da Ragionpolitica.it del 20 giugno 2008
Per salvare quel che resta della sua leadership, Walter Veltroni decide di fare opposizione a se stesso e alla sua strategia della «nuova stagione». Il segretario del Partito Democratico cambia rotta repentinamente e fa sue le ragioni dei suoi critici, sia esterni al Pd che interni ad esso. Sul primo fronte sposa di fatto la linea antiberlusconiana «senza se e senza ma» di Antonio Di Pietro e fa uscire dall'aula gli eletti del Pd al Senato al momento del voto sulla norma ribattezzata dalla sinistra come «salva-premier»; strappa il filo del dialogo con il governo e con la maggioranza; sale sulle barricate e al bon ton sostituisce un linguaggio ruvido ed aggressivo nei confronti del centrodestra. Sul fronte interno, invece, in vista della delicata assemblea nazionale del Pd che avrà inizio quest'oggi, si appropria del cambio di strategia invocato dai suoi oppositori in merito alla questione delle alleanze e va ad incontrare il segretario dimissionario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, e gli assicura che il temuto sbarramento al 5% alle prossime elezioni europee non sarà introdotto.
Dal dialogo con Berlusconi al dialogo con Rifondazione; dalla legittimazione dell'avversario alla sua demonizzazione il passo non è breve. Il fatto è che stanno cadendo una dopo l'altra, giorno dopo giorno, tutte le tessere del mosaico faticosamente abbozzato da Veltroni a partire dal giugno dell'anno scorso, cioè dal momento della sua investitura a candidato ideale per la guida del Partito Democratico e dall'ormai celebre discorso al Lingotto di Torino. Proprio in quell'occasione, l'allora sindaco di Roma affermò: «Voltiamo pagina. Gettiamoci alle spalle un modo di intendere i rapporti tra maggioranza e opposizione che non porta a nulla. A nulla, se non a far male all'Italia. Voltiamo pagina. La politica può essere diversa. Non c'è niente, tranne la nostra volontà, che impedisca la costruzione di un modo di intendere i rapporti basato sulla civiltà, sul riconoscersi reciprocamente». E ancora: «Mi è stato più volte dato atto di non aver mai partecipato a questa degenerazione del confronto. In ogni caso continuerò così, anche unilateralmente. Continuerò a pensare che non c'è un titolo di giornale che valga più del rispetto di un avversario. Non una battuta volgare che possa essere accettata come normale da un paese non volgare». E infine: «Si può essere in disaccordo senza essere nemici. Si può far vivere una politica in cui si ammetta serenamente la possibilità che l'altra parte possa anche aver ragione. Una politica in cui ci si scontri duramente su programmi e valori, ma capace di convivenza e rispetto istituzionale».
Che cosa resta, oggi, del progetto politico di Veltroni e dei buoni propositi del segretario del Partito Democratico è presto detto: nulla, o quasi. Il Pd è lacerato da lotte intestine tra correnti più o meno forti, ciascuna con una Fondazione pronta ad affondare la leadership di Veltroni; i risultati elettorali sono catastrofici, a partire dalle politiche dello scorso aprile per arrivare alle recenti amministrative siciliane, passando per la bruciante débacle alle comunali di Roma, feudo veltroniano per antonomasia; i sondaggi sono in picchiata; non c'è accordo tra ex Ds ed ex Dl in merito alla collocazione in ambito europeo; e anche sulla presidenza del partito il segretario non sa più che pesci prendere ed è costretto a invocare il ritorno in sella di Romano Prodi dopo averlo indicato come somma causa della sconfitta di due mesi fa; infine, anche il fiore all'occhiello del dialogo è appassito in fretta, sostituito da un Aventino parlamentare che potrebbe diventare permanente nel caso in cui il Pd si facesse dettare la linea in modo continuativo da Di Pietro e dalle sue accuse al governo di mettere in campo provvedimenti «criminogeni».
Finisce dunque così, stritolata dalla morsa dell'antiberlusconismo e della guerra interna al Partito Democratico, la «nuova stagione» di Veltroni. Il segretario del Pd cambia tutto perché tutto cambi, salvo la sua posizione all'interno del partito e del centrosinistra. Niente più «vocazione maggioritaria», niente più «opposizione ragionevole», niente più «partito del nuovo millennio». Nel momento dell'emergenza, la retorica lascia spazio all'istinto di sopravvivenza e quelle che fino all'altro ieri venivano chiamate «vecchie logiche» oggi tornano buone per affrontare la possibile calamità di una destituzione in corso d'opera da parte degli azionisti di maggioranza del partito. Per questo Veltroni diventa avversario di se stesso per ammutolire gli avversari che gli stanno intorno; per questo si traveste da D'Alema, da Di Pietro, da Bertinotti.
Quanto possa durare questa tattica lo vedremo a partire dall'assemblea nazionale di quest'oggi. Quel che è certo è che risuonano ora come parole lontane nel tempo quelle pronunciate da Veltroni appena un mese fa, nel corso del dibattito alla Camera sulla fiducia al Berlusconi IV: «Voteremo contro il governo, ma convergeremo su ogni scelta che vada nella direzione giusta: quella di un'Italia più equa, più moderna e più sicura. L'opposizione la si fa pensando agli interessi profondi del paese, pensando al futuro dei nostri ragazzi, alla fatica ed al talento di chi lavora ed intraprende, ai timori dei nostri anziani. La si fa mossi non dalla volontà di mostrare i muscoli, ma di mostrare l'intelligenza ed il senso di responsabilità». E - aggiungiamo noi - non pensando solo ed esclusivamente a se stessi e alla propria poltrona.
Gianteo Bordero
sabato 21 giugno 2008
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