da Ragionpolitica.it del 22 agosto 2009
E se tornasse Romano? Nessuno, nel centrosinistra, ha il coraggio di dirlo e di auspicarlo apertis verbis, però è chiaro che tra i partiti della fu Unione prodiana qualche nostalgia c'è. Spesso il nome del Professore viene evocato nei comizi e nelle arringhe pubbliche dei dirigenti per ricordare il bel tempo che fu, le gloriose vittorie sul Cavaliere nel 1996 e nel 2006, l'epoca dell'ulivismo rampante, della sinistra al governo del paese... E ogni volta che quel nome viene pronunciato, giù applausi a non finire, e magari qualche «furtiva lagrima» scende a bagnare il viso dei militanti delusi e traditi. E poco importa se la crisi in cui oggi si contorce la gauche nostrana è in gran parte ascrivibile proprio al malriuscito esperimento dell'Unione, con cui si tentò di tenere insieme, sotto lo stesso tetto, Rutelli e Diliberto, Mastella e Di Pietro, la Binetti e la Bonino, Dini e Bertinotti, e via accoppiando. Poco importa se fu proprio negli ultimi due anni di governo del Professore che il gradimento popolare nei confronti dei partiti del centrosinistra colò a picco. Poco importa se lo spettacolo fornito agli italiani da quella coalizione litigiosa e improbabile provocò nell'elettorato storico dei partiti che la componevano un senso di noia e repulsione, se non di nausea. Ciò che conta è che il nome di Prodi è rimasto l'unico sinonimo di «gloria» e «vittoria» nell'immaginario collettivo di una sinistra che oggi si ritrova letteralmente a pezzi, priva di rotta, incapace di definire una proposta politica degna di tal nome e di costruire una vera alternativa di governo.
Corrado Guzzanti, qualche tempo fa, si è esibito in una magistrale imitazione del Professore: un pensionato che, dopo la caduta del suo governo, sta alla stazione «fermo», «immobile», «dietro la sua bella linea gialla»: passano i giorni e le settimane, passano i mesi e le stagioni, e Prodi è lì che aspetta, che attende al varco i suoi alleati di un tempo, a cui rivolge questo pensiero: «Questi ragazzi fanno un gran polverone ma non son mica capaci di trovare il compromesso e di metter sempre d'accordo questo e quello. E così non lo batti mica Berlusconi, così vai a sbattere il grugno sempre più forte». E ancora: «Io sto fermo, aspetto, non mi muovo, perché verrà anche il suo bel momento che dovran tornare qui da me, proprio qui, alla stazione dove mi han mandato, a dire: "Romano, perdonaci, abbiam sbagliato, ti abbiamo fregato già due volte, ti chiediam perdono ma solo tu puoi battere il Berlusconi. Ti preghiamo, bisogna rifar l'Ulivo!"». Guzzanti dice, col talento e col linguaggio del comico, quello che tanti elettori e militanti del centrosinistra in cuor loro pensano ma che i capi e i dirigenti non hanno il coraggio e la forza di dire a voce alta: tolto Prodi, nella gauche italiana è iniziato un processo di disgregazione e frazionamento che sembra non conoscere fine; non è stato più possibile trovare un grande federatore tra le tante anime della sinistra, così che ogni partito si trova oggi nella condizione descritta dalla poesia di Quasimodo: «Ognuno sta solo sul cuor della terra...».
E lui, Romano, che fa? Si occupa di Africa per conto dell'ONU, dove guida il gruppo di lavoro sulle missioni di peacekeeping, e soprattutto fa l'editorialista per il Messaggero, dalle cui colonne dispensa riflessioni sui grandi problemi planetari (la crisi economica, la povertà, le politiche per lo sviluppo, la geopolitica, la Cina, eccetera...) ma non solo. Infatti proprio il giorno di Ferragosto, quando tutta l'Italia era al mare o in montagna, e comunque in tutt'altre faccende affaccendata, il Professore ha scritto un articolo sullo stato di salute della sinistra che un osservatore acuto come Piero Sansonetti, direttore de L'Altro, ha subito colto nella sua portata politica. Perché Prodi, dopo la disamina delle ragioni della crisi del riformismo - che egli addebita sostanzialmente alle illusioni generate dal modello Blair e dallo stesso ulivismo - ha scritto una sorta di programma per punti per la sinistra che verrà. Ha affermato: «Per vincere, i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progetti... Ribadendo con forza il ruolo dello Stato come regolatore di un mercato finalmente pulito. Approfondendo i modi e gli strumenti attraverso i quali i cittadini abbiano uguali prospettive di fronte alla vita. Rinnovando il funzionamento del sistema scolastico, della ricerca scientifica e del sistema sanitario. Ripensando al grande processo di superamento del nuovo nazionalismo politico ed economico con una forte adesione agli obiettivi di coesione europea e di solidarietà internazionale. Non avendo paura di denunciare i tanti aspetti riguardo ai quali il capitalismo deve profondamente riformarsi. Non accontentandosi di mostrare un giorno la faccia feroce e il giorno dopo un viso sorridente verso gli immigrati, ma preparando una organica politica di legalità ed accoglienza». La caratterizzazione di sinistra del testo prodiano è evidente, al punto che - chiosa Sansonetti - uno potrebbe pensare che l'autore dello scritto sia Fausto Bertinotti.
Ma, al di là di ciò, quello che conta è osservare che il Professore, pur distante dall'impegno diretto nell'agone partitico, sembra comunque ancora vicino, molto vicino alla politica. E lancia segnali di fumo a chi li può raccogliere. Del resto, la sinistra è ancora alla disperata ricerca di un leader capace di tenerla unita e compatta. E forse, se oggi qualche sondaggio si incaricasse di chiedere ai militanti gauchisti chi vorrebbero come guida, probabilmente Prodi avrebbe buone, se non ottime, possibilità di successo. E' chiaro che oggi questa è solo fantapolitica agostana, ma non è detto che un domani continui ad esserlo. Ora Romano è, come dice Guzzanti, «dietro la sua bella linea gialla», ma in politica mai dire mai...
Gianteo Bordero
sabato 22 agosto 2009
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