martedì 11 novembre 2008

OPPOSIZIONE EXTRAPARLAMENTARE

da Ragionpolitica.it dell'11 novembre 2008

Le ultime mosse del Partito Democratico (la definizione di Berlusconi come «autoritario», la manifestazione anti-governativa del Circo Massimo, l'accusa al premier di fomentare il razzismo) non fanno che confermare la strategia di opposizione scelta da ex Ds ed ex Dl: una strategia che non percorre le vie del parlamento, del confronto istituzionale, della responsabilità nazionale in un momento difficile come l'attuale, ma che si gioca tutta nelle piazze, nei luoghi «caldi» della protesta, sui mezzi di comunicazione «amici». E' una opposizione che a buon titolo può essere definita come «extraparlamentare», perché pensa che la maggioranza e il governo non siano avversari politici da sconfiggere nelle sedi istituzionali, ma nemici da abbattere attraverso la rivolta sociale, l'allarmismo mediatico, la chiamata alla resistenza contro il nuovo tiranno.

Ancora una volta, dunque, la sinistra postcomunista sceglie la forma politica della guerra civile come metodo di contrapposizione a Berlusconi e al centrodestra. Succede ormai da quattordici anni a questa parte con una impressionante regolarità svizzera. E' accaduto nel 1994 al momento della «discesa in campo» del Cavaliere. E' accaduto nel quinquennio 2001-2006, durante il suo secondo governo. E riaccade oggi, nonostante il tentativo di maquillage con cui Walter Veltroni ha cercato, nella sua ascesa alla segreteria del Partito Democratico, di presentarsi all'elettorato come il «nuovo», come colui che avrebbe chiuso la fase dell'antiberlusconismo ideologico, come il grande pacificatore tra due schieramenti l'un contro l'altro armati. Diceva ad esempio l'ex sindaco di Roma durante il suo discorso al Lingotto di Torino: «Voltiamo pagina. Facciamo in modo, per la prima volta da quindici anni, che non si formino più schieramenti "contro" qualcuno, ma schieramenti "per" affrontare le grandi sfide dell'Italia moderna... Si può far vivere una politica in cui si ammetta serenamente la possibilità che l'altra parte possa anche aver ragione. Una politica in cui ci si scontri duramente su programmi e valori, ma capace di convivenza e rispetto istituzionale».

Ad affermare ciò era lo stesso Walter Veltroni che oggi dichiara che il suo ex «avversario» svuota la democrazia dal di dentro; lo stesso Veltroni che dice: «Scatenatevi contro Berlusconi quartiere per quartiere»; lo stesso Veltroni che fa affiggere manifesti per mettere alla gogna il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri, reo di lesa maestà nei confronti del nuovo idolo democratico Barack Obama. Questa repentina svolta nell'atteggiamento del segretario del Pd, per quanto sbalorditiva, non deve sorprende chiunque conosca la storia del comunismo italiano, caratterizzato da quell'atteggiamento di «doppiezza» che è sopravvissuto, negli ultimi 50 anni, a cambi di leadership, crollo dei muri, modifiche del nome. Doppiezza la cui versione aggiornata è il «ma anche» veltroniano, in cui tutto si può dire - una cosa e il suo contrario, la verità e la menzogna - purché ciò torni utile, in un determinato momento, alla presa del potere.

Ed è proprio per mantenere il potere che ancora possiede a livello locale che il Partito Democratico, in vista della prossime elezioni amministrative, ha scelto oggi la vecchia strada della guerra civile latente e dell'opposizione extraparlamentare al governo Berlusconi, facendo appello agli istinti animali dell'elettorato di sinistra, quello di cui si è fatto qualche giorno fa portavoce lo scrittore Andrea Camilleri, il quale, parlando agli studenti del liceo Mamiani di Roma, ha dichiarato: «La Gelmini di sicuro non è un essere umano». Presentare i ministri berlusconiani come sub-umani è l'unico modo per risvegliare quello spirito resistenziale che è l'ultimo appiglio dei post-comunisti, in assenza di un progetto politico e partitico degno di tal nome, per conquistare qualche consenso in più e non scomparire dalla scena politica nazionale. Ma è anche una pericolosa chiamata alle armi, una caccia alle streghe che, provenendo dalla stessa parte politica al cui interno è cresciuta la mala pianta del brigatismo e della «lotta continua», non lascia presagire nulla di buono. Evidentemente, per la sinistra italiana non vale la lezione ciceroniana dell'«historia magistra vitae».

Gianteo Bordero

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