato di esprimere in forma ufficiale e pubblica la loro presa di distanze dalla scelta pontificia. Ma non solo, visto che larga parte della stessa pubblicistica cattolica non si è mostrata di certo entusiasta nel vedere «condonata» la scomunica i seguaci di monsignor Lefebvre. In più, si tengano a mente le dichiarazioni, le interviste, le prese di posizione di numerosi teologi che si sono affrettati a spiegare urbi et orbi che l'atto papale ha rappresentato un netto passo indietro nella storia della Chiesa.

Un quadro davvero desolante, che però non deve stupire più di tanto. Esiste infatti a tutt'oggi, nella Chiesa cattolica, una sorta di «pensiero dominante» che si nutre di luoghi comuni ormai in voga da decenni, che venera anch'esso i suoi totem ideologici, che considera alla stregua di un reato di lesa maestà la messa in discussione dei suoi slogan «ecclesialmente corretti». Quasi inutile ribadire che tra questi luoghi comuni, tra questi totem, tra questi slogan, c'è quello della mitizzazione del Vaticano II, pensato come rifondazione della Chiesa, come rottura con una storia ritenuta infame, come presa di distanze da una tradizione da ripudiare. E' questo «pensiero dominante» che, sin dai primi mesi di pontificato ratzingeriano, diciamo sin dal discorso di Benedetto XVI alla Curia romana del dicembre 2005, riguardante la corretta ermeneutica del Concilio, ha soffiato sul fuoco della polemica, ha diffuso nell'opinione pubblica e nel mondo cattolico l'immagine falsata e artefatta di un Papa con lo sguardo tutto rivolto al passato, intento a restaurare ciò che il Vaticano II aveva superato, mosso unicamente da una ferrea e ostinata volontà conservatrice.

Una «leggenda nera» anti-ratzingeriana, questa, che ha conosciuto una seconda fase di sostanziosa crescita nel luglio del 2007, al momento dell'emanazione del motu proprio Summorum pontificum, con il quale Benedetto XVI ha «liberalizzato» la celebrazione della Messa secondo il rito di San Pio V, definito forma straordinaria dell'unica liturgia cattolica (la cui forma ordinaria è quella fissata dal Messale riformato da Paolo VI nel 1970). A quella decisione seguirono dapprima vibrate proteste, e poi un vero e proprio ammutinamento da parte di sacerdoti ma soprattutto vescovi, fermamente intenzionati a non concedere (contravvenendo così allo stesso dettato del motu proprio) la Messa col rito antico ai fedeli che legittimamente ne facevano richiesta.

E così arriviamo allo tsunami di polemiche di questi ultimi 40 giorni e alla lettera papale resa nota quest'oggi dalla Santa Sede. Una missiva che, se da un lato contiene il riconoscimento, da parte del Papa, di alcuni errori che potremmo definire «di gestione» dell'intera vicenda legata alla revoca della scomunica, dall'altro lato non fa che confermare ed esplicitare le ragioni e le motivazioni che hanno spinto Benedetto XVI a compiere un passo così importante: in primis la ricerca della «piena unità tra i credenti», compito specifico assegnato al successore di Pietro, come Ratzinger sottolinea nella seconda parte della missiva.

Ma il nocciolo della lettera è in fondo, ancora una volta, rappresentato dalla questione dell'interpretazione del Vaticano II: Ratzinger fa direttamente riferimento a coloro che a parole si dicono «grandi difensori del Concilio» senza però comprendere che esso è in continuità con «l'intera storia dottrinale della Chiesa»: «Chi vuole essere obbediente al Concilio - scrive il Papa - deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive». E' chiaro che, seguendo una lettura distorta del Vaticano II, i lefebvriani divengono i supremi rappresentanti di tutti coloro che si sono opposti alla rottura col passato e alla discontinuità con la storia della Chiesa operate dal Concilio. Ed è per questo che essi non dovrebbero in alcun modo essere riaccolti, appunto perché emblema di una Chiesa che non esiste più, spazzata via dal vento della rivoluzione conciliare. Osservare come questa mentalità abbia messo radici profonde e quanto essa ancora incida all'interno della comunità cattolica ha evidentemente amareggiato il Papa, che si è visto contestato proprio da coloro che invece dovrebbero essere i suoi collaboratori fedeli e obbedienti.

