venerdì 3 ottobre 2008

LO SMEMORATO

da Ragionpolitica.it del 2 ottobre 2008

La deriva antiberlusconiana di Walter Veltroni non conosce tregua. Non passa giorno, ormai, che il segretario del Partito Democratico non si affacci sul davanzale mediatico per cannoneggiare contro il presidente del Consiglio, accusato dall'ex sindaco di Roma delle peggiori nefandezze possibili. La manifestazione nazionale del Pd del 25 ottobre si avvicina, e in Veltroni la tensione sale, insieme alla paura di vedere la piazza semideserta e, conseguentemente, di osservare ciò che resta della sua leadership andare definitivamente in fumo. Gli avvoltoi e le iene che si aggirano attorno alla moribonda segreteria veltroniana, del resto, non aspettano altro. Così Walter, nervosamente, cerca di parare i colpi che provengono da dentro e da fuori il partito e di respingere le critiche riguardanti la sua capacità di fare opposizione al governo di centrodestra. Come? Mostrandosi più dipietrista di Di Pietro (che, dal canto suo, sfotte il segretario del Pd definendolo «l'oppositore del giorno dopo») e gettando a mare tutte le buone intenzioni di «dialogo» con cui si era presentato sulla scena al Lingotto di Torino appena quindici mesi fa.

Così facendo, però, più che apparire come il leader autorevole dell'opposizione, Veltroni rischia di sembrare soltanto il capo degli smemorati. Il cambio di rotta intrapreso dall'ex sindaco di Roma in questi ultimi mesi nei confronti di Berlusconi e del centrodestra, infatti, è di tale portata da poter essere spiegato soltanto con un grande esercizio di rimozione del passato. Si potrebbero riempire pagine e pagine con discorsi, dichiarazioni, prese di posizione del Veltroni «nuova stagione», quello dell'autunno 2007-inverno 2008, diametralmente opposte alle parole del Veltroni dell'estate-autunno 2008, il Veltroni di queste ultime settimane e di questi ultimi giorni, quello della guerra totale al Cavaliere, tornato ad essere il nemico da abbattere dopo essere stato, per breve tempo, l'avversario con cui civilmente e lealmente, «serenamente e pacatamente», dialogare e confrontarsi sulle riforme istituzionali e costituzionali.

E proprio in tema di riforme la smemoratezza del segretario del Partito Democratico raggiunge oggi il suo culmine, dopo le dichiarazioni di Berlusconi da Napoli riguardo alla necessità, stanti gli scarsi poteri di cui gode il presidente del Consiglio nell'ordinamento italiano, di ricorrere con frequenza ai decreti legge per porre in essere «interventi decisivi e immediati». Sùbito dal Pd è piovuta una gragnola di critiche nei confronti del premier, accusato ancora una volta, dopo l'intervista rilasciata da Veltroni al Corriere della Sera di domenica, di tendenze autoritarie e «putiniane» e di disprezzo nei confronti del parlamento. Peccato che il tema dei pochi poteri che la Costituzione assegna al presidente del Consiglio sia stato riconosciuto come problema non soltanto dall'aspirante zar Berlusconi, ma anche dallo stesso Veltroni. Il quale, in un articolo apparso sul Corriere il 24 luglio 2007, intitolato «Dieci riforme per sbloccare l'Italia», dopo aver parlato della necessità di addivenire ad una semplificazione dell'organizzazione del parlamento «superando il bicameralismo perfetto», scriveva: «Occorre rafforzare decisamente la figura del presidente del Consiglio, sul modello tipicamente europeo del governo del primo ministro, in modo da garantire unitarietà e coerenza all'azione di governo e coesione alla maggioranza parlamentare». A dichiarare queste cose è stato lo stesso Walter Veltroni che oggi accusa Silvio Berlusconi, il quale ha mostrato in più occasioni di condividerle, di voler mettere in piedi un regime e di voler fare a meno dell'opera delle Camere.

Come dicevamo, siamo veramente all'acme della smemoratezza e della rimozione del passato. E a poco vale, da parte del Pd, citare a supporto delle sue preoccupazioni «democratiche» quanto giustamente affermato stamane dal presidente della Camera Fini, ossia che, se vi dovesse essere un abuso del ricorso ai decreti legge governativi, Montecitorio «farà sentire la propria voce». Quelle di Fini sono parole di buon senso da parte di una istituzione della Repubblica, mentre quelle di Veltroni e dei dirigenti del Partito Democratico appaiono invece come le pretestuose parole della disperazione, le parole di chi si appiglia a qualsiasi fatto o dichiarazione per recuperare una credibilità che, di giorno in giorno, sembra sempre più perduta e compromessa. Se il segretario del Pd pensa che la ricetta per riconquistare consensi sia la rimozione del passato miscelata con il ritorno all'antiberlusconiano viscerale inseguendo Di Pietro, è prevedibile che le iene e gli avvoltoi di cui parlavamo in precedenza non avranno ancora molto da attendere per soddisfare i loro appetiti.

Gianteo Bordero

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