da Ragionpolitica.it del 3 febbraio 2010
Ah, Romano, Romano! Alla fine ha avuto ragione Corrado Guzzanti, che in una sua sopraffina imitazione raffigurava il Professore, dopo la caduta del suo governo, fermo a una stazione ad attendere al varco i dirigenti del centrosinistra: «Io sto fermo, aspetto, non mi muovo, perché verrà anche il suo bel momento che dovran tornare qui da me, proprio qui, alla stazione dove mi han mandato, a dire: "Romano, perdonaci, abbiam sbagliato, ti abbiamo fregato già due volte, ti chiediam perdono ma solo tu puoi battere il Berlusconi. Ti preghiamo, bisogna rifar l'Ulivo!"». Anche se non in questa forma, quello che è accaduto negli ultimi giorni all'interno dello schieramento di centrosinistra è, nella sostanza, quanto previsto in tempi non sospetti dal Prodi in versione Guzzanti.
Vediamo i fatti: finisce nella polvere il sindaco di Bologna, Flavio Delbono - peraltro caldamente sponsorizzato dall'ex presidente del Consiglio al momento della candidatura - per una storia di amanti e uso privato di risorse pubbliche ai tempi in cui era vicepresidente della Regione. Risultato: dopo neanche un anno di amministrazione, Delbono getta la spugna e dà le dimissioni. Non è la prima volta che un sindaco di centrosinistra lascia l'incarico a causa di scandali e inchieste varie - visto che nella guache nostrana, paladina del dogma giustizialista e della presunzione di colpevolezza, basta un qualsiasi sospetto o un avviso di garanzia per essere costretti a dare le dimissioni. Ma qui siamo a Bologna, cioè nella storica capitale del governo locale rosso, nel luogo simbolo del «modello Emilia», delle cooperative, della «buona amministrazione» in salsa Pci-Pds-Ds. Insomma, nel cuore di quel sistema di potere che la sinistra italiana ha sempre vantato orgogliosamente come un fiore all'occhiello, come il frutto migliore della sua azione politica. E' chiaro, quindi, che con la rovinosa e improvvisa caduta di Delbono rischia di andare in frantumi anche il mito del buongoverno comunista e postcomunista in terra emiliana. Uno smacco che in questo momento il Partito Democratico, alle prese con le solite grane interne e con la non facile campagna elettorale per le elezioni regionali, non si può permettere.
E allora ecco la geniale - si fa per dire - trovata: chiedere a lui, al Bolognese per eccellenza, al salvatore della patria gauchista per antonomasia, all'indimenticato condottiero delle vittorie contro il centrodestra, di venire ancora una volta in soccorso della nave alla deriva. Perché perdere Bologna oggi vorrebbe dire perdere quel poco che resta della sinistra in Italia. Solo che non è facile convincere chi è stato presidente dell'IRI, presidente del Consiglio, presidente della Commissione europea, ad accettare il «sacrificio» di passare dalle stanze dei bottoni nazionali e internazionali a una piccola e stretta - seppur importante - poltrona di sindaco. Soprattutto quando colui che ora viene corteggiato, acclamato e invocato come l'unica àncora di salvezza per il Pd nel capoluogo emiliano è lo stesso che per due volte è stato disarcionato dalla guida del governo dai dirigenti dello stesso partito, dal fuoco amico dei vari D'Alema e Veltroni, sempre divisi su tutto ma uniti, seppur in tempi diversi, nel mandare gambe all'aria l'esecutivo del Professore.
E così Prodi dice «no». Non perché, come ha più volte dichiarato nel recente passato, voglia «continuare a fare il nonno». E neppure perché non voglia rinunciare al suo attuale impegno per l'ONU in Africa o alle sue lezioni cinesi di economia politica. Queste sono, evidentemente, motivazioni di facciata. La verità è che il Professore, consapevole dello stato di crisi in cui versa il centrosinistra e dell'evidente assenza di un leader unico e riconosciuto della coalizione, aspetta tempi migliori - ovviamente per lui - per l'ennesimo, grande ritorno sulla scena. Intanto ora può già godersi lo spettacolo dei dirigenti del Partito Democratico che, col capo cosparso di cenere e la lacrimuccia sul viso, in processione come pie donne, lo pregano di farsi nuovamente presente, di non lasciare solo il popolo adorante, di dare ancora una possibilità, da buon cattolico ancorché adulto, a chi lo ha tradito ed ora si rende conto di essere privo non tanto di una bussola, quanto dell'unica colla capace di tenere insieme tutti coloro che, per un motivo o per l'altro, si definiscono antiberlusconiani. Come ai vecchi tempi.
Gianteo Bordero
mercoledì 3 febbraio 2010
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