da Ragionpolitica.it del 22 novembre 2008
Scegliendo di chiudere il Consiglio Nazionale di Forza Italia con la lettura del discorso della «discesa in campo» del 1994 Silvio Berlusconi ha collocato il percorso che porterà alla nascita del Popolo della Libertà non nel campo sterile della politologia e dell'alchimia partitica, ma nel solco ben più carnale e concreto della storia. Di una storia particolare - la sua, quella di un brillante imprenditore di talento e di successo - che si è intrecciata con una storia più grande - quella dell'Italia - in un suo snodo fondamentale: il crollo della prima Repubblica, la crisi dei partiti democratici che governarono il paese dal secondo dopoguerra sino ai primi anni '90, il tentativo della magistratura, sostenuto opportunisticamente dagli eredi del Partito Comunista italiano, di sostituirsi manu militari alla politica e al parlamento eletto dal popolo. Senza Berlusconi non ci sarebbe stata alternativa, nelle elezioni della primavera del 1994, alla presa del potere da parte di quelli che egli definiva, nel suo discorso, «uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare».
Tutta la parabola politica di Berlusconi non si può comprendere - e neppure si può comprendere la nuova sfida del Popolo della Libertà - se non partendo da qui e qui sempre tornando: a un fatto che ha cambiato la storia, ne ha deviato il corso sottraendo il nostro paese a un futuro cupo, incerto e inquietante. Se è possibile usare il termine «berlusconismo», esso è da intendersi non nel senso ideologico, di dottrina politica (le ripetute esperienze di governo del Cavaliere hanno mostrato come egli non sia un ferreo dogmatico, ma un ragionevole pragmatico), bensì nel senso storico: il berlusconismo è una storia, non un'ideologia. E' la vittoria della carnalità storica sull'astrattismo ideologico.
Questo vuol dire, oggi, il Berlusconi che va al Consiglio Nazionale di Forza Italia riproponendo il testo della «discesa in campo»: che tutti i passi che verranno compiuti in vista del battesimo ufficiale del Popolo della Libertà non possono essere concepiti come una fecondazione in vitro, come uno sforzo teorico per amalgamare idee, valori e programmi diversi, come un abile gioco di ingegneria politica. Ci hanno già provato altri, negli anni recenti, e non soltanto a sinistra, anche se è in quella parte politica che oggi appaiono con più evidenza i danni che possono essere provocati dalle cosiddette «fusioni a freddo». Il «nuovo» deve essere concepito, invece, avendo sempre presente davanti agli occhi e nella mente l'origine, la sorgente storica, il fatto. Che poi vuol dire, in altri termini, la persona, il volto, il nome che ha reso possibile l'avventura. Ogni discorso su organigrammi, strutture e financo successione al Cavaliere non può prescindere dal fatto che, come ha detto al Foglio qualche giorno fa Baget Bozzo, «il Popolo della Libertà è Berlusconi». Non è culto della personalità, ma rispetto della storia, di un dato oggettivo che non può essere negato - se qualcuno lo facesse, sarebbe purtroppo incamminato su una strada senza sbocco politico, un vicolo cieco, un sentiero che esaurisce il suo tracciato in un burrone.
E' Berlusconi che ha portato il peso della lotta contro la gioiosa macchina da guerra comunista nel '94; è Berlusconi che ha combattuto, dopo il ribaltone, contro tutti i poteri costituiti - Quirinale compreso - che tifavano per la sua scomparsa dalla scena; è Berlusconi che ha compiuto la traversata del deserto negli anni 1996-2001, sconfiggendo, assieme al cancro, tutti coloro che già lo davano per morto; è Berlusconi che da solo ha lottato, nel 2006, contro l'Unione di Prodi, mentre i suoi stessi alleati si defilavano vergognosamente dalla campagna elettorale; è Berlusconi che ha creduto, sin da subito, alla caduta del governo del Professore e al ritorno a Palazzo Chigi del centrodestra. Queste sono le tappe non dell'elaborazione di una dottrina politica, ma del dipanarsi di una storia. Una storia fatta da un uomo in carne ed ossa, non da qualche luminare del pensiero politico. La storia di Berlusconi. La storia di quella che egli stesso chiama, riprendendo Erasmo da Rotterdam, «visionaria follia». Una storia che può continuare soltanto se la fedeltà all'inizio non verrà meno e se gli occhi saranno puntati sull'uomo invece che sull'ideologia, le formule e gli statuti.
Gianteo Bordero
domenica 23 novembre 2008
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