da Ragionpolitica.it del 3 novembre 2009
Vogliono rubarci l'anima, strapparci via dalle nostre radici, cancellare la nostra storia. Nel nome della tolleranza e di una falsa e deformata idea di libertà e democrazia vogliono spolpare la nostra identità. Vogliono oscurare la fede dei nostri padri e dei nostri nonni. Con le poche pagine di una sentenza vogliono condannare venti secoli del nostro cammino di civiltà. E pretendono di farlo, come si suol dire, «in punta di diritto», cioè avendo come fine la giustizia. Infatti, secondo i giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo che hanno condannato l'Italia per la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, «l'esposizione nelle classi delle scuole statali di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo» non può garantire «il pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una "società democratica"». Inoltre tale esposizione rappresenterebbe «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione della «libertà di religione degli alunni».
Povera Europa, ridotta ad affidare la tutela dei diritti umani ad un'élite di giuristi che rinnega l'essenza stessa dell'identità europea, nella convinzione che una presunta neutralità religiosa possa portare vantaggi in termini di convivenza col «diverso», di crescita della qualità civile, di progresso sociale del Vecchio Continente. Una tesi talmente astratta che ogni volta che essa è stata messa in pratica concretamente - si veda il caso francese - ha prodotto soltanto disastri, acuendo i conflitti e lasciando campo libero ad un laicismo nichilista e sbracato le cui nefaste conseguenze oggi si iniziano soltanto ad intravvedere. Arrivare ad imporre all'Italia il pagamento di un'ammenda di 5.000 euro come risarcimento per «danni morali» al figlio della donna che ha presentato ricorso presso la Corte di Strasburgo a causa della presenza del crocifisso a scuola, è veramente uno dei punti più bassi mai raggiunti da un'Europa che sembra incamminata a passo svelto verso il più drammatico tradimento di se stessa, della sua storia, delle sue fondamenta spirituali.
Ma, più di tutto, quello che lascia sgomenti di fronte alla sentenza della Corte europea è la totale incomprensione del significato più profondo della presenza del crocifisso nei luoghi pubblici: che non è innanzitutto quello di propagandare una religione; non è quello di indottrinare gli «infedeli»; non è quello di affermare il predominio di un credo sulle istituzioni laiche. Quel pezzo di legno con la figura del Cristo morente può essere invece guardato, rispettato e amato da tutti, credenti o non credenti, devoti o atei, perché in esso si concentra la misteriosa esperienza di un uomo che si è detto Dio non attraverso una manifestazione di potenza, e quindi di potere e di predominio, non con le spade e con gli eserciti, non con l'uccisione del nemico, bensì attraverso il dono di sé, l'umiliazione, la debolezza, attraversando fino in fondo la condizione umana, assumendo su di sé il vertice della sofferenza, offrendo se stesso come sacrificio «per la salvezza di molti».
I giudici europei non hanno compreso che qui non siamo di fronte a una religione, a una dottrina, a un insieme di precetti, ma a un fatto. Un fatto che sfida la coscienza e la libertà di ognuno senza nulla imporre. Un fatto che, a partire dalla Gerusalemme di 2000 anni fa, nel corso della storia - e in modo così particolare nella storia europea - è stato capace di generare una civiltà dove la persona è difesa, tutelata e valorizzata proprio in forza dell'evento sorgivo della croce. Perciò il crocifisso non è la «violazione dei diritti», ma è la fonte del rispetto che ad essi si deve, in ogni tempo ed in ogni spazio.
Gianteo Bordero
martedì 3 novembre 2009
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