lunedì 22 marzo 2010

IL CORAGGIO DEL PAPA E LA CATTIVA COSCIENZA DEI CATTO-PROGRESSISTI

da Ragionpolitica.it del 22 marzo 2010

Da alcuni commenti alla lettera pastorale che Benedetto XVI ha inviato il 19 marzo ai cattolici irlandesi emerge una visione totalmente distorta del ruolo e della missione del Papa e, di rimando, della stessa Chiesa. Quando si afferma, come ad esempio hanno fatto La Repubblica e Il Riformista, che il Pontefice, con la sua missiva, non sta facendo abbastanza per rispondere allo scandalo dei preti che si sono macchiati di atti di pedofilia; o quando si chiede, in sostanza, che egli si trasformi in una sorta di magistrato statale che commina ai malfattori pene carcerarie o cose simili, si finisce per cadere in quella logica «temporalista» che gli intellettuali cattolici progressisti da sempre combattono a parole e che oggi invece sembrano invocare come rimedio alla dolorosa e drammatica vicenda dei sacerdoti che hanno abusato dei più piccoli.


Tutto questo nel momento in cui lo stesso Pontefice afferma a chiare lettere che i colpevoli dovranno rispondere delle loro infamanti azioni di fronte a Dio e agli uomini («Davanti all'Onnipotente come pure davanti a tribunali debitamente costituiti») e invita i vescovi che hanno commesso «gravi errori di giudizio» ed hanno mostrato «mancanze di governo» a «cooperare con le autorità civili nell'ambito di loro competenza». Ma anche queste dure parole di Benedetto XVI, agli occhi di certi illuminati commentatori di cose cattoliche, sembrano non bastare. E' curioso che questi intellettuali, che per molti lustri sono stati i propugnatori di una svolta lassista della Chiesa in materia di morale sessuale ed hanno chiesto, a partire dalla contestazione dell'enciclica di Paolo VI Humanae Vitae (1968), che il magistero papale non dicesse solo dei «no» di fronte ai grandi cambiamenti del costume avvenuti nell'ultimo secolo, si presentino oggi come i campioni del rigorismo e del «pugno duro».


Peccato che proprio questa mentalità conciliante con le tendenze mondane, proposta nel nome di una Chiesa «moderna» e «aperta», sia uno dei principali fattori che hanno contribuito ad indebolire nei cattolici quegli anticorpi necessari per resistere al male nei tempi di confusione e di tempesta. Lo dice in modo chiaro lo stesso Papa Ratzinger nella sua lettera, quando afferma che negli ultimi decenni, di fronte alla «rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese» - ma il discorso può benissimo valere pure per altri paesi occidentali - anche tra molti sacerdoti e religiosi ha fatto breccia «la tendenza ad adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo». Una tendenza che si è manifestata, secondo il Pontefice, anche in una lettura distorta del Concilio Vaticano II, il cui «programma di rinnovamento» fu a volte «frainteso». In particolare, «vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari». In altre parole: negli anni successivi al Concilio, a causa di un malinteso senso di apertura nei confronti della cultura moderna, all'interno della Chiesa in tanti hanno creduto che non fosse necessario utilizzare il pungo di ferro (l'«approccio penale») nei confronti di chi si macchiava di certi gravissimi peccati, con la conseguenza di una «mancata applicazione delle pene canoniche in vigore» e della «mancata tutela della dignità di ogni persona». Invece che rivolgere critiche del tutto infondate a Benedetto XVI, dunque, certi vaticanisti progressisti farebbero bene a riflettere sullo sfascio prodotto da tanti anni di propaganda contro il rigore dei Papi in materia sessuale.


E, soprattutto, dovrebbero comprendere che con la sua coraggiosa lettera ai cattolici irlandesi il pontefice ha centrato in pieno il cuore della questione, rispondendo così a quella che è la sua prima missione come successore di Pietro: «Confermare i fratelli nella fede tenendoli uniti nella confessione del Cristo crocifisso e risorto». Quando Ratzinger afferma che è necessario «riflettere sulle ferite inferte al corpo di Cristo, sui rimedi, a volte dolorosi, necessari per fasciarle e guarirle, e sul bisogno di unità, di carità e di vicendevole aiuto nel lungo processo di ripresa e di rinnovamento ecclesiale»; quando, rivolgendosi alle vittime degli abusi e alle loro famiglie, esprime a nome della Chiesa «la vergogna e il rimorso che tutti proviamo», e chiede loro «di non perdere la speranza» perché Gesù «come voi porta ancora le ferite del suo ingiusto patire» e «comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa»; quando con durezza ammonisce i sacerdoti che hanno abusato dei ragazzi («Avete perso la stima della gente dell'Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli. Avete violato la santità del sacramento dell'Ordine Sacro, in cui Cristo si rende presente in noi e nelle nostre azioni») e quando li esorta a «riconoscere» le proprie colpe, a «sottomettersi» alle esigenze della giustizia, ma a non «disperare della misericordia di Dio»...


E ancora, quando ai giovani irlandesi ribadisce che «siamo tutti scandalizzati per i peccati e i fallimenti di alcuni membri della Chiesa» e quando ricorda loro che però «è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre. Egli vi ama e per voi ha offerto se stesso sulla croce. Cercate un rapporto personale con lui nella comunione della sua Chiesa, perché lui non tradirà mai la vostra fiducia!»; quando dice agli altri sacerdoti d'Irlanda che essi possono essere testimonianza vivente delle parole di San Paolo: «Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia»; quando ad alcuni vescovi imputa gravi mancanze «nell'applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi» e li invita a «rinnovare il senso di responsabilità davanti a Dio», ad essere «sensibili alla vita spirituale e morale di ciascuno dei sacerdoti»; quando infine a tutti i fedeli d'Irlanda propone un cammino comune di penitenza, di preghiera e di adorazione eucaristica per giungere a quel «rinnovamento» nella fede che è la vera, grande risposta che la Chiesa può offrire ai credenti in questo tempo difficile...


Ebbene, quando scrive tutto ciò Benedetto XVI non nasconde la testa sotto la sabbia, non elude i problemi, non ne annacqua la gravità, ma li legge alla luce della fede e del mistero cristiano. Li pone cioè nell'unica prospettiva grazie alla quale i cattolici e la Chiesa possono ogni giorno sentirsi - ed essere - una «creatura nuova». Come diceva Chesterton, «il prezzo del perdono si chiama Verità».


Gianteo Bordero

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