da Ragionpolitica.it del 15 ottobre 2009
Il caso Binetti, scoppiato dopo il voto favorevole della deputata teodem alle pregiudiziali d'incostituzionalità della legge sull'omofobia, è l'ennesima dimostrazione dell'inesistenza di spazio politico reale, nel Pd, per i cattolici che restano fedeli alla dottrina della Chiesa e non intendono abdicare alla pienezza del credo in nome della «ragion di partito». Che la Binetti fosse poco o per nulla tollerata all'interno del centrosinistra è cosa nota da tempo, sin dal momento della sua scelta di candidarsi tra le file della Margherita alle elezioni politiche del 2006. Da allora l'ex presidente dell'associazione «Scienza e Vita» è stata presentata, nel suo stesso partito e nel suo stesso schieramento, come il simbolo del peggior integralismo cattolico, come l'icona del più rigido conservatorismo etico e bioetico, come la campionessa del rigorismo morale pre-sessantottino.
A dire il vero, che cosa c'azzeccasse la Binetti con una coalizione schierata pressoché all'unanimità su posizioni di segno opposto alle sue è una domanda che in molti si sono posti, e la risposta più plausibile che è stata data a tale quesito è quella secondo cui Paola la teodem abbia accolto un suggerimento del suo mentore, il cardinale Camillo Ruini, all'epoca presidente dei vescovi italiani, convinto della necessità di inserire qualche elemento di provata fedeltà dottrinale ed ecclesiale in una maggioranza che prometteva sfaceli su materie quali la famiglia, la tutela della vita sin dal suo concepimento, il testamento biologico, eccetera... In effetti, la strategia del «cardinal Sottile» si rivelò ancora una volta vincente, e l'inedita coppia Binetti-Mastella mise in più di una occasione i bastoni tra le ruote ai disegni di legge palesemente orientati a intaccare il tessuto di valori cristiani su cui si regge da secoli la nazione italiana.
Una di queste occasioni, in particolare, dovrebbe essere ricordata da tutti coloro che, nel centrosinistra, oggi si scandalizzano per le posizioni della Nostra in materia di omofobia, rovesciando su di lei ogni genere di improperio e minacciando la sua espulsione dal Partito (poco) Democratico. Correva il mese di dicembre del 2007, e al Senato era in discussione il decreto sicurezza varato in fretta e furia dal governo Prodi - e in seguito decaduto a causa delle troppe divisioni interne all'Unione - sull'onda emotiva suscitata in tutto il paese dall'omicidio della signora Giovanna Reggiani per mano di un rom. Ebbene, quando l'esecutivo decise di porre la questione di fiducia sul decreto, il voto della Binetti fu contrario. Non a motivo delle misure di contrasto alla criminalità urbana, bensì perché il governo aveva furbescamente inserito nel testo del provvedimento, al fine di renderlo «digeribile» dall'ala estrema della coalizione, in particolare da Rifondazione Comunista, un emendamento anti-omofobia che, oltre ad essere palesemente fuori contesto dal punto di vista formale, dal punto di vista sostanziale si presentava sia come una destrutturazione dell'articolo 3 della Costituzione («Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»), sia come un attacco culturale e antropologico al tradizionale principio della differenza sessuale, a favore invece di generiche «tendenze sessuali» delle persone. Sono esattamente gli stessi motivi che hanno spinto martedì l'onorevole teodem a votare insieme alla maggioranza la pregiudiziale di incostituzionalità sollevata dall'Udc.
La Binetti, dunque, è rimasta coerente con se stessa e con le sue più profonde convinzioni. Sarebbe stato preoccupante se avesse fatto il contrario di fronte ad una legge che, sostanzialmente, riproponeva la stessa visione sottesa all'emendamento del 2007. Ciò che invece deve far riflettere è il fatto che il Partito Democratico, che allora muoveva i suoi primi passi con Walter Veltroni alla segreteria, non è stato capace, in due anni, di trovare una sintesi politica in grado di accogliere anche le posizioni dei cattolici integralmente fedeli alla dottrina della Chiesa nelle materie etiche e bioetiche. Ad avere pieno diritto di cittadinanza nel Pd sembrano essere soltanto quelli che un tempo il Pci ribattezzò «cattolici democratici», ora ben rappresentati da Dario Franceschini: trent'anni fa erano i cattolici favorevoli all'aborto, oggi sono i cattolici favorevoli ai Dico e alla teoria dei 5 generi (maschile, femminile, omosessuale maschile, omosessuale femminile, transgender). Intervistata dal Giornale il 10 dicembre 2007, Paola Binetti dichiarava: «Io sono convinta che sarebbe un vantaggio per tutti se il Pd riuscisse ad essere il luogo dove i cattolici possono esprimersi liberamente, affermando i propri valori». E' chiaro, dopo i fatti di questi giorni, che le cose non sono andate nella direzione auspicata dall'ex presidente di «Scienza e Vita». Espulsa o no, è evidente che il Partito Democratico non può essere la casa politica della Binetti e dei cattolici che vogliono obbedire senza compromessi al ribasso all'insegnamento della Chiesa.
Gianteo Bordero
giovedì 15 ottobre 2009
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