mercoledì 10 marzo 2010

IL DISASTRO POLITICO DEL PD

da Ragionpolitica.it del 10 marzo 2010

Che il Partito Democratico sia «ammanettato a Di Pietro», come ha affermato qualche giorno fa il presidente del Consiglio, è confermato in pieno dalle sue ultime mosse. Due su tutte: la decisione di seguire l'ex pm nella protesta di piazza contro il decreto interpretativo della legge elettorale varato dal governo venerdì scorso e la scelta di imboccare la strada dell'ostruzionismo parlamentare, con la presentazione di 1700 emendamenti al disegno di legge sul legittimo impedimento - cosa che ha di fatto obbligato l'esecutivo ad apporre la questione di fiducia sul provvedimento al Senato. Cade così definitivamente la maschera «riformista» con la quale Bersani si era presentato al momento del suo insediamento alla guida del Pd, annunciando la chiusura della stagione dell'antiberlusconismo fine a se stesso portato avanti da Dario Franceschini. E, contestualmente, appare con chiarezza il vero volto di un partito che a tutt'oggi non riesce ad avere altra ragione sociale oltre all'avversione preconcetta, rancorosa ed in sostanza pre-politica all'uomo di Arcore.


Stante dunque la completa assenza di serie proposte programmatiche, che ha come prima conseguenza quella di rendere impossibile un confronto costruttivo con la maggioranza sul merito dei provvedimenti, è inevitabile che il Partito Democratico finisca schiacciato nella morsa del leader dell'Idv, che persegue con imperturbabile costanza la sua linea di delegittimazione totale del premier, gridando un giorno sì e l'altro pure al ritorno del fascismo nel nostro paese e denunciando una improbabile reincarnazione del Duce nel corpo del Cavaliere. Come ha osservato Vittorio Macioce su Il Giornale del 9 marzo, oggi «tutta la politica di questa magnifica opposizione si riduce a tre parole: piazza, tribunali e ostruzionismo».


Il problema, per il Pd, è che nella gara a chi è più antiberlusconiano, a chi riesce a intercettare quella fetta di elettorato convinta che il presidente del Consiglio rappresenti l'esatto contrario della democrazia e sia quindi un cancro da estirpare per salvaguardare le regole costituzionali a fondamento della Repubblica, sarà sempre più bravo e più credibile Di Pietro, che almeno ha il merito - se così possiamo chiamarlo - di non mostrarsi ondivago e incerto, agli occhi dell'opinione pubblica, nella caccia al dittatore e ai suoi complici più o meno occulti. Per questo, ad esempio, l'ex pm ha ragione - ovviamente dal suo punto di vista - quando denuncia l'ipocrisia del Partito Democratico nella vicenda della critica al decreto legge elettorale varato dal governo e firmato dal presidente della Repubblica: se di «attentato alla democrazia e alla Costituzione» si tratta - ragiona il leader dell'Idv - è chiaro che pesanti responsabilità per l'accaduto debbono essere attribuite anche al capo dello Stato. Tanto più che egli non soltanto ha dato il suo via libera al provvedimento governativo, ma ha anche spiegato pubblicamente, con una lettera su internet, le ragioni che lo hanno spinto a compiere tale gesto. Stracciandosi le vesti per il decreto ma tenendo fuori dalle polemiche l'inquilino del Colle, il Pd si arrampica sugli specchi e dimostra, infine, di non essere credibile né quando annuncia svolte epocali rispetto al suo atavico antiberlusconismo, né quando prova a battere Di Pietro sul terreno della contestazione radicale del Cavaliere.


Insomma, un vero disastro politico, che oggi il partito di Bersani tenta di nascondere in tutti i modi possibili, anche cavalcando in maniera a dir poco irresponsabile la vicenda della mancata ammissione della lista del Pdl nella provincia di Roma, come se correre in queste condizioni rappresentasse una vittoria della democrazia e garantisse il diritto dei cittadini di scegliere coloro dai quali vogliono essere governati. Come spiegare tale atteggiamento del Partito Democratico? «La speranza, o l'illusione, della classe dirigente del Pd - ha scritto ancora Macioce - è tornare al 1994, chiudere in una parentesi il berlusconismo e ricominciare da capo. È chiaramente una follia umana e politica, ma ha finito per condizionare il Dna della sinistra, la sua cultura, i suoi orizzonti, la sua visione del mondo. Questa è una sinistra che da quasi vent'anni non produce nulla di nuovo ed è impermeabile a tutto». Una sinistra, dunque, che da più di tre lustri è ferma al punto di partenza, priva di vitalità, prigioniera di un vuoto politico ed esistenziale che fa tornare alla mente le parole di Dino Buzzati nel Deserto dei Tartari: «Guai se potesse vedere se stesso, come sarà un giorno, là dove la strada finisce, fermo sulla riva del mare di piombo, sotto un cielo grigio e uniforme e intorno né una casa né un uomo né un albero, neanche un filo d'erba, tutto così da immemorabile tempo».

Gianteo Bordero

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