da Ragionpolitica.it del 10 marzo 2009
Il teologo Vito Mancuso, oggi firma de La Repubblica dopo esser transitato dal Foglio di Giuliano Ferrara, scrive un articolo su Chiesa e bioetica che fa letteralmente a pezzi duemila anni di tradizione non soltanto magisteriale, ma sic et simpliciter filosofica per quanto attiene ai rapporti tra fede e ragione. A Mancuso non va giù il fatto che, nei tempi attuali, la Chiesa prenda posizione sulle materie riguardanti la vita e la morte partendo proprio dal dato della ragione, quindi in maniera laica, aperta perciò all'ascolto della realtà in tutti i suoi aspetti, anche quelli rilevati dalla scienza e dalle nuove tecnologie, senza per questo rinunciare a interpretare il tutto alla luce dei fondamenti della fede. Mancuso lascia intendere che questo modo di procedere, velato dal richiamo alla razionalità comune a tutti gli uomini, sia in realtà un'astuta forma di dogmatismo rigido e inflessibile, al quale il credente nulla può opporre se non la sua personale dissidenza nei confronti delle gerarchie. Che la ragione possa giungere (faticosamente e a tentoni, com'è nella sua stessa natura) ad afferrare delle evidenze e delle certezze anche in campo bioetico, a Mancuso sembra una presunzione di assolutezza che contrasta con l'autentica libertà.
Scrive il teologo: «Il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell'inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico». Come dire: se proprio la Chiesa vuole occuparsi delle materie bioetiche facendo appello alla razionalità, allora riconosca apertis verbis che la sua è una posizione «relativa», che non ha pretese né di verità né di certezza. Perché - prosegue il ragionamento di Mancuso - potrebbe accadere che fra cento anni le scoperte della scienza facciano apparire le posizioni attuali del magistero come pezzi d'antiquariato, come segno di un'incapacità a leggere i mutamenti dei tempi e le acquisizioni delle tecniche. In sostanza: potrebbe essere lo stesso progresso a dimostrare senza possibilità di smentita la relatività (e quindi la parzialità) delle odierne convinzioni della Chiesa sulla vita e sulla morte.
Da quanto afferma Mancuso emerge una disarmante riduzione del concetto stesso di ragione, che, da lume naturale con il quale incamminarsi nella grande avventura della scoperta della verità e del significato del reale, diviene, molto più limitatamente, un semplice strumento per «esercitare il dubbio». Come se ciò fosse maggiormente corrispondente a tutto il carico di attese, domande, desideri che l'uomo porta con sé. Come se il viaggio del singolo nel mare del tempo e dello spazio non avesse approdo, ma fosse destinato a vorticare su se stesso a causa dell'incerto vento del dubbio. Si badi bene: qui non si tratta di negare il dubbio come possibilità della ragione, ma di rivendicare ad essa, come prima istanza, la capacità di attingere al vero, di giungere ad un assoluto attraverso i mille e poi mille relativi incontrati nel cammino di ricerca. Altrimenti, la ricerca si avvita su se stessa, in un circolo senza fine e senza meta.
Ridotta la ragione, il discorso di Mancuso non può non ridurre anche la fede. Il genuino pensiero cristiano si è sempre mosso nel solco dell'et-et nell'affrontare il rapporto tra fede e ragione, delimitandone i campi d'azione e le dinamiche senza per questo porle in contrapposizione e in alternativa (si veda, a tal proposito, la seconda parte della lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona), ma valorizzandone i reciproci contributi e le reciproche interazioni. E' chiaro che un depotenziamento della ragione come capacità di verità e di certezza non può non portare con sé anche un impoverimento della concezione della fede e dei suoi fondamenti. Così Mancuso, dopo aver evocato e invocato il dubbio e la relatività delle argomentazioni di ragione in materia di vita e di morte ed esser giunto alla conclusione che «fra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa... finiranno per essere rivisti come lo sono stati i principi della morale sociale», quando passa a parlare di fede dimentica una delle verità basilari del Credo cattolico recitato ogni domenica in tutte le chiese del mondo. Il teologo esalta la libertà nella fede e della fede e da ciò fa discendere un'assoluta libertà di autodeterminazione del singolo anche nel campo della bioetica. Come se Dio non ci fosse. Come se non fosse il creatore «del cielo e della terra» e quindi anche dell'uomo. E come se l'uomo da Dio non dipendesse.
Il risultato è che, nella lettura di Mancuso, le verità della fede finiscono per cozzare con la libertà dell'uomo di autodeterminarsi. Venendo a mancare il termine medio (cioè la ragione umana capace del vero), fede e libertà vanno ognuna per la propria strada, come due rette parallele destinate a non incontrarsi mai, se non in un occasionale sentimentalismo volontaristico esposto a tutti i venti del tempo e delle mode come «povera foglia frale».
Gianteo Bordero
martedì 10 marzo 2009
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