da Ragionpolitica.it del 25 giugno 2008
Il flop dell'assemblea costituente dello scorso venerdì, a cui ha preso parte un numero assai ridotto dei delegati, bene rispecchia lo stato di difficoltà in cui versa il Partito Democratico. E come se non bastassero le batoste elettorali rimediate a livello nazionale e locale, la proliferazione delle correnti, la questione della collocazione europea, l'incertezza sull'identità politica del partito, ora ad essere messa apertamente in discussione è anche la leadership del segretario Walter Veltroni. A collocare l'ex sindaco di Roma sul banco degli imputati è Arturo Parisi, mente politica e culturale del prodismo e fondatore, nel 1999, assieme al Professore, dei Democratici (la prima, vera cellula del progetto di unificazione delle forze riformiste, socialdemocratiche e cristiano-sociali in un unico soggetto). Intervistato domenica dal Corriere della Sera, Parisi dà voce a quello che in molti pensano nel Pd, ma che nessuno ha il coraggio di dire: la strategia veltroniana ha fallito su tutti i fronti, non è stata in grado di raggiungere i risultati sperati, non ha saputo parlare al cuore dei cittadini. E quel che è peggio, secondo l'ex ministro della Difesa del governo Prodi, è che, a due mesi dalla sconfitta del 13 e 14 aprile, non c'è stata, neppure nella lunga relazione del segretario all'assemblea costituente, alcuna analisi approfondita delle cause della Caporetto elettorale. Anzi, si continua a sorridere come se niente fosse, ma «gli elettori non riescono proprio a capire cosa abbiamo da ridere. Ci sono state stagioni nelle quali "pensare positivo" era di moda, e bastava copiare alla lettera gli slogan e le forme della propaganda americana. Questa è invece una stagione nella quale c'è bisogno di una guida e di un pensiero che sia almeno serio, se non forte, e comunque nostro».
Per questo Parisi paragona Veltroni al personaggio di una gag di Totò nella quale «un signore schiaffeggia Totò chiamandolo Pasquale, e più lo schiaffeggia e più Totò ride. Tanto che quello gli chiede: "Ma come, più io ti meno più tu ridi?" E Totò gli risponde: "E che so' Pasquale io? Volevo vedere dove andavi a finire". Veltroni è così: pensa che gli schiaffi che gli han dato gli elettori siano sempre diretti al governo Prodi. E in questo modo siamo arrivati al ridicolo di un Pd che continua a presentarsi come partito a vocazione maggioritaria, mentre in Sicilia prende il 12,5%». La soluzione, dunque, non può che essere una sola: quella del cambio di leader. Dice Parisi: «Mi illudevo di poter distinguere la leadership dal leader e perciò chiedevo a Veltroni di cambiare linea. Sono passati due mesi pieni e di fronte ai ripetuti avvertimenti che ci vengono dagli elettori e dall'interno del partito la linea non è cambiata. E' evidente allora che a questo punto bisogna cambiare leader». Cosa, questa, che avviene normalmente in democrazia quando un partito esce decimato e con le ossa rotte dopo una competizione elettorale e quando il suo segretario si dimostra incapace di sostenere le sfide politiche sul tappeto.
Ma le dichiarazioni di Parisi assumono anche un significato che va oltre le contingenze e rivelano una spaccatura profonda (ideale e culturale oltre che strategica) tra l'attuale dirigenza del Partito Democratico e il gruppo che fa capo a Romano Prodi. Tant'è vero che, tra le reazioni all'intervista rilasciata dall'ex ministro della Difesa al Corriere, l'unica di sostegno è stata quella di un altro fedelissimo del Professore, Mario Barbi, mentre l'ipotesi di rimozione dell'attuale segretario è stata respinta seccamente tanto dai veltroniani quanto dai dalemiani e dai popolari. I prodiani non soltanto non ci stanno ad essere additati come gli unici responsabili del terremoto elettorale, ma rivendicano anche il fatto di essere gli unici che hanno saputo, nel corso degli anni passati, costruire un centrosinistra in grado di competere a testa alta con il centrodestra. Non accettano la prospettiva veltroniana di inseguire Berlusconi sul suo terreno e di bypassare, con un generico ecumenismo politicamente corretto, la lotta politica intesa come esaltazione della differenza e dell'alterità rispetto allo schieramento avverso. Su un altro versante, quello interno al partito, stigmatizzano l'organizzazione in correnti secondo la «logica dell'ex» e invocano l'applicazione senza se e senza ma dell'ulivismo della prima ora.
La rottura tra i prodiani doc e la dirigenza del Partito Democratico, del resto, era nell'aria già da qualche tempo, sin dal momento in cui l'ex presidente del Consiglio, nel mese di aprile, aveva preso carta e penna e aveva inviato una missiva a Veltroni per annunciare le dimissioni da presidente dell'assemblea costituente - dimissioni peraltro riconfermate qualche giorno fa, dopo che numerosi esponenti del Pd avevano chiesto al Professore di ripensarci e di fare un passo indietro. Un gesto significativo, quello di Prodi, che, assieme all'intervista di Parisi, testimonia come i «padri nobili» del Partito Democratico, coloro che per primi ne hanno promosso la creazione in Italia, non si riconoscano né nella forma né nella sostanza che Veltroni e i vecchi notabili dei Ds e dei Dl hanno dato al nuovo soggetto di centrosinistra. Dopo essere stati accusati per molti mesi di essere all'origine di tutti i mali della gauche, il Professore e i suoi si prendono oggi, col Pd in caduta libera e il suo segretario in profonda crisi di consenso interno, una bella rivincita. E Romano, cinicamente, se la ride, mentre a Walter non restano che le lacrime.
Gianteo Bordero
giovedì 26 giugno 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento