sabato 3 ottobre 2009

LEGGE 194 E PILLOLA RU486

da Ragionpolitica.it del 3 ottobre 2009

Hanno preso il via il 1° ottobre, presso la Commissione Sanità del Senato, le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva RU486. Era stata la stessa Commissione, il 22 settembre, a dare il via libera all'indagine, in seguito alla decisione dell'AIFA (Agenzia italiana del farmaco) di acconsentire, nella seduta del 31 luglio, alla commercializzazione della pillola, anche se limitata alla sola somministrazione nelle strutture pubbliche. Le audizioni sono finalizzate a raccogliere informazioni circa «la procedura di aborto farmacologico mediante la RU486», per giungere ad una «valutazione della coerenza delle procedure proposte con la legislazione vigente», ossia con la legge 194 del 1978 recante norme «per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza». L'indagine avrà per oggetto anche l'«organizzazione dei percorsi clinici» e la «valutazione dei dati epidemiologici anche in relazione agli studi internazionali sul rapporto rischio/benefici».


Il primo ad essere ascoltato, giovedì, è stato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Nel suo intervento, egli ha rilavato come il punto centrale, il vero nodo politico di tutta la questione, sia proprio quello riguardante la compatibilità della RU486 con la legge 194. Tale legge, infatti, secondo il ministro, «esprime una precisa ratio», che è quella della «tutela sociale della maternità»: il quadro normativo che emerge dalla 194, nel suo complesso, è «contrario all'aborto». Questo, infatti, giuridicamente «è considerato un illecito penale - e non un diritto individuale - a cui vengono poste delle precise eccezioni». Come recita il primo articolo della legge, «lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio... L'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite». Insomma, lungi dal legittimare l'interruzione di gravidanza come una sorta di diritto naturale, la legge del 1978 mostra in modo chiaro che l'aborto è una eccezione che può avere luogo soltanto quando vi siano seri pericoli per la salute della donna. Tant'è vero che la 194 - ha spiegato il ministro - prevede che gli interventi abortivi abbiano luogo soltanto nelle strutture pubbliche, o comunque presso strutture autorizzate dallo Stato. Questa impostazione di fondo della legge ha fatto sì che, anno dopo anno, il numero degli aborti in Italia diminuisse in maniera non irrilevante. Si tratta di una tendenza - ha affermato Sacconi - «che vogliamo mantenere, e se possibile accentuare, o comunque non invertire».


Se il quadro relativo alla legge 194 è dunque chiaro, come chiare sono le condizioni e le regole all'interno delle quali può avere luogo l'interruzione volontaria di gravidanza, altrettanto non si può dire riguardo alla RU486. Il ministro ha infatti ricordato, nel corso dell'audizione, i casi di sperimentazione avviati in Italia, sulla base di protocolli regionali, a partire dal 2005. In particolare, il responsabile del Welfare ha citato quello iniziato il 1° settembre di quell'anno presso l'ospedale Sant'Anna di Torino. E ha ricordato che tre settimane dopo, il 21 settembre, l'allora ministro della Salute, Francesco Storace, sospese la sperimentazione su indicazione degli ispettori dell'AIFA, i quali avevano accertato delle irregolarità: «Gli ispettori avevano verificato - ha affermato Sacconi - che le donne tornavano a casa dopo l'assunzione della prima pillola per poi tornare in ospedale per la somministrazione del secondo farmaco. Con queste modalità non si poteva garantire, secondo il parere espresso dal Consiglio Superiore di Sanità, che le condizioni di sicurezza per le pazienti fossero equivalenti a quelle fornite con il metodo tradizionale». La sperimentazione, al Sant'Anna, riprese in seguito alla revisione del protocollo secondo le indicazioni del ministero e del Consiglio Superiore di Sanità, per poi essere definitivamente sospesa il 28 settembre 2006, dopo aver accertato che ben 269 donne su 329 non avevano rispettato il protocollo.


La necessità del ricovero in strutture ospedaliere per l'aborto farmacologico si basa su due precisi pareri forniti dal Consiglio Superiore di Sanità. Il primo è quello del 18 marzo 2004, secondo cui «alla luce delle conoscenze disponibili, i rischi per l'interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti ai rischi dell'interruzione chirurgica solo se l'interruzione di gravidanza avviene totalmente in ambiente ospedaliero». Tra le motivazioni addotte dal Consiglio vi era la «non prevedibilità del momento in cui avviene l'aborto». Il secondo parere è del 20 dicembre 2005: esso ribadisce con ancora maggiore chiarezza che l'aborto farmacologico deve avvenire «in un ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla legge, e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto».


Purtroppo - ha detto Sacconi - «l'aborto farmacologico, in tutti i paesi in cui è stato introdotto, presenta uno scarto tra l'uso stabilito nei protocolli e l'uso reale, la prassi medica concreta». Per questo sarà necessario, oltre alla verifica dei parametri di sicurezza del metodo farmacologico rispetto a quanto prevede la legge 194 (in particolare, secondo il ministro, «il rispetto della settimana di riflessione, l'effettiva possibilità che l'espulsione non avvenga in ambito ospedaliero, la maggiore o minore efficacia del metodo»), anche un attento, serrato monitoraggio che consenta di verificare il grado di effettività del rispetto della legge stessa. «Qualora questa effettività non si realizzasse - ha concluso Sacconi - si porrebbe la necessità di interventi finalizzati al rispetto di una normativa internazionalmente apprezzata... Le istituzioni non potrebbero assistere passive ad una eventuale, diffusa violazione o elusione del contenuto sostanziale di una legge dello Stato».


Gianteo Bordero

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