Perciò, dopo aver puntualizzato che la revoca della scomunica si applica ai singoli e non all'istituzione, e che quindi la remissione operata a favore dei quattro vescovi lefebvriani non significa per ciò stesso la riappacificazione definitiva con la comunità San Pio X; dopo aver sottolineato che «da rappresentanti di quella comunità abbiamo sentito molte cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi»; ebbene, dopo tutto ciò Benedetto scrive: «Non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo». Più chiaro di così...

Concludendo: non sappiamo ancora come evolverà e quale esito finale avrà la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Quello che però già oggi si può sottolineare - e la missiva ne è indirettamente la conferma - è l'evidenza di un ampio dissenso nei confronti del pontefice all'interno della Chiesa stessa, l'emergere di un contrasto (tra Papa da un lato e parte di vescovi e teologi dall'altro) che tocca una ferita ancora aperta e sanguinante nel corpo ecclesiale (appunto l'ermeneutica del Concilio), di cui la questione lefebvriana è solo una manifestazione. Da questo punto di vista, Benedetto XVI ha davvero scelto, con coraggio, di dare un significato audace e profondo al suo pontificato, ben al di là di quella «continuità con Giovanni Paolo II» che a molti sembrava l'unica ragion d'essere dell'elezione di Ratzinger al soglio di Pietro.


Gianteo Bordero

martedì 10 marzo 2009

MANCUSO FA A PEZZI LA RAGIONE... E LA FEDE

da Ragionpolitica.it del 10 marzo 2009

Il teologo Vito Mancuso, oggi firma de La Repubblica dopo esser transitato dal Foglio di Giuliano Ferrara, scrive un articolo su Chiesa e bioetica che fa letteralmente a pezzi duemila anni di tradizione non soltanto magisteriale, ma sic et simpliciter filosofica per quanto attiene ai rapporti tra fede e ragione. A Mancuso non va giù il fatto che, nei tempi attuali, la Chiesa prenda posizione sulle materie riguardanti la vita e la morte partendo proprio dal dato della ragione, quindi in maniera laica, aperta perciò all'ascolto della realtà in tutti i suoi aspetti, anche quelli rilevati dalla scienza e dalle nuove tecnologie, senza per questo rinunciare a interpretare il tutto alla luce dei fondamenti della fede. Mancuso lascia intendere che questo modo di procedere, velato dal richiamo alla razionalità comune a tutti gli uomini, sia in realtà un'astuta forma di dogmatismo rigido e inflessibile, al quale il credente nulla può opporre se non la sua personale dissidenza nei confronti delle gerarchie. Che la ragione possa giungere (faticosamente e a tentoni, com'è nella sua stessa natura) ad afferrare delle evidenze e delle certezze anche in campo bioetico, a Mancuso sembra una presunzione di assolutezza che contrasta con l'autentica libertà.

Scrive il teologo: «Il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell'inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico». Come dire: se proprio la Chiesa vuole occuparsi delle materie bioetiche facendo appello alla razionalità, allora riconosca apertis verbis che la sua è una posizione «relativa», che non ha pretese né di verità né di certezza. Perché - prosegue il ragionamento di Mancuso - potrebbe accadere che fra cento anni le scoperte della scienza facciano apparire le posizioni attuali del magistero come pezzi d'antiquariato, come segno di un'incapacità a leggere i mutamenti dei tempi e le acquisizioni delle tecniche. In sostanza: potrebbe essere lo stesso progresso a dimostrare senza possibilità di smentita la relatività (e quindi la parzialità) delle odierne convinzioni della Chiesa sulla vita e sulla morte.

Da quanto afferma Mancuso emerge una disarmante riduzione del concetto stesso di ragione, che, da lume naturale con il quale incamminarsi nella grande avventura della scoperta della verità e del significato del reale, diviene, molto più limitatamente, un semplice strumento per «esercitare il dubbio». Come se ciò fosse maggiormente corrispondente a tutto il carico di attese, domande, desideri che l'uomo porta con sé. Come se il viaggio del singolo nel mare del tempo e dello spazio non avesse approdo, ma fosse destinato a vorticare su se stesso a causa dell'incerto vento del dubbio. Si badi bene: qui non si tratta di negare il dubbio come possibilità della ragione, ma di rivendicare ad essa, come prima istanza, la capacità di attingere al vero, di giungere ad un assoluto attraverso i mille e poi mille relativi incontrati nel cammino di ricerca. Altrimenti, la ricerca si avvita su se stessa, in un circolo senza fine e senza meta.

