martedì 28 luglio 2009

L'IDENTITÀ DELLA NAZIONE

da Ragionpolitica.it del 28 luglio 2009

Festeggiare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia non vuol dire soltanto organizzare eventi, mostre, convegni, ma significa anche e soprattutto rimettere al centro dell'attenzione la questione dell'identità nazionale, dell'essere patria, dell'appartenere ad una storia comune. Ridurre tutto il dibattito al problema del calendario delle iniziative e ai relativi finanziamenti significa restringere l'orizzonte al «fare» dimenticandosi dell'«essere», perdendo di vista, in ultima analisi, l'oggetto stesso delle celebrazioni. E' questo il senso dell'intervento (Il Giornale, 26 luglio) con cui il ministro dei Beni Culturali e coordinatore del Popolo della Libertà, Sandro Bondi, ha voluto prendere posizione nel dibattito innescato dall'articolo di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera il 20 luglio e intitolato «Noi italiani senza memoria», di cui ha già trattato su queste pagine Raffaele Iannuzzi, il 23 luglio.

Ciò che è prevalso in questo dibattito, accanto ad alcune analisi superficiali e ad altre improntate alla riproposizione di luoghi comuni sulle presunte colpe del «leghismo» nel processo di disgregazione della patria, è stato un pessimismo diffuso circa lo stato di salute del sentimento nazionale degli italiani, dediti - a detta dei più - a coltivare il proprio «orticello» senza curarsi dell'insieme, lasciando campo libero alle tendenze particolaristiche ed egoistiche. Un'analisi che, se da un lato contiene elementi di verità, dall'altro lato rischia - come si suol dire - di gettare via il bambino con l'acqua sporca, non cogliendo gli elementi che ancora oggi consentono di pronunciare la parola «Italia» non come un mero flatus vocis, ma come espressione di una realtà comune e condivisa.

Perciò il ministro Bondi ha sottolineato, nel suo intervento, che se per un verso occorre essere consapevoli «dei nodi insoluti che restano nella storia italiana dalla sua fondazione, tanto che l'identità degli italiani si fortifica per contrasti», per l'altro verso è necessario riconoscere che «nonostante i lai degli intellettuali, l'Italia comunque esiste... Esiste perché trova radici in ambiti prepolitici, come la lingua e il patrimonio culturale e spirituale che abbiamo alle spalle». Insomma, «questa identità è complessa e spesso si fonda per antinomie, ma non per questo è meno solida e non a caso permette da 150 anni che il patto sociale tra italiani ricchi e poveri, del nord e del sud, giovani e vecchi, colti e incolti, resista». Al di là di ogni pessimismo e di ogni disfattismo di maniera sui difetti degli italiani e sulle contraddizioni della loro storia, tutti sono chiamati a prendere atto che persiste, seppur spesso in maniera inconsapevole e non tematizzata, un sentimento d'appartenenza nazionale, l'orgoglio di fare parte di una storia che viene da lontano, la certezza della bontà dei valori che questa storia ci ha trasmesso. Lo abbiamo visto di recente, secondo Bondi, nel dopo-terremoto in Abruzzo, quando sono venuti e galla «segni concreti di un'appartenenza comunitaria a un determinato luogo», con una «solidarietà che spiega e rinnova più di qualunque dichiarazione il sentimento di unità nazionale».

Del resto, se oggi questo sentimento risulta talvolta affievolito, se la parola «patria» viene ritenuta da molti ormai inservibile, è perché negli ultimi decenni la storiografia di sinistra e non solo, in modo del tutto funzionale al mantenimento dell'assetto politico che aveva preso forma in Italia dopo la guerra civile e dopo la Liberazione (con la reciproca legittimazione di democristiani e comunisti imposta da Yalta), ha diffuso la vulgata secondo la quale parlare di nazione e di patria significava perpetrare i fantasmi del Ventennio fascista, e quindi significava minare nelle fondamenta i presupposti dell'arco costituzionale su cui si reggeva il sistema politico post-bellico. Come ha osservato Gianni Baget Bozzo su queste pagine nel gennaio 2007, è stato per merito della «discesa in campo» di Silvio Berlusconi e grazie alla sua decisione di chiamare il nuovo partito «Forza Italia» se il sentimento dell'identità nazionale ha potuto riemergere a un livello politico dopo lunghi anni nei quali esso era stato confinato a un livello privato, da tenere ben nascosto tra le quattro mura di casa: «Quando, nell'82, l'Italia vinse i Mondiali di Spagna, il tricolore si levò spontaneo in molte case e apparve da molti balconi, segno che qualcosa era rimasto di un sentimento che non si riduceva all'ideologia e ai partiti, ma che aveva carne e sangue. Proprio questo fatto indica come il sentimento della propria identità nazionale fosse così delegittimato in Italia da nascondersi dietro il pallone» (detto per inciso, queste parole mostrano chiaramente l'errore di coloro che imputano al Popolo della Libertà una scarsa attenzione al tema dell'identità nazionale).

Per tutti questi motivi il primo compito che spetta agli storici, agli intellettuali, ai politologi in questo frangente, in vista del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, dovrebbe essere, secondo il ministro Bondi, quello di «individuare i simboli» dell'identità nazionale, al fine di giungere ad una «memoria condivisa». E' una sfida che va raccolta fino in fondo, mettendo da parte l'idea che bastino i convegni e una pioggia di fondi pubblici a onorare nel migliore dei modi la nostra amata patria.

Gianteo Bordero

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