da Ragionpolitica.it del 17 giugno 2008
Eugenio chiama, Walter risponde. Dalle pagine di Repubblica il Fondatore lancia l'allarme democratico e subito il capo del Partito Democratico si arruola come milite nella nuova battaglia contro il fascismo che ritorna. Scalfari scrive che le prime mosse del governo Berlusconi rappresentano «un incipit verso una dittatura che si fa strada in tutti i settori della vita democratica». E ammonisce: «Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il paese nei settori più sensibili della democrazia?». Veltroni risponde: «Se il comportamento del governo rimane arrogante come quello delle ultime settimane il clima non potrà che cambiare».
Si torna dunque all'antico: il richiamo della foresta è più forte del salto in avanti verso un riconoscimento e una legittimazione reciproca degli schieramenti che renderebbero finalmente normale la situazione politica italiana. Una atavica paura irrazionale per una «destra» ritenuta non pienamente degna di governare prevale sulla ragionevole volontà di cambiare pagina. E così, invece che collaborare alla scrittura di un capitolo diverso della nostra storia repubblicana, la sinistra preferisce il ritorno al passato, il cammino a ritroso che ci riporta, ancora una volta, all'inizio del libro. Al 1994 e alla narrazione di Berlusconi e dei suoi alleati come nuovo fascismo, come costante minaccia per la Costituzione, come pericolo per la tenuta democratica delle istituzioni.
Ma così la sinistra, e in particolare Veltroni, non fa altro che compiere l'ennesima, ulteriore involuzione autoreferenziale, aggrovigliandosi attorno alla sua mai sopita presunzione di superiorità morale rispetto agli avversari e abbarbicandosi ad un antiberlusconismo di maniera che nasconde soltanto un desolante deficit di proposta programmatica e di progettualità politica. Col risultato di allontanarsi ogni giorno di più dal popolo, dalla vita comune dei cittadini e dalle loro esigenze. In una parola: dalla realtà. Che è quella di un paese che arranca e che chiede tutele e sicurezza; di uno Stato privato della sua autorevolezza da decenni di sprechi, lassismo e incuria; di poteri non eletti che tentano - loro sì - di sostituirsi alle istituzioni democraticamente votate dai cittadini.
Questo mettere tra parentesi la realtà come se niente fosse, il rinunciare ad indagare in profondità sulle cause della sconfitta elettorale e sulle ragioni del consenso che Berlusconi ha saputo ancora una volta raccogliere tra gli italiani, l'accomodarsi su una linea di opposizione che ha il sapore del déjà vu, l'arrendersi alle sirene dell'antiberlusconismo storico gettando improvvisamente nel cestino gli annunci di una «nuova stagione» anche nei rapporti col centrodestra... Tutto questo mostra lo stato di incertezza e confusione nel quale versa il Partito Democratico dopo il 13 e 14 aprile. E non è da escludere che l'accodarsi di Veltroni alla propaganda dei «duri e puri», di Scalfari, dell'Unità, di Di Pietro, sia funzionale soltanto al mantenimento di una leadership che traballa e che, giorno dopo giorno, viene messa sul banco degli imputati da un numero sempre maggiore di dirigenti del partito.
Per salvare la sua posizione, Veltroni butta dunque a mare non soltanto il dialogo sulle riforme con Berlusconi e con la maggioranza, ma anche l'essenza stessa del programma con cui si era candidato alla guida del Partito Democratico e alla presidenza del Consiglio, invocando una netta rottura con il recente passato dell'Unione e di un centrosinistra fondato soltanto sul rigetto pregiudiziale ed ideologico dell'avversario. A conti fatti, oggi il Pd non riesce a darsi una linea di opposizione coerente con le ragioni per cui era stato fondato, non ha una collocazione chiara in ambito europeo, è segnato da una evidente «balcanizzazione» interna che vede l'un contro l'altro armati i dirigenti dei vecchi partiti e delle loro correnti; ma l'unica cosa che il segretario riesce a fare è tagliare i ponti da lui stesso faticosamente costruiti con il centrodestra e cedere ai richiami belluini dell'antiberlusconismo senza se e senza ma. Come se bastasse questo per uscire da una crisi le cui reali dimensioni debbono ancora venire a galla in tutta la loro portata. Buona fortuna, Walter.
Gianteo Bordero
martedì 17 giugno 2008
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