sabato 13 giugno 2009

IL NUOVO SOGNO DI FAUSTO: UN'UNICA, GRANDE SINISTRA

da Ragionpolitica.it del 13 giugno 2009

Pungente come al suo solito, la Jena della Stampa, Riccardo Barenghi, aveva così commentato il titolo dell'ultimo libro di Fausto Bertinotti, Devi augurarti che la strada sia lunga: «Tranquillo, Fausto, sarà lunghissima». Era il 7 maggio. Oggi, a un mese di distanza, dopo il risultato delle elezioni europee ed amministrative dello scorso fine settimana, trovare il bandolo della matassa per ricostruire la sinistra in Italia è diventata impresa ancor più difficile. E allora l'ex leader di Rifondazione prende carta e penna e scrive al nuovo giornale di Piero Sansonetti, L'Altro, per analizzare il dato emerso dalle urne e tracciare la rotta per l'immediato futuro della gauche nostrana. Se la prima parte riesce meravigliosamente bene al subcomandante Fausto, è la seconda che lascia quanto meno perplessi: Bertinotti individua con precisione la malattia, ma è sulla cura che nutriamo più di un dubbio.

Ma andiamo con ordine: «Il disastroso risultato del 6 e 7 giugno - scrive - ha sancito la fine, o la sconfitta storica, dei partiti eredi del Novecento... Bisogna prendere atto che davvero una storia è finita, si è conclusa». E questo, secondo Bertinotti, non riguarda soltanto la sinistra radicale, rimasta esclusa dal parlamento europeo dopo che analoga sorte le era toccata dopo le elezioni politiche del 2008. Riguarda anche il Pd: «Anche il progetto del Partito Democratico è fallito... Quattro milioni di voti perduti in dodici mesi, la perdita massiccia di Comuni e Province, la penetrazione leghista nelle Regioni rosse... Mi pare un bilancio grave». Soprattutto - dice l'ex presidente della Camera - il Pd ha mancato quello che era il suo obiettivo principale: «Contrastare davvero, fermare, arginare, l'avanzata della destra, la sua egemonia "valoriale", la sua conquista di un consenso largamente popolare». Si tratta di un'analisi impietosa, certo, che però non fa una piega. Bertinotti non cede a quell'ipocrisia collettiva che ha portato molti esponenti del Pd, dopo il voto europeo ed amministrativo, a bendarsi gli occhi di fronte all'evidente disfatta e a concentrarsi sul calo contenuto di voti del Pdl invece che sui quattro milioni di consensi perduti e sulle tante amministrazioni passate al centrodestra, anche in aree del paese un tempo roccaforti della sinistra. Bertinotti non cade nel tranello: la sua intelligenza politica gli consente di non censurare la realtà e di guardare senza infingimenti alla vera dimensione del tracollo della sinistra il 6 e 7 giugno.

Ma, come dicevamo poc'anzi, è la pars construens dell'articolo dell'ex segretario di Rifondazione a non convincere. Che cosa propone, infatti, Bertinotti per risollevare le sorti della gauche italiana? Un nuovo partito che metta insieme tutto quello che in qualche modo possa essere ricondotto sotto il termine «sinistra», dal Partito Democratico fino a Vendola, dai Radicali ai Comunisti. «Un partito nuovo, unitario e plurale, della sinistra, di tutta la sinistra. Un partito capace di rappresentare le "grandi mete" (uguaglianza e libertà, laicità, nonviolenza) che danno senso alla sinistra. Una forza da ricostruire processualmente... Entro le prossime elezioni politiche». Bertinotti pensa a una «Grande Sinistra» che non sia «una somma dell'esistente», e non sia frutto di «processi puramente fusionistici». Una strada nuova, dunque, che però ha tutta l'aria di essere l'ultima spiaggia, dopo che tutti gli altri tentativi sono stati esperiti senza portare a risultati duraturi nel tempo, dopo che anche l'Unione prodiana, che teneva insieme, nel nome del mero antiberlusconismo, partiti profondamente diversi e tra loro inconciliabili (Mastella e Di Pietro, Rutelli e Diliberto, la Binetti e Pannella), è naufragata sotto il peso delle sue contraddizioni. La fantasia politica di Bertinotti partorisce dunque una nuova «rifondazione». Stavolta, però, si tratta della «rifondazione di qualcosa che non c'è ancora». Un ossimoro che colpisce l'immaginazione e produce un indubbio effetto fascinoso.

Ma la sostanza dov'è? In nome di che cosa tutti i partiti riconducibili alla sinistra dovrebbero dar vita ad un unico, grande partito, dopo che l'antiberlusconismo si è rivelato incapace di produrre una realtà politica degna di tal nome? Quale ragione politica, insomma, sarebbe alla base di questo nuovo soggetto, nel momento in cui tutte le basi ideali a cui si era appoggiata la sinistra nel Novecento sono state sgretolate dalla storia? L'impressione, alla fine, è che Bertinotti voglia ripartire dal fascino di un nome a cui però non corrisponde più la cosa. Quello dell'ex segretario di Rifondazione appare, alla fine dei conti, solo come un esercizio di ottimismo della volontà finalizzato a rianimare ciò che la sua stessa ragione vede oggi come privo di vita, di anima e forse anche di corpo.


Gianteo Bordero

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