da Ragionpolitica.it del 18 novembre 2008
La «Jena» della Stampa, Riccardo Barenghi, domenica lo ha paragonato a Paperino, «quello che, se prende un'iniziativa, combina un disastro», «quello che non ne azzecca una». Ed è proprio così. Anche l'ultimo episodio, ossia la vicenda dell'elezione del presidente della Commissione di Vigilanza Rai, dimostra che Walter Veltroni non ne combina una giusta. La scelta del nome per la Vigilanza sulla Tv di Stato era, per il segretario del Pd, l'occasione buona per liberare se stesso e il suo partito dall'abbraccio mortale con Antonio Di Pietro e con l'Italia dei Valori; per rilanciare una qualche forma di dialogo con la maggioranza dopo mesi di totale incomunicabilità; infine, per mostrare di possedere quel senso delle istituzioni di cui difetterebbero, secondo Veltroni e i dirigenti democratici, il Popolo della Libertà e la Lega Nord.
Invece niente. Walter non ha capito, a differenza dei due esponenti del Pd che hanno votato per Villari, che il momento in cui i rappresentanti della maggioranza in Vigilanza Rai infilavano nell'urna la scheda con il nome del senatore napoletano, sbloccando una situazione divenuta ormai insopportabile dal punto di vista istituzionale e non solo, era anche il suo momento, l'istante giusto per rialzare la testa e far vedere a tutti (nemici interni, alleati arroganti e avversari dello schieramento di centrodestra) di che pasta politica è fatto. Come? Dando la sua benedizione al presidente eletto e mettendo i puntini sulle «i» riguardo a chi detiene il bastone del comando nel partito e nell'opposizione. Ma i treni, come si suol dire, non passano mai due volte. E così Veltroni si è fatto inghiottire dagli eventi, con un triplice risultato negativo: lasciare che fossero i suoi detrattori nel partito a dettare la linea (chi nella direzione della legittimazione di Villari, chi in quella opposta di una sua espulsione immediata); destare più di un sospetto di mancanza di fedeltà alla causa antiberlusconiana nella truppa dipietrista; apparire ancora di più che nel recente passato, agli occhi del centrodestra, come un interlocutore inconsistente.
Un disastro su tutta la linea, quindi. Sottolineato, sui quotidiani di ieri, da due grandi conoscitori della politica italiana come Marco Pannella e Biagio De Giovanni, entrambi orbitanti attorno al pianeta democratico. Il leader storico dei Radicali, intervistato da Il Giornale, ha affermato che «se per caso Villari si dovesse dimettere, come il suo partito lo invita a fare, si ritornerebbe alla situazione di caos precedente... L'elezione di Villari è stata regolare e grazie ad essa il parlamento può rientrare nella legalità finora violata». E il filosofo ed ex parlamentare comunista, grande conoscitore della storia del Pci, interpellato dal Corriere della Sera, ha detto di vedere all'opera, nella continua richiesta di espulsione di Villari dal Pd, i peggiori fantasmi del passato: «Vedo la Finocchiaro che mostra una faccia dura, durissima e invoca l'espulsione... Sembra di essere tornati al vecchio Pci, proprio a quello vecchio, perché le ultime espulsioni risalgono al 1968, con il gruppo di intellettuali del Manifesto». Sia Pannella che De Giovanni concordano nell'individuare l'errore politico di fondo compiuto da Veltroni: ammanettarsi a Di Pietro e rinunciare a perseguire una linea politica autonoma e distinta da quella dell'ex pm. Dice Pannella: «E' dalle elezioni di aprile che il leader del Pd ha fatto una scelta di grande avventatezza politica alleandosi con l'Italia dei Valori». E De Giovanni: «Il Partito Democratico si deve liberare della subalternità nei confronti di Di Pietro... La sua presa sul Pd si è fatta sempre più penetrante, nonostante la sua politica sia in contrapposizione a quella del Pd... Ciò inibisce la capacità dei democratici di portare avanti la loro politica».
Se proprio si vuole trovare una qualche motivazione all'atteggiamento di Veltroni nella vicenda della Vigilanza Rai, si può ipotizzare che egli non abbia voluto rompere in modo traumatico con l'Idv a pochi giorni dalle elezioni regionali in Abruzzo, dove le prospettive, per il candidato comune di democratici e dipietristi, Carlo Costantini, non sono propriamente rosee - per usare un eufemismo. Eppure, il fatto che avrebbe dovuto mettere sull'attenti il segretario del Partito Democratico non è tanto la sconfitta, che appare scontata, quanto il possibile sorpasso dell'Idv sul Pd. E' chiaro che, se tale sorpasso si verificasse, la leadership veltroniana, che aveva preso una boccata d'ossigeno alla manifestazione del Circo Massimo, si troverebbe di nuovo messa seriamente in discussione. Perché è chiaro come il sole che l'unico obiettivo di Di Pietro non è costruire una nuova sinistra in grado di competere con il centrodestra, e non è neppure mettere in difficoltà il governo, bensì diventare il capo effettivo dell'opposizione antiberlusconiana facendo un sol boccone di tutto ciò che sa di riformismo, moderazione, senso delle istituzioni. Il Pd è la prossima vittima designata dell'ex pm. Che Veltroni non lo capisca - o faccia finta di non capirlo - è davvero un assurdo politico che ha pochi precedenti nella storia repubblicana.
di Gianteo Bordero
martedì 18 novembre 2008
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