lunedì 4 ottobre 2010

LA DIFFERENZA BERLUSCONIANA

da Ragionpolitica.it del 4 ottobre 2010

Il quadro che emerge dal dibattito pubblico di questi ultimi giorni delinea chiaramente due schieramenti caratterizzati da due modi alternativi di intendere la politica: da un lato Silvio Berlusconi e l'asse Pdl-Lega, con la centralità attribuita alla «politica del fare», al rispetto del programma presentato ai cittadini e alla premiership indicata nel simbolo elettorale, dall'altro lato un agglomerato di forze la cui unica volontà sembra essere quella di riportare in auge un modello fondato sul primato dei partiti nel decidere a tavolino, nelle «secrete stanze» dei palazzi romani, le sorti del governo del Paese. Così, mentre a Milano, alla Festa della Libertà, il presidente del Consiglio illustra i risultati raggiunti dal suo esecutivo per garantire la tenuta del Sistema-Italia e parla delle riforme ancora necessarie (in primis quella della giustizia) per rendere lo Stato veramente «amico» dei cittadini, altrove si discetta di questioni che tutt'al più possono interessare soltanto la cerchia ristretta dei dirigenti di partito al fine della loro sopravvivenza politica.


C'è un abisso che separa il tono e l'ispirazione di fondo del discorso del premier alla kermesse milanese del Pdl e le dichiarazioni di coloro i quali, invece che delineare proposte alternative sui vari capitoli di governo, non sanno fare altro che invocare una nuova legge elettorale al solo scopo di mettere fuori dai giochi il Cavaliere dando vita a meccanismi tecnici per anestetizzare il responso delle urne e la volontà popolare. Basta prendere in esame le dichiarazioni domenicali dell'onorevole Bocchino per rendersene conto. Il capogruppo di Futuro e Libertà alla Camera, che solo pochi giorni fa aveva votato a Montecitorio la fiducia all'esecutivo sui cinque punti illustrati in aula dal presidente del Consiglio, ieri si è detto pronto a dare vita a un governo alternativo a quello di Berlusconi al sol fine di modificare l'attuale normativa elettorale, cancellando il premio di maggioranza che oggi garantisce alla coalizione uscita vincitrice dalle urne i numeri sufficienti per mettere in atto il proprio programma.


Da una parte, dunque, vi è - continua ad esservi - la novità berlusconiana inaugurata nel 1994, fondata sul rapporto diretto tra leader e popolo, sulla scelta del premier da parte del corpo elettorale sulla base di una definita e chiara agenda di governo, mentre dall'altra si riaffaccia sulla scena la nostalgia del vecchio sistema che ha caratterizzato gli ultimi decenni della Prima Repubblica e che è stato alla base della sua consunzione politica: una partitocrazia autoreferenziale, interessata solamente alla sopravvivenza della «Casta» e di fatto sciolta, in nome dell'assenza del vincolo di mandato prevista dalla Costituzione del '48, da ogni legame diretto con il popolo votante. Come ha dichiarato in una nota il coordinatore nazionale del Pdl Sandro Bondi, se la proposta dell'onorevole Bocchino diventasse realtà «si formerebbe un fronte trasversale costituito anche dalla sinistra e dall'Udc, plastica esemplificazione del trasformismo parlamentare, della manipolazione più sfrontata della volontà popolare, della volontà di affossare il bipolarismo per ritornare agli amati riti della partitocrazia».


Non è casuale, così, che prima del suo intervento alla Festa della Libertà il presidente del Consiglio abbia deciso di riproporre il video nel quale egli annunciava la sua «discesa in campo», come non è casuale che il premier, al termine del suo discorso, abbia riletto una pagina del suo primo incontro pubblico con gli elettori, nella quale è riassunto il credo politico attorno al quale ha preso forma quel popolo che si è ritrovato prima in Forza Italia e poi nel Pdl. Quel popolo che da sedici anni a questa parte non ha mai fatto venire meno la sua fiducia in Berlusconi, riconoscendo in lui l'unica possibilità per uscire dalle secche della partitocrazia e per dare vita ad una politica nuova, capace di restituire al Paese il senso della sua missione, la consapevolezza delle sue radici, l'orgoglio per la sua storia. Un messaggio che oggi conserva ancora intatta la sua forza d'urto per il presente e per il futuro, mentre tutt'attorno si danno convegno i nostalgici non soltanto del «vecchio», ma anche del «peggio».

Gianteo Bordero

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