venerdì 1 maggio 2009

FATTI E PREGHIERE

da Ragionpolitica.it del 1° maggio 2009

Su Facebook, nei giorni scorsi, sono comparsi tre gruppi di discussione intitolati «Meno preghiere, più fatti». In essi è contenuto un invito rivolto al Papa e alla Chiesa affinché, di fronte al dramma abruzzese, aiutino «concretamente» - come usa dire - le popolazioni colpite dal sisma invece che elevare orazioni a Dio. Evidentemente, gli animatori del gruppo sono nella più totale disinformazione e si divertono a creare pagine web quanto meno inopportune di fronte ai tragici fatti accaduti all'Aquila e dintorni. Non sanno, ad esempio, che sin dal 6 aprile la Chiesa si è attivata in molti modi e forme per fornire in maniera e immediata e - ripetiamolo - «concretamente» aiuti di ogni genere ai terremotati. Non si sono mobilitate soltanto le associazioni di volontariato, i gruppi e le organizzazioni di assistenza presenti nel variegato «mondo cattolico», ma gli stessi vertici ecclesiali. La Conferenza Episcopale italiana, tanto per fare un esempio, attraverso la sua presidenza ha messo a disposizione un fondo di 3 milioni di euro a cui se ne sono aggiunti in seguito altri 2; ha indetto una colletta nazionale il 19 aprile in tutte le parrocchie della Penisola; ha previsto che altri danari possano giungere dall'otto per mille. Altro esempio: il Papa ha inviato l'11 aprile una somma di denaro che si dice essere stata cospicua. Se a ciò si aggiunge l'impegno della Caritas in termini sia economici che di presenza sul terreno, il quadro che ne esce dimostra l'esatto contrario di quanto sostenuto dai malpensanti di turno.

I quali sbagliano anche su un altro punto e dimostrano così che quello che a loro sta a cuore non sono gli aiuti, i soccorsi e i «fatti concreti», né tanto meno gli uomini e le donne abruzzesi in carne ed ossa, bensì le solite stupide polemiche contro la Chiesa opulenta, contro la gerarchia che vive nell'oro e abbandona nella miseria i poveri, i deboli e i disagiati. Pur di dire male del Papa e dei vescovi, insomma, finiscono col non comprendere più nulla di quanto è accaduto e sta accadendo all'Aquila e nelle sue vicinanze. Finiscono, cioè, col non vedere che, oltre al sostegno materiale, chi è sopravvissuto al sisma ha un terribile bisogno anche di un cibo che, pur non sfamando la bocca, può però ristorare il cuore. Un cibo il cui nome è risuonato sulle labbra di tanti durante la visita di Benedetto XVI a Onna e all'Aquila: «Speranza». Lo hanno detti in molti, intervistati da tv e radio dopo il ritorno a Roma del pontefice: «Il Papa ci ha portato la speranza». E lo hanno detto con un filo di sorriso commosso negli occhi, perché oltre alle tende, al letto, all'acqua, c'è bisogno di qualcosa che ne faccia apprezzare il valore. Qualcosa che dia la forza per guardare a se stessi, al presente e al futuro non come ad un cumulo di macerie. Qualcosa che, penetrando nelle profondità del dramma e del dolore, faccia sgorgare dall'anima, dall'uomo interiore, la forza per riprendere il cammino e non arrendersi di fronte all'apparente vittoria della distruzione e della morte.

«Venendo qui - ha detto Benedetto XVI parlando nella tendopoli di Onna - posso immaginare tutta la tristezza e la sofferenza che avete sopportato queste settimane... Si potrebbe dire, cari amici, che vi trovate, in un certo modo, nello stato d'animo dei due discepoli di Emmaus. Dopo l'evento tragico della croce, rientravano a casa delusi e amareggiati, per la "fine" di Gesù. Sembrava che non ci fosse più speranza, che Dio fosse nascosto e non fosse più presente nel mondo. Ma, lungo la strada, Egli si accostò e si mise a conversare con loro. Anche se non lo riconobbero con gli occhi, qualcosa si risvegliò nei loro cuori: le parole di quello "Sconosciuto" riaccesero in loro quell'ardore e quella fiducia che l'esperienza del Calvario aveva spento». E ha proseguito: «Ecco, cari amici: la mia povera presenza tra voi vuole essere un segno tangibile del fatto che il Signore crocifisso vive; che è con noi, che è realmente risorto e non ci dimentica, e non vi abbandona; non lascerà inascoltate le vostre domande circa il futuro, non è sordo al grido preoccupato di tante famiglie che hanno perso tutto: case, risparmi, lavoro e a volte anche vite umane. Certo, la sua risposta concreta passa attraverso la nostra solidarietà, che non può limitarsi all'emergenza iniziale, ma deve diventare un progetto stabile e concreto nel tempo. Incoraggio tutti, istituzioni e imprese, affinché questa città e questa terra risorgano».

Così il Papa ha mirabilmente unito, nel suo breve, semplice ma toccante discorso di Onna, il significato dell'aiuto materiale e l'annuncio di una speranza che non muore neppure quando tutto sembrerebbe dimostrare il contrario: la solidarietà è essa stesso il primo segno di una positività di sguardo, della volontà di non fermarsi, dell'apertura fiduciosa al futuro. E la parola finale, «resurrezione», può in questo modo essere pronunciata da Benedetto sia in riferimento alle ferite materiali della terra che a quelle spirituali degli uomini, lasciando intendere che, quanto più i due aspetti procederanno uniti, tanto più dalla ricostruzione sorgerà uno spazio esemplare di umanità. La riedificazione di case «belle e solide» come segno della vittoria della speranza.


Gianteo Bordero

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