da Ragionpolitica.it del 5 ottobre 2010
Quando le scoperte scientifiche vengono assolutizzate e poste alla base di un'ideologia totalizzante che non tiene più conto di tutti i fattori in gioco nella realtà, allora è possibile che una notizia come quella dell'assegnazione del premio Nobel per la medicina al fisiologo inglese Robert Edwards, padre della fecondazione in vitro, sia accolta con quell'entusiasmo acritico che ricorda, nei toni e nei modi in cui esso si esprime, i mirabolanti proclami dei rivoluzionari ottocenteschi e novecenteschi che annunciavano di aver creato l'«uomo nuovo», il quale avrebbe dato corso - a sentire i suoi sostenitori - a un'epoca di «magnifiche sorti e progressive» per l'umanità. Sappiamo tutti in che cosa si sono poi trasformati quegli annunci trionfalistici, come tutti conosciamo i luoghi-simbolo nei quali è divenuto evidente che l'unico esito di una simile operazione ideologica, sociale e politica altro non poteva essere che la violenza: l'«uomo nuovo» è morto nei campi di concentramento, è morto nei lager, è morto nei gulag.
Questa è la lezione della storia. Tutti lo sanno, ma tanti fingono di non saperlo. Così plaudono senza riserve e con cieco fideismo alla decisione del comitato che presiede all'assegnazione dei Nobel, dicendo che Edwards ha aiutato milioni di coppie con problemi di fertilità ad avere un figlio. Vero. Peccato che poi non guardino - o non vogliano guardare - al risvolto della medaglia: qual è stato il prezzo pagato per la diffusione delle tecniche di procreazione assistita in vitro? Quanti embrioni prodotti in laboratorio sono stati distrutti a partire dal 1978, cioè dalla data in cui Edwards fece nascere la prima bambina con la FIVET (Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer)? Quanti embrioni congelati sono divenuti parte di un autentico mercato che non può non essere definito selvaggio? E quanti sono stati oggetto di sperimentazioni? Mettere tra parentesi queste domande o affermare che esse sono il retaggio di un'etica e di una visione della vita ormai superate e inutilizzabili dall'uomo contemporaneo e scientificamente evoluto, significa attribuire ai progressi della tecnica quel carattere di dogmaticità che rischia di trasformarli in ciò che i loro paladini dicono a gran voce di voler contrastare e demolire in maniera definitiva: i principi morali assoluti proclamati dalla religione cattolica.
Con una differenza di non poco conto, che è poi il punto attorno al quale ruota tutta la questione della legittimità etica della fecondazione in vitro: l'embrione umano è cosa o persona? E' mera materia disponibile a qualsiasi manipolazione oppure porta già in sé le tracce dell'anima personale e quindi della pienezza dell'essere umano? Insomma, è oggetto o soggetto? E' qualcosa o qualcuno? La Chiesa, appellandosi alla ragione intesa come capacità di conoscere la realtà e di afferrare i primi principi ad essa sottesi, invita a non trascurare quei numerosi indizi che, individuati dalla stessa ricerca scientifica e dalla biologia dello sviluppo, portano ad affermare che l'embrione può e deve essere trattato come persona sin dal momento del concepimento. All'opposto, coloro che negano ostinatamente tutto ciò dimostrano che il vero atteggiamento oscurantista e preconcetto è il loro, visto che essi rifiutano, in nome di un pregiudizio ideologico, sia le possibilità della ragione umana, sia le scoperte della scienza, sia le evidenze etiche alle quali tali scoperte conducono.
Ciò conferma che il problema non sta nel progresso scientifico in sé considerato, bensì nel tentativo di fare piazza pulita del quadro d'insieme in cui tale progresso si inserisce. Un quadro d'insieme che - ripetiamolo - è costituito non da dogmi religiosi calati dall'alto, bensì da elementi ed evidenze cui la stessa ragione può giungere, in piena autonomia e a prescindere da qualsiasi appartenenza ad una chiesa. Se la scienza, insomma, viene usata ed esaltata come se tutto il resto non ci fosse, e quindi non a fini scientifici bensì ideologici, come grimaldello per tentare di scardinare visioni della vita ritenute nemiche e opprimenti, allora è chiaro che le porte sono spalancate a qualsiasi atto arbitrario. Se si decide a tavolino che l'embrione non deve essere considerato e trattato come una persona, con la stessa dignità e gli stessi diritti di questa, è palese che il sopruso ai suoi danni è sempre dietro l'angolo. Se, infine, la domanda decisiva sull'essenza dell'embrione viene liquidata come ultima propaggine di un'inservibile metafisica, quello che si ottiene non è il diradarsi dei sogni della religione, bensì l'inaridimento della ragione e la produzione di nuovi incubi per l'umanità. La questione antropologica, cacciata dalla porta, tornerà a bussare alle finestre degli idolatri della provetta senza se e senza ma.
Gianteo Bordero
martedì 5 ottobre 2010
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