da Ragionpolitica.it del 27 giugno 2008
Corsi & ricorsi della storia. L'eterna lotta tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema, esplosa in forma pubblica durante il Congresso del Pds del 1994 che portò alla segreteria «Baffino» grazie ai voti dell'apparato (il «popolo», come risultò da numerosi sondaggi, stava con Walter), si ripropone oggi con tutta la durezza di un tempo, seppure a ruoli invertiti. Se nel '94 D'Alema appariva come il simbolo del «vecchio» e Veltroni come l'emblema del «nuovo», il primo come l'uomo del passato (il Pci) e il secondo come quello del futuro (l'americanismo e il kennedismo applicati per la prima volta in Italia), stavolta a vestire i panni ingombranti del «già visto» e del «sorpassato» rischia di essere proprio il «nuovista» per eccellenza, colui che ha fatto della rupture coi bei tempi che furono una bandiera, mentre l'altro duellante si candida a rappresentare l'alternativa politica a un partito che, nato da pochi mesi, appare già consumato dall'usura del tempo e delle sconfitte elettorali rimediate nel breve volgere di una stagione.
Così, mentre Veltroni resta aggrappato come può a una leadership che vacilla, tutto intento a salvaguardare l'esistente e a puntellare la sua segreteria, D'Alema riunisce i suoi sostenitori in un cinema romano per presentare ReD («Riformisti e Democratici»), ufficialmente definita una «associazione» di amici della fondazione (dalemiana anch'essa) Italianieuropei, ma che a molti già appare non soltanto come una delle tante correnti interne al Pd, ma anche come il nucleo di un vero e proprio partito, il motore di un nuovo centrosinistra: ci sono già 114 parlamentari iscritti, è iniziata la campagna di tesseramento, saranno aperte sedi in molte città italiane e sono allo studio altre forme di radicamento sul territorio. Anche se il ministro degli Esteri del governo Prodi fa di tutto per rassicurare l'ex sindaco di Roma sul fatto che ReD non vuole creare problemi al Partito Democratico, destabilizzandolo («Non voglio rompere le scatole a Veltroni», ha affermato), è chiaro che l'iniziativa sembra fatta apposta per dare ulteriori grane al segretario e per andare oltre l'attuale strategia del Pd: niente più «nuova stagione», addio alla «vocazione maggioritaria», basta con l'idea del bipartitismo rigido. Meglio iniziare a ripensare le alleanze con una logica non esclusiva; riallacciare il filo del dialogo da un lato con la sinistra antagonista più «ragionevole», dall'altro con l'Udc di Pierferdinando Casini; cercare di far approvare una legge elettorale che parli tedesco e non spagnolo. E ancora: stop alle formule di partito incolore, né bianco né rosso, né centro né sinistra, né socialdemocratico né popolare (in questo senso, l'acronimo ReD è tutto un programma...).
Diverso nella forma rispetto alla esplicita richiesta di dimissioni avanzata da Arturo Parisi, l'attacco di D'Alema a Veltroni è però ancor più duro nella sostanza. Come ha osservato sul Corriere della Sera di ieri Angelo Panebianco, i peggiori nemici del leader del Partito Democratico «sono quelli che hanno scelto la strada più subdola. Essi dicono: il segretario (per ora) non si tocca, ma va cambiata la piattaforma politica». E' esattamente quello che sta facendo l'ideatore di ReD, che a margine dell'assemblea costituente del Pd di venerdì scorso ha speso parole per difendere Veltroni e la sua leadership ma che poi, dopo appena qualche giorno, ha battezzato una «associazione» che promuove una prospettiva politica che, di fatto, rappresenta la negazione di tutto ciò che va sotto il nome di «veltronismo». Se la linea-Parisi è certamente minoritaria all'interno del partito, lo stesso non si può dire della linea-D'Alema, che - come ricordato in precedenza - ha già raccolto attorno a sé un terzo dei parlamentari democratici.
Invece che attaccare Veltroni frontalmente, il suo eterno sfidante ha scelto questa volta di svuotare la sua leadership dall'interno, logorandola giorno dopo giorno, convegno dopo convegno, cucinandola a fuoco lento in attesa delle elezioni europee della prossima primavera, che potrebbero rappresentare, in caso di esito ancora una volta negativo, l'epilogo della stagione di Walter alla guida del Pd. In queste condizioni, come ha notato sempre Panebianco, forse sarebbe stato meglio per Veltroni forzare i tempi, convocando già in autunno un congresso in cui andare alla conta, far uscire allo scoperto gli avversari e diradare così le nebbie che sempre più fitte si addensano attorno alla segreteria. Aver rinunciato a tutto ciò, nonostante gli annunci di qualche tempo fa, è senz'altro un altro segnale di debolezza da parte di Veltroni. Un politico che, come ha scritto Andrea Romano nella prefazione (pubblicata ieri dal Riformista) alla nuova edizione del suo Compagni di scuola. Ascesa e declino dei postcomunisti, «ha attraversato indenne le tormente del postcomunismo italiano con gli strumenti della dissimulazione e della fuga dalla responsabilità. E che anche in questo caso (il dopo elezioni, ndr) si mostra impermeabile al semplice dovere di rispondere del fallimento delle proprie scelte politiche». D'Alema, consapevole di ciò, attende ora Veltroni al varco. Stavolta per il duello finale.
Gianteo Bordero
sabato 28 giugno 2008
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