domenica 22 giugno 2008

IL VELTRONI PERDUTO

da Ragionpolitica.it del 21 giugno 2008

Il cambio di strategia del Pd, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi, è stato formalizzato da Walter Veltroni nella sua relazione all'assemblea nazionale del partito svoltasi a Roma. Il segretario ha iniziato il suo intervento con una ruvida critica a tutto campo dell'operato del governo Berlusconi: ha affermato che «la lettera che il presidente del Consiglio ha inviato lunedì scorso al presidente del Senato è uno spartiacque che rischia di segnare negativamente l'intera legislatura... Colpisce il ruolo di garanzia del Capo dello Stato, strappa la delicatissima tela del dialogo istituzionale con l'opposizione». E ancora: «I risultati dei passati governi Berlusconi, così come l'infelice esordio di questa legislatura, ci dicono che la speranza che una parte larga e più volte maggioritaria del paese ha riposto nella supplenza privata di poteri pubblici si è rivelata un'illusione: alla fine il potere privato, pure invocato per finalità pubbliche, finisce sempre per anteporre gli interessi particolari a quelli generali». Così l'occasione di dare vita a un nuovo clima tra gli schieramenti in campo, secondo Veltroni, «è perduta, forse definitivamente». Il leader del Pd risponde in questo modo ad una delle critiche più insistenti alla sua gestione provenienti sia da esponenti di spicco del partito che da colleghi dell'opposizione, in primis l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. A chi lo accusava di cercare, come ha scritto sul Riformista di ieri Antonio Polito, la «legittimazione dell'opposizione di Sua Maestà da parte di Berlusconi, moderazione in cambio di bipartitismo», Veltroni ha risposto annunciando una svolta intransigente «contro il ritorno di una stagione di conflitti istituzionali, di leggi ad personam e di confusione tra gli interessi privati e la cosa pubblica».

Ma la svolta veltroniana non finisce qui. Un altro dei temi caldi all'ordine del giorno nell'assemblea nazione del Pd era quello delle alleanze. Seppur rivendicando con orgoglio la scelta della vocazione maggioritaria e la decisione di rompere definitivamente con le coalizioni onnicomprensive in stile Unione prodiana, il segretario ha lasciato intendere che, per il futuro, non è da escludere una intesa con altri partiti fondata sulla condivisione programmatica e su una comune prospettiva di governo. In particolare, Veltroni ha fatto esplicito riferimento da un lato all'Udc di Pierferdinando Casini («Auspichiamo di poter lavorare insieme non solo per coordinare le opposizioni in parlamento, ma anche per affermare non un bipartitismo, ma un nuovo bipolarismo fondato su chiare alleanze per il governo e non più, come la stessa Udc ha tante volte denunciato, su coalizioni tenute insieme solo dalla logica del nemico comune») e, dall'altro lato, ai Socialisti Italiani («Pensiamo che sia non solo interesse, ma valore comune, creare le condizioni per ritrovarci»). Per quanto riguarda la sinistra radicale, il leader del Pd ha detto di seguire attentamente la discussione apertasi nei partiti del fu Arcobaleno, auspicando che da tale dibattito possa emergere il definitivo abbandono della linea «di lotta e di governo» come pre-condizione per riaprire il capitolo delle alleanze con il Prc, la Sd, i Verdi. Ad ogni modo, quello che emerge con chiarezza è la rinuncia, da parte di Veltroni, alla linea dell'autosufficienza del Pd e del bipartitismo rigido, che fino ad oggi erano stati due cavalli di battaglia della «nuova stagione».

Terzo capitolo su cui si è registrata una rottura rispetto al recente passato è quello riguardante il versante interno del Partito Democratico, la sua organizzazione e strutturazione. Veltroni ha innanzitutto lasciato cadere definitivamente l'ipotesi di un congresso anticipato, da celebrare nel 2008, per forzare i tempi e far uscire allo scoperto i suoi avversari; ha annunciato che a luglio partirà ufficialmente il tesseramento, che - ha detto - «dovrà essere una grande occasione per radicare il partito»; ha messo una pietra tombale sull'idea di «partito liquido» tanto cara agli uomini a lui più vicini: «Vogliamo un partito presente in tutti gli 8 mila comuni italiani e in tutti i quartieri e le borgate delle città». Anche se a parole il segretario ha chiesto un atto di responsabilità comune per evitare il proliferare di correnti personali che «trasformerebbero il Pd in una confederazione di potentati nazionali con le loro estese ramificazioni locali», è chiaro che tanto il radicamento quanto il tesseramento non potranno che far svanire il sogno di dare vita a quel «partito del leader» immaginato da molti collaboratori di Veltroni dopo la sua ascesa alla segreteria con le primarie dello scorso ottobre.

Concludendo, non si può non rilevare come tutte e tre le mosse veltroniane (strategia di opposizione, nodo alleanze e organizzazione del Pd) vadano di fatto nella direzione auspicata nelle ultime settimane da Massimo D'Alema e dai suoi sostenitori all'interno del partito, che hanno chiesto apertamente una svolta capace di far uscire i democratici dal torpore post-elettorale e di rilanciare l'iniziativa politica a un livello diverso da quello dell'appeasement con Berlusconi. Veltroni sa che la vera partita si giocherà l'anno prossimo, in occasione delle elezioni europee ed amministrative: è dal risultato di queste consultazioni che dipenderanno le sorti della sua segreteria. Per questo asseconda ora le richieste dei suoi avversari interni: sia per evitare prove di forza immediate i cui esiti sarebbero incerti, sia per scongiurare un anno di logoramento ulteriore della sua leadership, che giungerebbe stremata agli appuntamenti elettorali della prossima primavera. In ogni caso, è chiaro che quella che l'ex sindaco di Roma si trova a percorrere è una strada stretta e in salita, piena di insidie e a rischio improvviso di smottamenti. Il leader che un anno fa, al Lingotto di Torino, veniva acclamato come il salvatore della patria, oggi è poco più che un primus inter pares il cui destino politico è appeso a un esilissimo filo.

Gianteo Bordero

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