Ridotta la ragione, il discorso di Mancuso non può non ridurre anche la fede. Il genuino pensiero cristiano si è sempre mosso nel solco dell'et-et nell'affrontare il rapporto tra fede e ragione, delimitandone i campi d'azione e le dinamiche senza per questo porle in contrapposizione e in alternativa (si veda, a tal proposito, la seconda parte della lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona), ma valorizzandone i reciproci contributi e le reciproche interazioni. E' chiaro che un depotenziamento della ragione come capacità di verità e di certezza non può non portare con sé anche un impoverimento della concezione della fede e dei suoi fondamenti. Così Mancuso, dopo aver evocato e invocato il dubbio e la relatività delle argomentazioni di ragione in materia di vita e di morte ed esser giunto alla conclusione che «fra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa... finiranno per essere rivisti come lo sono stati i principi della morale sociale», quando passa a parlare di fede dimentica una delle verità basilari del Credo cattolico recitato ogni domenica in tutte le chiese del mondo. Il teologo esalta la libertà nella fede e della fede e da ciò fa discendere un'assoluta libertà di autodeterminazione del singolo anche nel campo della bioetica. Come se Dio non ci fosse. Come se non fosse il creatore «del cielo e della terra» e quindi anche dell'uomo. E come se l'uomo da Dio non dipendesse.

Il risultato è che, nella lettura di Mancuso, le verità della fede finiscono per cozzare con la libertà dell'uomo di autodeterminarsi. Venendo a mancare il termine medio (cioè la ragione umana capace del vero), fede e libertà vanno ognuna per la propria strada, come due rette parallele destinate a non incontrarsi mai, se non in un occasionale sentimentalismo volontaristico esposto a tutti i venti del tempo e delle mode come «povera foglia frale».


Gianteo Bordero

SESTRI LEVANTE. 10 MARZO 2009. COMUNICATO STAMPA DEL GRUPPO CONSILIARE "PDL-LEGA-UDC"


SESTRI LEVANTE. 10 MARZO 2009. RICHIESTA DI CONVOCAZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE


sabato 7 marzo 2009

venerdì 6 marzo 2009

MOZIONE SULLA (IN)SICUREZZA A SESTRI LEVANTE

CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE
GRUPPO CONSILIARE
“IL POPOLO DELLA LIBERTA’ – LEGA NORD – UDC”



5 marzo 2009
All’attenzione del
Presidente del Consiglio Comunale


OGGETTO: MOZIONE

I SOTTOSCRITTI CONSIGLIERI COMUNALI

Gianteo Bordero, Giuseppe Ianni, Marco Conti, Giancarlo Stagnaro

CHIEDONO

Che venga inserita all’Ordine del Giorno della prossima seduta di Consiglio Comunale la seguente mozione:

“Impegno ad adottare misure urgenti volte a garantire la sicurezza dei cittadini e un maggiore controllo del territorio da parte delle Forze a ciò preposte”

E PROPONGONO

Di sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno:

IL CONSIGLIO COMUNALE DI SESTRI LEVANTE

· Venuto a conoscenza del grave episodio di criminalità avvenuto a Riva Trigoso in data 2 marzo 2009, ai danni dell’esercizio commerciale “Alimentari Delucchi” (“Margherita Conad”) sito in Via Caboto, fatto oggetto di una violenta rapina che ha portato al ferimento della madre della titolare;

· Richiamato quanto scritto dai titolari dell’esercizio in una lettera inviata al sindaco Andrea Lavarello e resa nota dalla stampa locale in data 5 marzo 2009: “La violenta rapina di lunedì segue le segnalazioni ripetutamente rivolte alla polizia municipale e al Comune di Sestri Levante, sempre rimaste disattese, con le quali abbiamo comunicato i numerosi episodi di vandalismo e teppismo subiti, la continua presenza di persone poco raccomandabili e lo stato di abbandono della zona dov’è ubicata la nostra attività commerciale”;

· Tenuto conto del preoccupante ripetersi, negli ultimi mesi, di episodi di criminalità, in special modo furti e rapine a mano armata, all’interno del territorio comunale.


IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA

· Ad adottare, nel più breve tempo possibile, efficaci provvedimenti volti a garantire la sicurezza dei cittadini e dei pubblici esercizi, senza escludere il ricorso agli strumenti offerti a tal fine dalla moderna tecnologia;

· A garantire, di concerto con la Polizia municipale e le Forze dell’Ordine, un più capillare controllo e pattugliamento dell’intero territorio comunale;

· A destinare alla gestione della sicurezza urbana una più significativa e consistente quota di risorse disponibili nel Bilancio comunale.

martedì 3 marzo 2009

IL VOTO IN CONDOTTA RIDÀ DIGNITÀ ALLA SCUOLA E AUTORITÀ AGLI INSEGNANTI

da Ragionpolitica.it del 3 marzo 2009

Per riformare ci vuole coraggio. Per opporsi alle riforme in nome della conservazione e del mantenimento dello status quo basta poco: è sufficiente alzare la voce, creare falsi allarmi, diffondere paura, magari scendere in piazza. Il quarto governo Berlusconi ha scelto la prima strada. E lo ha fatto già a partire dalla campagna in vista del voto del 13 e 14 aprile dello scorso anno: lo slogan «Rialzati, Italia» e il programma presentato agli elettori portavano con sé l'impegno ad affrontare in modo diretto le cause che impedivano a settori vitali del sistema-paese di procedere a passo spedito verso l'efficienza, la modernizzazione, l'innalzamento del livello qualitativo dei servizi forniti ai cittadini.

Uno di questi settori è stato quello della scuola. Il ministro Mariastella Gelmini ha messo sul piatto importanti e sostanziali provvedimenti, finalizzati a restituire credibilità, autorevolezza e forza al sistema formativo italiano: l'introduzione del maestro prevalente, il ritorno del voto numerico, il ripristino dell'importanza del voto in condotta, solo per citare i più importanti. L'opera della Gelmini, tanto contestata in autunno dagli ultras della conservazione e dall'Onda studentesca che sembrava intenzionata a travolgere con la sua forza d'urto ogni tentativo riformatore, è stata però apprezzata dalla maggioranza degli italiani, tanto che Mariastella è diventata uno dei ministri più popolari dell'intero governo Berlusconi.

Ma a dimostrare la bontà delle scelte operate dalla responsabile dell'Istruzione ci sono anche i dati riguardanti il voto in condotta, diffusi in questi giorni. Essi confermano che la decisione di mettere le mani in uno dei punti di degrado della scuola, quello della disciplina, per imprimervi un netto cambio di rotta, sta portando i primi, significativi risultati. I numeri forniti dal ministero dicono che sono 34.311 i 5 in condotta che sono stati assegnati dagli insegnanti agli studenti delle scuole secondarie superiori nel primo quadrimestre dell'anno scolastico in corso. Tra questi 34.311 casi, sono 8.151 quelli per i quali tale insufficienza rappresenta l'unica nel complesso della pagella. La maggior parte degli indisciplinati si concentra negli istituti professionali, seguiti dagli istituti tecnici e infine dai licei. Per quanto riguarda la collocazione geografica, quasi la metà dei 5 in condotta si trova al sud (15.683 studenti), che distanzia ampiamente sia il nord che il centro della Penisola. A detenere la maglia nera sono i ragazzi delle province campane, seguiti dai colleghi di Nuoro e Oristano, Isernia, Brindisi e Taranto.

Commentando ieri questi dati il ministro, che ha tra l'altro annunciato che a breve emanerà un regolamento che disciplinerà in maniera specifica la valutazione del comportamento, ha ribadito che il provvedimento sul 5 in condotta «non vuole essere un modo per punire o per sanzionare, ma per educare i ragazzi... Affiancare alla valutazione del profitto conseguito dai ragazzi nelle singole materie anche la valutazione del comportamento - ha spiegato - è un modo per restituire alle scuole la funzione educativa». E' seguendo questa logica che il regolamento prossimo venturo mirerà da un lato a «premiare con voti alti, che possono anche aumentare la media, i ragazzi che tengono comportamenti corretti», dall'altro lato a «non abbandonare a loro stessi i ragazzi più indisciplinati».

I numeri sulla condotta mostrano, infine, che gli insegnanti hanno compreso l'importanza di uno strumento prezioso, che consente loro di recuperare autorità (e quindi di svolgere meglio il loro delicato lavoro) nelle aule scolastiche e di non subire ogni genere di sopruso da parti dei bulli e degli indisciplinati senza poter opporre alcuna efficace contromisura. Come ha scritto la professoressa Mastrocola su La Stampa di ieri, dopo aver raccontato un episodio nel quale l'indisciplina di una classe la fece sentire, come insegnante, «perduta, completamente inerme e molto ridicola»: «Non c'erano rimedi, leggi da applicare, autorità da invocare. Oggi invece abbiamo la possibilità di dare 5 in condotta. Oggi abbiamo uno strumento». E ha concluso: «Io non so se essere felice di poter usare il 5 in condotta... Ma, se è necessario, che la lunga via di una minima rieducazione alla vita civile abbia dunque inizio».

Gianteo Bordero