da Ragionpolitica.it del 5 novembre 2009
E così il dado è tratto. Silvio Berlusconi dichiara, nel nuovo libro di Bruno Vespa, che il «titolare del potere esecutivo» deve essere «scelto direttamente dal popolo». Lo aveva già fatto intuire, il presidente del Consiglio, nel suo intervento alla Festa della Libertà di Benevento, l'11 ottobre, quando aveva affermato che «dobbiamo trovare il modo di riportare il nostro paese sulla strada di una vera e compiuta democrazia, dando ai cittadini la possibilità di scegliere coloro da cui vogliono essere governati». Ora il Cavaliere non lascia spazio a dubbi interpretativi. Precisa che «sarà il parlamento, nei prossimi mesi, a definire quale sia il modello più adatto alla realtà italiana», ma sottolinea in modo netto che è ormai giunto il tempo in cui «la Costituzione formale» deve essere «aggiornata e messa al passo con la realtà del paese». Si tratta, in sostanza, di formalizzare nel testo scritto della nostra Carta fondamentale le modifiche materiali che sono intervenute nella vita politica della Repubblica italiana a partire dal 1994. Cioè da quando, con l'ingresso in politica di Berlusconi e la nascita del bipolarismo, la battaglia elettorale si è trasformata da una competizione tra partiti in una competizione tra i leader dei due schieramenti.
Perché tale modifica della Costituzione formale non abbia ancora avuto luogo è presto detto: la sinistra ha continuato, in questi tre lustri, a descrivere l'elezione diretta del capo del governo come l'anticamera del ritorno del fascismo nel nostro paese. E lo ha fatto arroccandosi in modo anacronistico sul testo del 1946 - un testo nato alla fine del Ventennio e quindi finalizzato a creare un sistema istituzionale nel quale il potere esecutivo fosse posto permanentemente sotto scacco da un assemblearismo esasperato, fondato sulla preminenza dei partiti, di fatto divenuti i veri detentori della sovranità repubblicana. Che tutto ciò non fosse più sostenibile cinquant'anni dopo, in un mondo nel quale si imponevano scelte rapide ed efficaci da parte dei governi e in un'Italia che aveva preso atto dell'involuzione autoreferenziale del sistema dei partiti e chiedeva a gran voce un rinnovamento delle istituzioni, molti esponenti della gauche nostrana lo avevano ben compreso, ma in nome di un comodo antiberlusconismo hanno preferito continuare a ripetere la cantilena del «nuovo Duce», dell'«assalto alla Costituzione», del «ritorno del totalitarismo» e via strologando. Dopo la vittoria elettorale del centrodestra nel 2008 e la fine della cosiddetta «egemonia culturale della sinistra» - che ancora nel 2006 era riuscita a cancellare per via referendaria la riforma costituzionale varata dall'allora Casa delle Libertà nella XIV legislatura - i tempi sono ormai maturi per procedere all'aggiornamento della Carta indicato da Berlusconi.
«Aggiornamento» - si badi - e non «stravolgimento». Perché non si tratta di inventare ex novo strane modifiche del dettato costituzionale, bensì, come ha sottolineato il presidente del Consiglio, di adeguare la Costituzione formale alla Costituzione materiale. La quale prevede già, di fatto, l'elezione diretta del capo del governo, dal momento che la legge elettorale vigente (varata nel 2005 accogliendo una prassi ormai ben accetta dagli italiani) ammette la possibilità di indicare all'interno dei simboli di partito il nome del loro leader e, soprattutto, stabilisce che «i partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione» (e tanto basta per confutare quanto scritto da Giovanni Sartori sul Corriere della Sera del 30 ottobre, e cioè che «il voto per Berlusconi è in realtà soltanto il voto conseguito dal Pdl»).
Dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, che ha inspiegabilmente rigettato la definizione della figura del presidente del Consiglio come «primus super pares», proposta dagli avvocati difensori del Lodo sulla base della citata norma della legge elettorale, non rimane che percorrere la strada della modifica formale della Costituzione, mettendo finalmente per iscritto ciò che i cittadini hanno già fatto proprio da diversi anni.
Gianteo Bordero
giovedì 5 novembre 2009
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