lunedì 1 marzo 2010

IL PD IN VIOLA

da Ragionpolitica.it del 1° marzo 2010

Commentando l'adesione del Pd alla manifestazione del cosiddetto «popolo viola» svoltasi sabato a Roma, Maria Teresa Meli ha scritto sul Corriere della Sera (28 febbraio) che «il Partito Democratico sotto elezioni riscopre l'antiberlusconismo». In realtà, non si tratta di una riscoperta, bensì dell'emersione di un sentimento che non ha mai cessato, da sedici anni a questa parte, di battere forte nel cuore e nella mente dei rappresentanti del centrosinistra italiano. Un sentimento che ne ha caratterizzato e ne caratterizza ancora oggi le scelte strategiche di fondo, come quella di tentare di rimettere in piedi una larga alleanza che vada da Rutelli e Casini fino alla sinistra di Vendola, unicamente nel nome della cacciata del Cavaliere, senza alcun comune denominatore programmatico e politico degno di tal nome.


Del resto, bastava leggere gli slogan che campeggiavano sugli striscioni di piazza del Popolo per capire che la «nuova opposizione» a Berlusconi - se così possiamo chiamarla - è ancora una volta tenuta insieme soltanto dall'odio, dal disprezzo e dal rancore nei confronti del presidente del Consiglio, dipinto alla stregua di un incallito criminale e descritto dal solito Di Pietro come capo di un governo «fascista e piduista». Il sogno del «popolo viola» e dei partiti presenti sabato all'adunata romana, quindi anche del Pd, è uno soltanto, sempre lo stesso, ben rappresentato da numerosi cartelli issati dai manifestanti: vedere l'uomo di Arcore in ceppi, rinchiuso nelle patrie galere, costretto ai lavori forzati come il peggiore dei delinquenti.


«I have a dream», recitavano le gigantografie con la caricatura del premier con la divisa da carcerato, la palla al piede e la piccozza in spalla. Solo due anni fa lo stesso memorabile motto di Martin Luther King era stato usato per tutt'altri scopi dall'allora leader del Partito Democratico, Walter Veltroni, che al Lingotto di Torino, acclamato come il salvatore della patria dopo la disastrosa esperienza di governo dell'Unione prodiana, aveva provato a mettere fine alla stagione dell'antiberlusconismo ideologico e a tratteggiare una sinistra diversa, non più prigioniera della sua perenne ossessione ad personam e capace di proporre al paese un'agenda autenticamente e sanamente riformista. Sappiamo tutti com'è andato a finire quel tentativo. E la distanza che separa il progetto di una gauche italiana moderna e responsabile dalla situazione attuale è tutta in questo passaggio dall'«I have a dream» di Veltroni all'«I have a dream» della manifestazione di sabato: gli spiriti animali della sinistra hanno avuto la meglio sulla paziente tessitura politica, la pancia ha prevalso sulla ragione, il tornaconto immediato sulla prospettiva strategica, l'antipolitica sulla politica. E così sia.


Tutto ciò è avvenuto e avviene con l'assenso di un segretario come Pier Luigi Bersani, che solo pochi mesi fa aveva detto «no» all'adesione ufficiale del Partito Democratico al «No-B day» - la prima uscita del «popolo viola» - in nome di una opposizione diversa da quella condotta da Di Pietro. Sembrava un gesto coraggioso, quello di Bersani, che lasciava finalmente intravedere la possibilità di un'uscita del Pd dal giustizialismo duro e puro e di un confronto costruttivo tra centrodestra e centrosinistra sulle grandi questioni di interesse nazionale. E' bastato poco per capire che si trattava dell'ennesima dichiarazione di intenti a cui non avrebbe fatto seguito alcuna svolta politica concreta: tant'è vero che, pressato dalle scadenze elettorali, per mettere al sicuro innanzitutto la sua poltrona, il segretario del Pd si è premurato di stringere un patto di ferro con l'ex pm in vista delle ragionali, suggellando poi tale alleanza, con tanto di baci e abbracci a Tonino, durante il congresso dell'Idv.


Tutto ciò dimostra che, nella sostanza, non vi è alcuna «riscoperta» dell'antiberlusconismo, per il semplice fatto che non c'è mai stato un autentico, riscontrabile abbandono dello stesso da parte del partito post-comunista italiano. Come si è visto anche nel caso dell'inchiesta sulla Protezione Civile, con la richiesta di dimissioni di Bertolaso giocata da Bersani come carta contro il governo, alla fine nel Pd prevale sempre il richiamo della foresta giustizialista e anti-Cavaliere. E' la memoria degli anni di Mani Pulite che si fa sentire, è la stessa ragione sociale degli eredi del Pci nella Seconda Repubblica che reclama il suo spazio, condizionandone ogni mossa, ogni pensiero, ogni scelta strategica.


Gianteo Bordero

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